Prefazione a Cromwell - Formattata

May 1, 2018 | Author: Anonymous | Category: Documents
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SOT GLE US RC T P R * tro dam vip Ied cga sne pli lcg nbt h,l rtc amr oon bse e go N id pei i m. u as g lz lsh dc, l'a ren tbe en ot am ue ha io év 'l pr mt si a e eh r m u o l s e t i a n t a f i eu i t nn c sl pS ou s , Nnca èra dao phl soi qie eun ang Qet Eaa ilc drr a r. pl fd cb ua sn qu id Ni lt de co p r u a n m o f ' e s i ilce t in l aa os r ' ot od tr ittr ncpd oitsteisaoc . nf eourir g,'ri e i ao ea ii nis c rionat e te e r aeiuuc s ti z s sz ff t da.o .eseeoo m l o noun a o rh a o c a v ennuts n m t me ea rsc i tret ai i f er l t o e q e dln n e ao t m i n z c p a o c e n a r n o ; i t e i te i dee ts lo q n s nn g t i u s o t'ia ihtv np e r e o i ao, l a i lti orr rpl ee sn a o Ddars n ' ' p srtlooalioroeuccreio epsem miirlzema,itrnrii rpa ;secina ea d oede eiu sr eli o egibi e re to ii friarogorpaai'etuea tolPz dsnlclslvrò eer rsna ga er o p ot r r nsee dp're ahdot csagi pdouh mnmdo ai gm cr pc lei n u et t m co t d a a i e e n . p t l c v o e i a i m aa ue mnhiotatm eae èaaic eocozteie nm,ta natz ii e e b , n t o l a r zd ,r p s n ola i mzroet eecaupnlueh r t ciei en r i a o r o p r i or,av e s asaiequpuc n f lnra iu b n te o r np g t i er f e o d s l m f e l. ocea ai i p n g o oi l r l l t e, u a c tf a e r o n ro r et a a i p a u n c r v s nl t r a c e è g o 1he pr, bnz dta alt Noe .rn Cer S s, cr pl lt rs èi md ic ar uo pt ea mo ir ri o n e q uS Q u 2 n .u cos p classici. A d dt eo , E p eb a e heberP s favolosa c i r Gn. po pe ès ri em i 4 3 DF . L r c d s r it l f o e n ù, n io g Qu f t i c l i u r m o s a o t t a s u e C i e l i s m N t p c ' n v o e Q t l' Tc i e l s e u n d I Llo uet con lsr eie rrl vao fPd mss npd se i cp po ct Sn dm dm eh tr lù pc ua so qs En èe M n i o c h p a u m d e V d èi (i L CId loi 'l a T Udsi saee pps mii elg cro sol age upr dm l ta r ie m' cl pd ev va ln èu dr se is sd am ul ed nv ci oh t i c * Q i r i l I U s a l o a s t o n c e n c o s e r i o e r a r p d c s l r g ie t u a , . u e e o l ga , i n l t o a o n il i r s t n l u ll i s v e l e u i m e ea pe n a i u a u ' i o r e l rd s i l n c Q l d c l c si T p d c l a o u r a o ' v l l f i e Crom h E i Cw om M lib , lE Soc e *feb w R [ d l r e é t 1 2 In italiano nel testo [N.d.T.]. Chi si applica mangia del suo pane [Tr. it. nostra]. 3 L’Iliade. 4 L’Odissea. p d U a s l Iigrog a i v dmelor o t,ul v.tezeooè,eloocsiiie,noanear d ni dP siseope n re l o nge F n o sf r tfrgBi e a e ocl iT o lmoeszutonameeIoleuussiano.eialretti ,lzltulgscadp rl hu,slg ld , ,c a po ,u e Daodeg pnrii f laon u ega è tvre m sa i t h e in i e t d n pi f c i r r n t , a r n a ll , nolaenrs.rnoaimetaepcirnmac alvcl n r, . oca;aug ef e e e i loù bs iotetsp,aeainz avi, elie,bpnf a es t i nitèn è a b a ul t ia rtdnr g.i Lrnu voapesàr o oi s aioleo n o r n lae ngear 'srt it.f. os o a i , t r e n i t n o adz r d èi i l n p e s t rm u pe i i l i g en nt t io d dm l rs v o ee u n e o r c o sl id a c Q Pcs oaf ana sir qoe dra feg cuo dp ah ss es sa mv ul ni po gn te lu cf di st ee nù qa fo mn lr uc i p a r cf t c , t e a , o t n o v a t i n l s o i f a v o e i n l s u e n l i n c i e n E i a d I s n t ue aàe c soggetto, N mz t i so s o e n a d CBIior. èe s i l oìpnds o sg'eed voetpso,teedilnctnoee,eaggaiitlrsgrsltuiimeeurm l ie m e o q IImov e rl n lliè no iiidns eeesaeeeroaiseu',aststao tirciosruo la ts t n trfsi ad q aesea e d Msneh sl u dpu cs no ut so i lu asg e ldLo,a'a,mrpatlviumnvafhounr .ncmseetlzha r ò of in a i e lls t e lo eo eocm is e Buitàh liediei hu.aetsreitn i i an r i a v e u mae vdmc eo , drpivdgn 'ai s dcd vo ele q u q a a m n i la s,er d l ocoin pr ors n cta n' c aa i e s s snroa em aA . t o s c eg n e , m c t p i 'A ' t ont gi a n a s a r es lc i n t l a oa o e t qa o a o n t u d z e e i h a a s m clo go bcoeth eèla. ll , E tc E classica. dl E l romantica aa e l t t 5ol G s c ? n ut grottesco un bu ab v« M c h e r s Q r o u i O;i T Ega a ,(t iu dtr sf I)b g lee o spr T flc a .o c ri p nt gs Pr èo a ) c V i a r e l ro e n t e t f l ; o f , i r u o e e e S g b al dè cl Eo b u o i M u S 6 O Q 5 Sì senza dubbio, ancora sì, e sempre sì! È questo il luogo per ringraziare un illustre scrittore straniero che ha voluto cortesemente occuparsi dell'autore di questo libro, e qui gli dimostriamo la nostra stima e la nostra riconoscenza mettendo in evidenza un errore in cui ci sembra sia caduto. L'onorevole critico prende atto, tale è la sua espressione, della dichiarazione fatta dall'autore nella prefazione di un'altra opera, che: «Non c'è né classico né romantico; ma in letteratura ci sono, come in tutte le cose, due sole differenze: il buono e il cattivo, il bello e il deforme, il vero e il falso». Non era necessaria tanta solennità per tenere nella dovuta considerazione una tale professione di fede. Essa si può perfettamente accordare con quella che «fa del brutto un tipo di imitazione, del grottesco un elemento dell'arte». L'una non contraddice l'altra. La divisione del bello e del brutto nell'arte non è simmetrica a quella della natura. Nelle arti, il bello e il brutto dipendono soltanto dall’esecuzione. Una cosa deforme, orribile, ripugnante, trasportata con verità e poesia nel campo dell'arte, diventerà bella, ammirevole, sublime senza nulla perdere della sua mostruosità, come, al contrario, le cose più belle del mondo, adattate in modo falso e sistematico in una composizione artificiosa, saranno ridicole, burlesche, ibride, brutte. Le orge di Callot, la Tentazione di Salvator Rosa con il suo diavolo spaventoso, la sua Mischia con tutte quelle forme repellenti di morte e di carnaio, il Baffone di Bonifacio, il mendicante divorato dai pidocchi di Murillo, i ceselli in cui Benvenuto Cellini fa ridere figure tanto orride tra gli arabeschi e gli acanti, sono cose brutte secondo la natura, belle secondo l'arte; mentre nulla è più brutto di tutti quei profili greci e romani, di quel bello ideale fatto con pezzi di riporto che la seconda scuola di David espone sotto le sue tinte violacee e deboli. Giobbe e Filottete, con le loro piaghe purulente e fetide, sono belli; i re e le regine di Campistron sono molto brutti nella loro porpora e sotto le loro corone di similoro. Una cosa ben fatta, una cosa mal fatta, ecco il bello e il brutto dell'arte. L'Autore aveva già spiegato il suo pensiero assimilando questa distinzione a quella del vero e del falso, del buono e del cattivo. In arte come, d'altra parte, in natura, il grottesco è un elemento, ma non lo scopo. Ciò che è solo grottesco non è completo. 6 Questi due nomi sono qui riuniti, ma non confusi. Aristofane è incomparabilmente al di sopra di Plauto; Aristofane occupa un posto a parte nella poesia degli antichi, come Diogene ne ha uno nella loro filosofia. S'intuisce perché Terenzio non sia nominato in questo passo assieme ai due comici popolari dell'antichità. Terenzio è il poeta del circolo degli Scipioni, un i7 . N 8o ,t (oa pem ce p E l S , R Ia rm c Aidipinge così una cerimonia augusta, cioè la proclamazione di un re d e o s l : Ul dn ls vi i i l n a ra g 9eu . se Lq' pl o tx sr u u s s r o s R È A u d t o n i e n 1 : . X g C Ariosto, in Italia; 0 d N Cervantes, in Spagna; Rabelais, in Francia. a . ll B e a S , pd gu u c d n o i E 1 1 . ; pb , eo Roe Gnb i e r i T I A . e IA eR mi iu Mr t n l s a i f l e l i u t B e d a Io s è l d c v l e a cesellatore elegante e vezzoso sotto la cui mano si cancella definitivamente la vecchia e logora comicità degli antichi Romani. 7 Questo grande dramma dell'uomo che si danna domina tutte le immaginazioni del Medioevo. Pulcinella, che il diavolo si trascina via con grande divertimento delle nostre piazze, non è che una forma triviale e popolare. Ciò che colpisce singolarmente quando si paragonano le due commedie gemelle del Don Giovanni e del Faust, è che Don Giovanni è il materialista, Faust lo spiritualista. Il primo ha gustato tutti i piaceri, il secondo tutte le scienze. Entrambi hanno attaccato l'albero del bene e del male; l'uno ne ha rapito i frutti, l'altro ne ha scavato la radice. Il primo si danna per godere, il secondo per conoscere. L'uno è un gran signore, l'altro un filosofo. Don Giovanni è il corpo; Faust, è lo spirito. I due drammi si completano a vicenda. 8 Non è all'ontano, albero, che si ricollegano, come si pensa comunemente, le superstizioni che hanno fatto fiorire la ballata tedesca del Re degli Ontani. Gli Ontani (in basso latino Alcunoe) sono delle specie di folletti che hanno un certo ruolo nelle tradizioni ungheresi. 9 Un gran brutto allora elessero. Il più ossuto che tra loro avessero. [Tr. it. nostra] Roman de la Rose (v. 10357 ss.). 10 Questa espressione sorprendente, Omero buffonesco, è di Ch. Nodier che l'ha creata per Rabelais e che ci perdonerà di averla estesa a Cervantes e ad Ariosto. 11 Ma, si dirà, il dramma dipinge anche la storia dei popoli; sì, ma come la vita non come la storia. Lascia allo storico la serie esatta dei fatti generali, l'ordine delle date, le grandi masse da muovere, le battaglie, le conquiste, gli smembramenti degli imperi, tutta l'esteriorità della storia. Fa sua l'interiorità. Ciò che la storia dimentica o disdegna, i dettagli dei costumi, delle abitudini, delle fisionomie, i retroscena degli avvenimenti, la vita in una parola, gli appartiene e il dramma può assumere un aspetto grandioso quando queste piccole cose vengono prese in una grande mano, prensa manu magna. Ma bisogna far attenzione a non cercare la storia pura nel dramma, fosse anche storico. Scrive delle leggende e non dei fasti; è cronaca e non cronologia. .u I Ge e An s ,haicdetto i c cosa giusta e arguta; se anche avesse det iihan ca L le sd t n o m e fr h a u n e t i una s e l 1ad 2 .e Da Iv ,f i p PrDunque tutto, nellaopoesia moderna, conduce al e i n i C s m dramma S Cr pe da ri c q g n è a i e Cs o s e i h u e n e u l c l D l a m l u a h q l r g e n u a i s d a u e i l o n r a s d Lr le dh no iu c l è s q a e o l P 1ss 3 Nce .ev qt ca ap ru dm lr to el im di uc ea ' o r l a o a . p s , I ; H ! a N A o con la mano che firma la condanna a morte di Carlo m i p l o o e a e o , l m Bac ,un Ioe I Tvl Mln vS pi gr dF en ca dG iR mh as so nc uG iq èn ve pf sr aF tl nc e I o i c r l M b s A n E t È u E Q 1lr . ei Atn u o q d e , n n t s u ù a t r i v u e i a Qa qo (r i o d p l P a u l g i e e e Po h sl d i c l p g t i o e n a r i i C c s d m Cd l d e o p q m s 4 Dr g d N t o e Mr s n g i t eeie p Ipev s Xie T arI ciz q nt d il st va W l i p r V u i h e a dellre u iedn uncaa nmoho opls clg s ào het rnp tur ic s a b e c t i é h c . (gt cre sei laà qtl one puo Lmr d à. Si nt Cr En ak oq hp uc rt 'a ie ci u p o r s n n t a T 12 13 S , V s e r o i t n r o s o e L t In italiano nel testo [N.d.T.]. Come mai Molière è molto più vero dei nostri tragici? Diciamo di più, come mai è quasi sempre vero? È che, per quanto sia vincolato dai pregiudizi del suo tempo al di là del patetico e del terribile, egli unisce, comunque, al grottesco, scene di grande sublimità che completano l'umanità nei suoi drammi. È per questo che la commedia è molto più vicina alla natura di quanto non lo sia la tragedia. Si concepisce infatti un'azione i cui personaggi, pur continuando a essere naturali, potranno costantemente ridere o eccitare il riso; e poi i personaggi di Molière talvolta piangono. Ma come concepire un avvenimento, per quanto sia terribile e limitato, in cui, non solo i principali attori non abbiano mai un sorriso sulle labbra, fosse anche di sarcasmo o d'ironia, ma dove non ci sarà affatto, a partire dal principe fino al confidente, alcun essere umano che abbia un accesso di riso o di natura umana? E ancora Molière è più vero dei nostri tragici, perché sfrutta il principio nuovo, il principio moderno, il principio drammatico: il grottesco, la commedia; mentre loro esauriscono le loro forze e il loro genio a ricondursi in quel cerchio epico che è chiuso, vecchio e logoro stampo, da cui non potrebbe scaturire la verità propria del nostro tempo, perché non ha la forma della società moderna. 14 Cantiamo alternamente, le Camere amano i canti alternati. Virgilio, Bucoliche III, 59 [Tr. it. nostra]. N d P 1i o neuicSofocle»; per alle5 nuove, per provareEuripide»; per mezzo di «Heinsius, i ,p V ìl »; n J pe N ip » ss », o Aif »,z; Pdi, ;utt la. l Mzicome (fmc cop » moeo olne :guu f«ar dmos cdPe Rcin .asi !seau B ssempre folgori Corneille nn ,curiosa ai saggi mezzo dell'«esempio dio Scudéry peggiora invece n utmigliorare Ceati E Mpreferite giovanili dimezzo Byron.che l stesso offre la quintessenza: l « or tg et nb in oz ec Cl un d G r l c é a p g . per Lordldi Aristotele celne «nell'undicesimo capito I a egli e o di s nelc d o a dte R e pa A hl ,rr Ehm n as io e tg sa a l i n c p s T d u e o i a n S c T r u i EF vd eu c r t o h i M rfi o ai ec m t n e o l o ,i, Qea Ipt dl ir Lo nc ql vi a èe u e d e u o a n e Q ad o h n d e u 1o 6 p Encier .s or l 1al 7 t f i . oa svg Efep eo r e » r , Io .ea ddl A s A . cu m i l ,u fo na Cl .t asa rdrL L vl ps l i o e a s S A 1le 8e soi ,nt I dep cde mhn eam arc goa tig làl it rc cu hs dm en fP co sc ql vd or ao rm la i p d ò l c D i o e t d s n e o u r m q p r o d t a n o u t r a i o l u o t i z l t n b n r i t e o b u a ' i a m c a f m l 15 16 Corneille in francese significa cornacchia. Di qui il doppio senso [N.d.T.]. Quando devo scrivere una commedia chiudo i precetti con sei chiavi. (Versi estratti da La nuova arte di far commedie, 1609, di Lope de Vega) [Tr. it. nostra]. 17 Non è certo adattando dai romanzi alla scena, anche se fossero di Walter Scott, che si faranno fare dei grandi progressi all'arte. Questo va bene per la prima o la seconda volta soprattutto quando i manipolatori hanno altri meriti più consistenti, ma ciò, in fondo, non porta a niente altro che a sostituire una imitazione con un'altra. Del resto, dicendo che non si deve copiare né Shakespeare né Schiller, intendiamo parlare di quegli imitatori maldestri che, cercando delle regole là dove questi poeti non hanno messo che del genio, genio, riproducono le loro forme senza il loro spirito, la loro scorza senza la loro linfa; non traduzioni fatte in modo abile come potrebbero farne altri veri poeti. La signora Tastu ha tradotto eccellentemente parecchie scene di Shakespeare. Emile Deschamps riproduce, attualmente, per il nostro teatro, Romeo e Giulietta; ed è tale la prontezza possente del suo ingegno, che fa passare tutto Shakespeare nei suoi versi come vi aveva già fatto passare tutto Orazio. Certo, anche questo è un lavoro di artista di poeta, una fatica che non esclude né l'originalità né la vita né la creazione. 18 Si è stupiti di leggere in Goethe queste righe: «Non ci sono, propriamente parlando, personaggi storici in poesia; soltanto quando il poeta intende rappresentare il mondo che ha concepito, fa, a certi individui che incontra nella storia, l'onore di servirsi dei loro nomi per applicarli agli esseri di sua creazione. Ueber Kunst und Alterthum (Sull'Arte e l'Antichità)». Ci si rende conto dove porterebbe questa dottrina presa alla lettera: diritto al falso e al fantastico. Per fortuna l'illustre poeta, a cui in un certo giorno probabilmente deve essere sembrata vera almeno per un verso, poiché gli è sfuggita, non la metterebbe in pratica di certo. Non comporrebbe a colpo sicuro un Maometto come un Walther, un Napoleone come un Faust. aa p È t sSeo pl èe ,s s fm t .l i crr bvn ou i) aa ci et d n I N i a l e o l q cu Nm n o ft dt a p I t g e . or n li !r c Bs u ,l r Xièp e u S i c s d q a e l t c V n h u i a o e p q le è e n o e n V g l a l b i o a e l g a o u i l e n r Sc s u l i n e a O n a s u p d r s n e d t U .s . a e , q .i R . u A m Q ... uan a 1r h 9 e p b nA ..! m a e . 2ta s0oa mrh ccr Eoo ng ai ls dn ea Re es n h i s v . I ,t Mn U e l fs .ze l r Dmn a qu cnm n lea lu ai Io Èo o i 2o 1 pm dp È n s n e V n o e m i ce ui l s C e r B h n ' o i r . P iàrn I av,c c l'no p spul d rdmi f eni ceh uhe pio dau lul Iti vln ooe Esz sng Rùa udb c'i pid irl eet sas nÈe fo, ls gn vC cc pi bl 'e dù Ns a u i I r e t c l c h 2ci 2 . re ,eb bla ;rb tau i s efee c lc c pr n as d la pt g s e n i r s h i t t c l o , a e e c o t e r s i m s ; e e i i d n o n r s z t e t o s i z c e o i a r o e o l i z u b a e o n à i s o . r e n s n m f l p c f i s d a e fqo èel Tpms ssc vdg qti ian lpe dvc Ncm cm l ol èr fe Rs ld da du po rP cs ip dg nc sa ès dm ou er le Mi gn ca n b q i h u l fr iu ,m o clc l eei n o d atsne len de lc o s d o p a u l t ;m D Co r e . X I O , qa c u . H o C . fT a 19 i a a , a c r a z e i e l n r d b l i a l a i e u s e o Ic nf l f n p o a o i S c èc qe rn lu dl ei o g p u n q i e s f a c p O n C o Nc S d e l A e ...Un mucchio di uomini rovinati dai debiti e dai crimini. ...Chimene, chi l'avrebbe creduto? Rodrigo, chi lo avrebbe detto? ...Quando il loro Flaminio mercanteggiava Annibale. ...Ah! Non mettetemi in disaccordo con la repubblica ecc. ecc. [Tr. it. nostra]. 20 Cani [N.d.T.] 21 In italiano nel testo [N.d.T.]. 22 L'autore di questo dramma ne parlava un giorno con Talma, e, in una conversazione che scriverà più tardi, quando non si potrà più attribuirgli l'intenzione di appoggiare la sua opera o le sue idee a delle autorità, esponeva al grande attore comico qualche sua idea sullo stile drammatico. - Ah sì! esclamò Talma interrompendolo vivamente; è quanto mi sfibro di dire loro. Niente bei versi! - Niente bei versi! È l'istinto del genio a trovare questo profondo precetto. Infatti sono i bei versi che uccidono le belle commedie. E d D )m Ct Ao eo ,a rm fr ev u t c u a r c L i t s e u c q Èc f v rm Co s n o r S 2ea 3 dea g e I .i Ma vt ,d Prc gvi n. s c i r a o co ie lt er dd il pf ci ae rc si e in r ca i dM a Se m «d su m e pc pq r i v p l gc è s d c o h g a i Ea ds q r n 2Jp n 4 . L Ia ,m Te V ' l e J eg , m r c a o l c m I bu ir dcsno .ieat la Èpi Sh ce od vC lr ah pm ra un e ap i gi e nP o ch q ff c sl i ps m id da ae lo oP vc ct al Re ug md iB rr Ju sc o e h td gL lP e 2c 5 . S Q n u q o i a » e t r e r n u o p p i a a n r m l u s g i a l o g i q e I d a H i c e CI oo ca p e q « g è d l ' g o r e i s u os a t o i f a d t n r i o e t mc i o e c à r u i i l r v n e r i d l o s o c e a p v n p a u s d g m s a e i P v s D o err co ri B E 2 6 . L P o U 23 24 n po na au le co qa a o d n c è f u i h In italiano nel testo [N.d.T.]. Jean Jacques Rousseau [N.d.T.]. 25 Lo sa il genio, che come compagno contempera l'influsso della costellazione di nascita. Orazio, Ep. n. 2, 187 [Tr. it. nostra]. 26 Ecco una nuova contravvenzione dell'autore alle leggi di Despréaux. Non è colpa sua se non si sottopone affatto agli articoli: Venti volte sull'opera etc. Limatela in continuazione etc. Nessuno è responsabile delle sue infermità o delle sue impotenze. Del resto saremo sempre i primi a rendere omaggio a questo Nicolas Boileau, a questa rara ed eccellente mente, a questo giansenista della nostra poesia. E inoltre non è neppure colpa sua se i professori di retorica gli hanno affibbiato il soprannome ridicolo di Legislatore del Parnaso. Lui non ce ne può nulla. Certo, se si esaminasse come codice il notevole poema di Boileau, vi si troverebbero cose strane. Cosa dire, per esempio, del rimprovero che muove a un poeta poiché: Fait parler ses bergers comme on parle au village [Fa parlare i suoi pastori come si parla nel villaggio]. Bisogna dunque farli parlare come si parla alla corte? Ecco i pastori dell'opera diventare tipi. Diciamo ancora che Boileau non ha capito i due soli poeti originali del suo tempo: Molière e La Fontaine. Dice di uno: C'est par là que Molière illustrant ses écrits, Peut-être son art eût remporté le prix. Non si degna di menzionare l'altro. È vero che Molière e La Fontaine, non sapevano né correggere né limare. 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