Latino, grammatica, volgare. Storia di una questione umanistica, «Medioevo e Umanesimo», 53by M. Tavoni

April 27, 2018 | Author: Anonymous | Category: Documents
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Latino, grammatica, volgare. Storia di una questione umanistica, «Medioevo e Umanesimo», 53 by M. Tavoni Review by: Mariangela Regoliosi Aevum, Anno 59, Fasc. 2 (maggio-agosto 1985), pp. 407-414 Published by: Vita e Pensiero – Pubblicazioni dell’Università Cattolica del Sacro Cuore Stable URL: http://www.jstor.org/stable/20857968 . Accessed: 15/06/2014 13:55 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Vita e Pensiero – Pubblicazioni dell’Università Cattolica del Sacro Cuore is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Aevum. http://www.jstor.org This content downloaded from 91.229.229.177 on Sun, 15 Jun 2014 13:55:41 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions http://www.jstor.org/action/showPublisher?publisherCode=vitaepensiero http://www.jstor.org/stable/20857968?origin=JSTOR-pdf http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp RECENSION! 407 te nel senso. Sempre a proposito di passi biblici, per i quali una lunga tradizione ha ormai fissato il tenore del testo e anche l'interpunzione, va an cora segnalata Pinopportunita del punto e virgola nella seguente citazione di Geremia, a p. 127, 38-42: ?Fortissime, magne, potens, Dominus exercituum; nomen tibi, magnus consilio, incomprehensibilis cogitatu, cuius oculi aperti sunt super omnes vias filiorum Adam, ut reddas unicuique secundum vias suas, et secundum fructum adinventionum eius?. In verita identico e il sistema di interpunzione adot tato da M. Adriaen nelPedizione dei Moralia in Job, XXI, V, 9, Corp. christ. 143A, 1071, 37-41, anche se e chiaro che nessun diaframma va posto fra ?nomen tibi? e ?Dominus exercituum?, lega ti, anzi, tra loro da una voce verbale copulativa, anche se sottintesa. Anche in un punto del prolo go ? il cui testo e corredato, alle pp. 24-26, di una versione inglese ? la virgola va spostata, per che il lettore si orienti nel cogliere le diverse fasi in cui si snoda il pensiero. A p. 28, 39-43, per in dicare il lavoro di sintesi a cui si propone di atten dere nella stesura del Remediarum, Pautore scrive: ?...in seriem continuam et breviatam contraxi, ut prae manibus semper habeam unde famelicus de gustem et viatori cuilibet qui ad flumen aut non vult aut non vacat divertere de fluminis immensi tate, ciatum saltern sorbillandum propinem?. La virgola deve, per 6 stare dopo divertere e non pri ma di ciatum, come risulta anche dall'interpun zione usata nella versione inglese del nostro passo, alle pp. 24-25: ?... grouping from many volumes incohesive and shortened form... This I did so that I might always have at hand a reserve whence my spirit could allay its pangs of hunger, and so that to any traveler unwilling or not free to have re course to the river, I might offer a ladle from which to sip at least the boundless waters of the rives?. La minuzia di queste note sia una prova dell'at tenta lettura con cui e stato accostato il testo del Remediarium, che segna, come molte analoghe opere, una tappa significativa nella storia della for tuna del commento di Gregorio Magno alia vicen da biblica di Giobbe. Giuseppe Cremascoli M. Tavoni, Latino, grammatico, volgare. Storia di una questione umanistica, ?Medioevo e Uma nesimo?, 53, Antenore, Padova, 1984. Una vo lume di pp. XXIV - 328. II titolo del libro di Mirko Tavoni evidenzia in modo calzante i principali termini che entrano in gioco nella questione umanistica che egli intende presentare: latino (?latina lingua?, ?latine loqui?, ?latine litterateque? e simili), grammatica (?gram matica?, ?grammatice loqui?), volgare (?sermo vul garis?, ?vulgariter?) e reciproci rapporti ed interazioni. Ma cio che risulta immediatamente al ia lettura dell'ampio dossier di testi analizzati e che questi termini non sono stati usati in modo univo co e, anzi, sono stati caricati via via, a seconda del le persone e degli ambienti cultural!, di significati diversi, specchio di diverse ideologic, competenze, interessi. II fenomeno rende, ovviamente, faticosa e suscettibile di equivoci la decodificazione della complessa problematica: ed equivoci dovuti ad af frettata analisi o a scarsa storicizzazione sono pre senti in modo puntuale negli interventi di chi, prima di Tavoni, ha affrontato il tema. Uno dei principa li meriti del libro di Tavoni, a mio avviso, e pro prio quello di avere avvertito la polisemia dei termini ed aver cercato, con tutti gli strumenti possibili ? indagini linguistiche comparative, ricostruzione di ?luoghi? sociologici e culturali, penetrazione nelle categorie mentali dei singoli intellettuali ? di co gliere di volta in volta il reale valore delle parole. Che e conquista non piccola in assoluto, ma in specie in una vicenda che e vicenda di lingua e di parole. La questione ha la sua origine contingente nella nota discussione del 1435 tra i Segretari apostolici, nell'anticamera di Eugenio IV: quale lingua usava no gli antichi romani? una lingua unica, o diffe renziata (e se si, in che senso) a seconda dei livelli sociali e culturali? II dibattito, val la pena di rile varlo subito, non fu motivato da curiosita accade mica ? come quasi nessuno dei discorsi interni aH'Umanesimo, troppo spesso, ancora, accusati di pedestre erudizione ?, ma dalla esigenza di capire quale fosse la reale consistenza di quel latino clas sico che con studio e fatica si voleva ?restaurare? (che cosa e ?latino?? e quale la sua funzione? co me si apprende? l'apprendimento e istintivo o av viene attraverso una scuola? e con quale metodo?) e quali i suoi rapporti con il volgare ormai attivo sulla scena della storia e col quale bisognava pure fare i conti (il volgare e esistito da sempre? nella parlata popolare dei romani? e quale volgare? quello contemporaneo? e se cosi non fu, da che cosa deri va allora il volgare contemporaneo? e che tipo di considerazione e uso occorre fame?). Non in tutti i portavoce della querelle tali interrogativi furono presenti in modo uguale: e con acutezza pari a quella esercitata nei confronti della terminologia, Tavoni ha discriminato i differenti punti di vista e poli di interesse, la ambigua interpretazione dei quali po teva creare, e di fatto ha in precedenza creato, er rori di valutazione. II libro e dunque uno scavo nel profondo dei te sti piu significativi: dal De verbis romanae locutio This content downloaded from 91.229.229.177 on Sun, 15 Jun 2014 13:55:41 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp 408 RECENSIONI nis di Biondo Flavio, delPaprile 1435, indirizzato a Leonardo Bruni, alia immediatamente successi va risposta di questi (An vulgus et literati eodem modo per Terentii Tulliique tempora locuti sint), al proemio al III libro della Famiglia di Leon Bat tista Alberti (1437) ? l'unico testo in volgare (che gia cosi si segnala per la sua peculiarity) ?, ai testi dell'ambiente ferrarese, la lettera di Guarino a Leo nello d'Este De lingue latine differentiis del 1449 e un breve settore della Politia literaria di Angelo Decembrio (pars VI: de libris vernaculi sen mater ni sermonis), agli interventi di Poggio Bracciolini (1449-1450: Disceptatio convivalis III: utrum pri scis Romanis latina lingua omnibus communis fue rit, an alia quaedam doctorum virorum, alia plebis et vulgi) e di Lorenzo Valla (1452-1453: Apologus 7/contro Poggio), a due lettere di Francesco Filel fo, a Sforza Secondo (1451) e a Lorenzo il Magni fico (1473) e, quasi in chiusura del secolo, prima che la grande svolta a favore del volgare rivoluzio nasse del tutto i termini del rapporto latino - vol gare, due estratti dalle Notationes del romano Paolo Pompilio (intorno al 1485), De antiquitate linguae latinae e Latinum sermonem olim promiscuum fuisse. II lavoro condotto su questi brevi opere o fram menti di opere non e, ne voleva essere, un lavoro filologico: per molte di esse il testo e ancora infido e la cronologia non ben definita, ma Tavoni ha per seguito la linea della interpretazione e non della ri costruzione testuale, limitandosi a riprodurre, con pochi ritocchi, le edizioni o le stampe esistenti, con la sola eccezione delPautografo Par. lat. 8691 per VApologus valliano e del Vat. lat. 2222, unico te stimone delle Notationes del Pomilio. Molto accu rata e stata quindi la individuazione e sistematica segnalazione di tutti gli elementi utili alia compren sione: in particolare le corrispondenze interne tra i diversi testi e le fonti a cui i singoli autori hanno attinto, spia, queste ultime, di particolari attenzio ni culturali o di ottiche di lettura e, nuovamente, di coincidenze o scarti tra opera e opera ? VIndice delle fonti funge, in tal senso, anche da opportuno quadro sinottico. Per ripercorrere brevemente l'intera questione penso sia funzionale prendere le mosse dalla anali si della posizione centrale di Lorenzo Valla: cen trale non tanto cronologicamente, ma concet tualmente, poiche l'indagine che Pumanista ro mano svolge sui testi a lui precedenti ? quello di Poggio, piu direttamente, ma in modo esplicito an che, o soprattutto, quello del Bruni e indirettamente almeno di Biondo e Alberti ? aiuta a leggere in una luce del tutto perspicua i predecessori. Come ha giustamente notato Tavoni, VApologus contro Poggio nasce da una volonta prevalentemente ne gativa, dall'intento cioe di ridicolizzare e distrug gere con tutte le armi della sofistica le affermazioni delFavversario, mostrandone le contraddizioni e i fraintendimenti. Non facile, dunque, e ricavare dal breve dialogo la convinzione positiva del Valla sul la questione del latino: ma l'impresa e resa piu fa cile se il testo polemico antipoggiano viene cor relato ad altre pagine valliane con problematica si mile. Cosi ha fatto Tavoni, avvicinando dXYApo logus settori delle Elegantiae (i proemii soprattutto), dell' Antidotum in Facium e dc\V Antidotum in Po gium, delle epistole, deWOratio in principio sui studii. Interpretando e seguendo il testo del Bruni, che era stato oggetto di critica nella Desceptatio convi valis di Poggio, e ponendosi suo ideale continuato re, il Valla sostiene che tutta la popolazione latina, ovvero romana (e la coincidenza terminologica la tino - romano e, ai tempi classici, di tipo genetico, poiche la organizzazione politica e la lingua nac quero e si diffusero da Roma) parlava latino, sen za sostanziale gradualita, poiche il ?tipo? linguistico era identico. La differenza era per 6 a livello strut turale: i dotti utilizzavano un latino ?grammatica le?, che ?custodivit? gli elementi ?que grammatica precipit?, e cioe ?inflexionem...casuum,...partici pia.. .atque gerundia supinaque,.. .derivandi.. .usum? (Valla 77-88, soprattutto 85, che si riferisce ? ?de quo Leonardus querebat? ? a Bruni 32 e seguen ti); il volgo al contrario parlava un latino a strutturale, ignaro di regole (?nullum litter at i soni verbum in ore est vulgi?: Valla 83, eco di Bruni 34 ?sine disciplina et regula?). La situazione pre sente e, per il Valla, identica alia passata, cioe di una analoga diglossia, per usare una espressione ve ramente calzante di Tavoni: tutta la popolazione latina, ovvero romana (e qui viene ripetuta la iden tita latino - romano, secondo uno schematismo non certo convincente, ma di cui capiremo tra breve il perche) si esprime attualmente ?latine?, ma, di nuo vo, da una parte ?grammatice et litterate?, dalPal tra ?vulgariter?, con indifferenza alle regole. Se mutazione tra passato e presente si riscontra, e so lo a livello di un parziale inquinamento, a causa delle invasioni barbariche, del livello latino dotto e della sua degenerazione nel latino medievale, sca duto da lingua grammaticale a lingua agrammatica le, nella sfera bassa e variegata del ?volgare? latino. II discorso va logicamente spiegato e motivato nella sua portata e nelle sue conseguenze. II primo elemento che balza alPocchio e Passoluta indiffe renza del Valla per il volgare contemporaneo: in nessun modo egli avrebbe potuto sostenere una reale ripetizione della diglossia antica se avesse avuto co scienza e conoscenza della peculiarity del volgare ? e infatti umanisti piu attenti (Biondo e Alberti), This content downloaded from 91.229.229.177 on Sun, 15 Jun 2014 13:55:41 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp RF.CENSIONI 409 come vedremo, avevano gia colto il diverso esito della contaminazione tra lingue barbariche e lati no, con la nascita di una realta nuova, il volgare, dotata di autonomia. II secondo elemento interes sante e la polarizzazione sulPendiadi latino - ro mano e in particolare la convinzione che Tunica parlata ?volgare?, cioe a-grammaticale, che si pos sa ancora chiamare latino sia quella dei Romani (?ego vero etiam hodie Romanos loqui latine fa teor?: Valla 73): attorno al filone principale lati no - romano esistono anche altri ?volgari?, definiti ?vernaculi? (?est civitatum sua cuiusque vernacu la [lingua], ut Florentinorum florentina, ut Nea politanorum neapolitana, ut Venetorum veneta?: Valla 44), una pluralita di lingue estranee al cep po latino, e piu precisamente derivate dalle parla te pre-latine, a lungo, durante i secoli felici dell'impero romano, soffocate dalla diffusione glo riosa dell'unica lingua latina, e solo ora, alia rot tura delPunita linguistica, riaffioranti con specifica autonomia. Ma al discorso della lingua ?vernacu la? il Valla accenna di sfuggita, sia nell'Apologus sia nell'arco della sua produzione, come ad argo mento non degno di riflessione e che quindi egli non si sforza in alcun modo di precisare. Questa posizione peculiarissima ? che Tavoni ha, nel volume, dimostrato con una ricca serie di citazioni, qui ovviamente in larga misura sottinte se, e che ha ulteriormente chiarito con un impor tante intervento su Lorenzo Valla e il volgare nel recente convegno sul Valla dell'ottobre 1984 ? si radica, a mio avviso, in una motivazione che emer ge dalla analisi di Tavoni, ma che val la pena di esplicitare meglio. A monte di qualunque convin zione c'e, nel Valla, una esigenza logica di chia rezza: l'ossessione, potremo dire ? presente in tutti gli scritti ? di individuare in modo rigoroso e per manente un codice espressivo unico, un punto di riferimento assoluto e immutabile. Non a caso viene ripresa, nell'opera testamento, VOratio in princi pio sui studii, la figura della Torre di Babele, co me realta esorcizzata e da esorcizzare: perche gli uomini possano godere del dono divino della pa rola e comunicare tra loro, occorre che la lingua ? lessico e struttura ? sia univoca. Non esiste insomma altra logica che la logica della parola, una e definita, in un rapporto chiaro con la cosa espressa, a cui fare sicuro riferimento nell'intesa reciproca. II codice e individuato dal Valla nel la tino, per le sue privilegiate caratteristiche intrin seche come strumento di conoscenza, e di conseguenza per la storica funzione che ha eserci tato nei secoli, civilizzando e unificando i popoli. Ma affinche il codice si mantenga bisogna che si mantenga eternamente la situazione originaria: rompere la ?coine? classica latina o inquinare il linguaggio originario vuol dire troncare ogni dia logo valido tra gli uomini. Cio spiega, dunque, tante prese di posizione del Valla. L'attacco al latino medievale (in molti scrit ti, ma in particolare nelle Raudensiane note e nella Dialectica) in quanto caratterizzato da evoluzioni e percid ? nell'ottica del Valla ? deformazioni di significati, da una parte, e dall'altra dalla innatu rale pretesa di caricare parole comuni di valenze metafisiche o di coniare nuovi termini per esprime re realta soprannaturali umanamente invece non de finibili. L'amore, all'inverso, per il lessico dei giuristi classici, cosi importanti ?in verborum interpreta tione?, come ricorda il III proemio alle Elegantiae: e quindi il ricorso alia terminologia del Digesto ? essenzialmente e costitutivamente rigorosa poiche deve garantire la certezza del diritto ? ogni qual volta sia importante precisare il rapporto tra signi ficato e significante (perfino le postille autografe di commento al testo di Quintiliano nel Par. lat. 7723 sono ricche di riferimenti ai giuristi classici, come ha sottolineato di recente Lucia Cesarini Mar tinelli durante il gia menzionato convegno di studi valliani). La polemica sistematica col Facio e con Poggio in ordine a loro impropriety e imprecisioni terminologiche, causa di incomprensioni ed equi voci; e, di conseguenza, e soprattutto, lo sforzo po deroso per restaurare la ?elegantia? (valore ovviamente non formale, ma sintesi tra correttezza semantica e espressione coerente e logica) della au tentica lingua latina antica. E, infine, la ?necessi ta? di vedere il mondo latino in una intrinseca unita, pur rigorosamente distinta tra ambito grammati cal e a-grammaticale; e di rivedere aprioristicamen te la medesima radicale unita nei tempi presenti ? copia conforme del passato ? polarizzando l'at tenzione sull'ambito romano, quasi che, essendo stata Roma la culla della lingua e deH'impero lati no, il ?volgare? romano avesse mantenuto un rap porto privilegiato ed esclusivo con il ?tipo? linguistico latino superiore (in questo senso e indi cativa anche la nota lettera polemica del Valla con tro la Laudatio florentine urbis del Bruni, opportunamente citata da Tavoni: esaltare Firenze come continuazione e alternativa a Roma, ?quasi ipsa Roma extincta sit?, significa frantumare l'u niversalita romana in nome del particolarismo an che linguistico)1. II sostanza la posizione del Valla fu, per questa parte, astratta e antistorica, come bene ha notato Tavoni, in contrapposizione ad opinioni differen ti, di un Valla attento al divenire storico della lin gua: e la esigenza nobile di definitiva chiarezza non giustifica del tutto la assoluta cecita nei confronti dei tempi nuovi e in particolare della reale essenza del nuovo volgare, sia a Roma, che nel resto d'lta This content downloaded from 91.229.229.177 on Sun, 15 Jun 2014 13:55:41 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp 410 RECENSIONI lia, che nei paesi romanzi, e della sua differenzia zione del latino medievale. Accettata quella che po tremmo chiamare la grande illusione del Valla, occorre perd precisare come Patteggiamento val liano interno alia sfera del latino sia invece apertis simo e concretissimo. Tavoni ha isolato nel VApologus e tra le pagine della restante produ zione un nucleo tematico importante: la distinzio ne, di matrice quintilianea, tra ?grammatice loqui? e ?latine loqui?, distinzione che porta a identifica re livelli linguistici ulteriori. Nel grande bacino del comune ?latine loqui?, c'e, abbiamo visto, un par lare ?vulgariter?, a-grammaticale, e un parlare ?grammaticale?, rispettando la struttura gramma ticale; ma questo livello alto si specifica in un par lare e ancor piu in uno scrivere seguendo solo pedissequamente le regole schematiche e riduttive dei grammatici ? ?grammatiche loqui? ?, oppu re in un ?latine loqui? basato sul recupero attento della ?consuetudo auctorum?, delPuso linguistico, ricco e complesso, vario e articolato, di tutti gli au tori della classicita, dai primi secoli della lingua al IV secolo2. La chiarificazione, basata correttamente su uno dei molteplici distinguo terminologici di cui parla vo alPinizio (tra un ?latine? e ?grammatice loqui? solo tipologico e un ?latine? e ?grammatice loqui? in senso stilistico-retorico), permette di focalizzare l'aspetto positivo della concezione valliana del la tino: una lingua (e una situazione linguistica) inte sa ad immagine, e senza radicale soluzione di continuity, di quella classica, ma, proprio perche intesa cosi, utilizzata come una lingua viva, non fos silizzata in formule rigide, ma aperta a tutti i sug gerimenti del passato. Qui sta la grossa differenza tra il Valla e altri umanisti (ad es. il Facio), piu le gati, nel comune restauro quattrocentesco del lati no, alle sole fonti dei grammatici e non alia lettura diretta degli ?auctores?: e perci6, implicitamente, convinti che il latino fosse lingua morta, immobi lizzata in regole immutabili. E qui sta anche la ma trice delP originate discorso valliano relativo ai neologismi: se una lingua e viva, va continuamente arricchita di nuovi termini che esprimano con pre cisione cose o situazioni nuove rispetto all'antichi ta. Di fronte alle novita il Facio suggeriva di coniare circonlocuzioni con parole della tradizione classica ? poiche e impossibile arricchire una lingua che si considera finita ?; il Valla, invece, come ha messo in evidenza Tavoni, riprendendo scoperte di Beso mi3, ritiene indispensabile che ogni realta sia con traddistinta da un nome ?proprio? (la solita esigenza di chiarezza espressiva) e che, qualora tale nome non sia recuperabile nel passato illustre ove Pog getto corrispettivo non esisteva, debba essere de sunto dalP?uso? del ?volgo?. II discorso e stimolante, ma delicato, e vale la pena di approfondirlo. Giustamente Tavoni osser va che il volgare a cui il Valla si riferisce qui non e altro che il ?piano inferiore? a-grammaticale del latino grammaticale, generalmente da rifiutare, ma, quando se ne ravvisi Popportunity, funzionale ser batoio di termini nuovi. Nessuna anomala apertu ra al volgare moderno, quindi; ma e strabiliante, aggiungerei, che, ancora una volta, il Valla non si sia accorto della incongruenza storica in cui cade va. Se una lingua e viva e in continuo arricchimen to, deve avere, oltre a una storia passata a cui fare riferimento per garantire la continuity, una vasta base di parlanti, e a piu livelli, dotti e plebei, che sistematicamente garantisca il ricambio. Come iden tificare la ?zona? delP?uso? (la ?communis loquen di consuetudo?, da distinguersi naturalmente dalla dotta ?consuetudo auctorum?, ?zona? dell'uso scritto letterario) solo nel reietto latino medievale o nelPancor piu reietta parlata romana, ultimo gra dino ?volgare? del latino? E poi, come e con quali strumenti riconoscere la espressione che ?vulgo multi utuntur? idonea ad essere assunta al livello alto del latino? Nel saggio di Besomi sui neologismi del Valla viene individuata la fonte ? per lo piu nel latino medievale ? dei nuovi contii: ma un criterio uni voco non emerge con chiarezza. In un solo punto, nelPincertezza tra due nomi, il Valla enuncia una teoria: ?plus viris habet plurimum usus?4; ma quale uso e di chi? Chiarissimo, pero, per il Valla, quando non e opportuno ne necessario attingere al ?volgare?: la lezione viene dalle Raudensiane note (che Tavoni utilizza solo di striscio nel volume ? piu largamente nel saggio su Lorenzo Valla e il vol gare ? e che e opera di estremo interesse pratico e teorico): e vietato ricorrere a espressioni delPuso medievale o contemporaneo quando esse non indi cano cose nuove, ma realty giy presenti nel mondo antico, per le quali quindi vive il nome illustre clas sico, lampante riferimento per tutti i parlanti5. Va inoltre notato come molti dei vocaboli raudesiani rifiutati (?raudensia sunt et non latina vocabula? proclama sdegnato in chiusura il Valla) siano vo caboli sentiti come ?vernaculi?, regionali, extra romani, e quindi doppiamente fuori deH'alveo la tino (?qui unquam 'induciari' audivit pro eo quod est 'morari' aut 'differre', nisi qui vernacula tuae gentis lingua loquitur, non latina??)6. Messa cosi a fuoco la concezione del Valla, coi suoi pregi, le sue aporie, i problemi non risolti o addirittura non posti, possiamo domandarci se, co me sostiene Tavoni, quello del Valla fosse davvero anche il punto di vista del Bruni. 6 noto infatti che, a tutt'oggi, le posizioni dei due iniziatori della con tesa culturale, Biondo e Bruni, erano state cosi de finite: Biondo, assertore di una classicita dotata di This content downloaded from 91.229.229.177 on Sun, 15 Jun 2014 13:55:41 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp RECENS10NI 411 un'unica lingua latina, comune ? con variazioni solo stilistiche ? sia ai dotti (e alle opere scritte) che al volgo (e alia sfera del parlato), nata e diffu sa nello scambio naturale dei parlanti e quindi per fezionata dagli uomini colti, alia quale avrebbe fatto seguito, a causa delle invasioni barbariche, un tempo presente caratterizzato da un'unica nuova lingua ?mista?, il volgare, esito spregevole di lati no mescolato a barbarismi (e come tale da rifiu tarsi da parte dei dotti, con un volontario recupero del latino classico, elegante e ricco, nelle opere scrit te); Bruni, sostenitore di una bipolarita linguisti ca permanente, latino e volgare ? inteso questo nell'accezione moderna ? coesistenti ab initio nei due linguaggi paralleli dei letterati e degli illette rati (con la conseguente valorizzazione, nel perio do attuale, del volgare stesso poiche dotato di ?radici romane?). In questo senso ogni rapporto del Valla col Bruni e davvero impossibile, e comprensibile invece il suo tradizionale avvicinamento al Biondo. L'attenta lettura di Tavoni ha pero, correttamente, capovolto i termini. II distacco del Valla dal Biondo e, anche a mio avviso, evidente, sia per la concezione, nel Biondo, di una unita latina indifferenziata e, nel Valla, di una unita radicale, ma contraddistinta tra grammaticalita e a-grammaticalita, sia, soprat tutto, per il riconoscimento, storicamente atten to, da parte del Biondo, della realta nuova del volgare ? comunque essa debba poi essere giudi cata ?, e per la sostanziale sordita al medesimo volgare da parte del Valla. E perfino sul proble ma dei neologismi, avvertito da entrambi e in fondo analogamente risolto, c'e una differenza sostan ziale, almeno nelle intenzioni: per entrambi il co nio di nuove parole latine onde indicare cose nuove deve inevitabilmente passare attraverso il volgare coevo, che ha gia dato un nome alle realta ad esso contemporanee, ma nel Biondo questa operazio ne e sentita come uno sgradevole, se pur necessa rio, abbassarsi alle profferte di una lingua degenerata e di versa, nel Valla come un entusia smante arricchimento dell'universale latino attra verso il ricambio permanente che proviene dalla sfera, interna al latino stesso, dell'?uso?. E per il rapporto Valla - Bruni? Va innanzitut to messo in evidenza, come Tavoni fa, che la let tura finora canonica del discorso del Bruni era ricavata dalla forzata interpretazione che ne dava il Biondo, divenuta vulgata opinio: mentre l'epi stola del Bruni non dice in nessun modo che nei tempi classici esistesse lo stesso volgare dei suoi tempi, ne, tanto meno, che il pregio del volgare toscano derivasse dalla sua antichita classica. E in vece piu aderente al testo del Bruni Panalisi che ne fa il Valla ne\VApologus II, assunta esplicita mente anche da Tavoni : per il Bruni, come per il Valla, esisteva ed esiste un'unica dimensione lin guistica latina, distinta in una diglossia tra la sfera grammaticale, prestigiosa ed esemplare, raggiungi bile solo da parte dei letterati (?latine litterateque loqui? per il Bruni, ?litterate? o ?grammatice lo qui? per il Valla) e la sfera a- grammaticale del ?ser mo vulgaris?. E a questo proposito, osserva Tavoni, la lezione del Bruni ha, come quella del Valla, e non del Biondo, un suo pesante, se pur diverso, antistoricismo: nel divaricare Tunita latina in una diglossia il Bruni si fa forte del convincimento del la impossibility per il volgo (?impossibile esse?: Bru ni 30) di parlare nativamente la complessa lingua grammaticale, necessitante invece di maestri e di lunghe scuole; ma non si accorge, cosi, di interpre tare i tempi antichi alia luce di quelli moderni e della moderna difficolta di impadronirsi, appunto esclu sivamente attraverso maestri e scuole, di una lin gua non piu propria ne viva e nativa, ma astratta e lontana, senza humus naturale comune. Una lin gua che, osserva ancora Tavoni, tende ad assume re le connotazioni del latino = ?grammatica? (lingua di perfezione artificiale e convenzionale), di medievale e dantesca memoria. II pensiero del Valla procede poi oltre, rispetto a quello del Bru ni, ed arriva a concepire il latino, come abbiamo visto, non solo lingua di alta dignita, bensi orga no, vivo e eterno, di conoscenza e comunicazione tra gli uomini: ma la radice del discorso e veramente analoga a quella dell'Arentino. Cio non toglie che la soluzione Valla (Tavoni) non persuada del tutto, non tanto perche non sia Tunica formalizzazione possibile della teoria bru niana, ma perche, a mio avviso, una formalizza zione del tutto non e possibile. E il punto dolente riguarda il volgare contemporaneo. Se il Valla, nel suo ambiente romano e col suo esclusivo impegno di studioso, poteva ?non vedere? il volgare con temporaneo, il Bruni, a Firenze e impegnato nella realta civile fiorentina come Cancelliere, non pote va non avvertire la tipicita e Turgenza della nuova lingua. Di conseguenza, il sistema teorico brunia no contiene gia in sede di formulazione delle in congruenze che vanno messe in luce. Come raccordare con la tesi di fondo che il volgare era ed e una variante grammaticalmente amorfa del la tino, di versa non lessicalmente ma sul piano mor fosintattico, i ripetuti riferimenti a ?significationes? diverse del ?sermo vulgaris? rispetto a quello ?lit teratus?? Si leggano i paragrafi 35-38 e soprattutto 42-43, con gli esempi riportati (i ?rustici? dicevano ?vella? e ?vellatura?, i ?litterati? ?villa? e ?vectu ra?) e la conclusione ?ergo aliter vulgus, aliter lit terati nuncupabant?. Ancora, in base a quali elementi giustificare una lode del volgare ?non lit This content downloaded from 91.229.229.177 on Sun, 15 Jun 2014 13:55:41 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp 412 RECENSIONI teratus? quale quella formulata nei paragrafi fina li (49-53) della lettera, in riferimento esplicito sia al passato che al presente? Un volgare ? si ribadi sce ? in cui ?non casus inflecterent, aut verba va riarent ac terminarent litterate?, ma comunque ?purum et nitidum ac minime barbarum? (cioe, se ho ben capito, partecipe della autoctonia lessicale latina), che ?habet...commendationem suam, ut apud Dantem poetam et alios quosdam emendate loquentes?. Come puo un ?sermo? avere titoli di merito solo a livello di purezza lessicale? E inoltre, come far corrispondere le affermazioni delPepistola con quelle delle Historiae florentini populi e delle Vite di Dante e Petrarca, con il riconoscimento non poi tanto larvato del ?grosso stile? toscano, dalle radici anche prelatine, e in quanto tale evidente mente impossibilitato a correlarsi in diglossia col latino grammaticale passato e presente? Opportu namente Tavoni sottolinea la motivazione politico - campanilistica sottesa alle Historiae, alle Vite (cosi come alia gia ricordata Laudatio e, pur nella loro ambiguita, ai Dialogi ad Pet rum Hist rum): ma que sto motivo e evidentemente presente, in modo quasi inconscio, anche nella lettera al Biondo, in cui la specificita del volgare contemporaneo, la sua im portanza a Firenze, la sua dignita letteraria sem brano quasi emergere contro la volonta del Bruni a disarticolare l'organica struttura di pensiero pre disposta. La soddisfacente messa a punto, tramite Valla, delle opinioni di Biondo e Bruni permette a Tavoni di definire con chiarezza anche le opinioni crono logicamente successive. Interessantissime le pagine dedicate all'Alberti e alPambiente fiorentino del Cer tame coronario del 1441. La linea albertiana, nel proemio al III libro della Famiglia, nell'ideazione del Certame e nella Grammatica della lingua tosca na, parte senza dubbio dalla posizione del Biondo, ma capovolgendola nelle conclusioni: ormai il vol gare, nuova lingua uscita dal tragico bagno del la tino nelle lingue barbariche, e ?lingua commune? (Alberti 9), cosi come nella classicita era lingua co mune per tutti il latino, e quindi occorre esprimersi nella lingua che tutti capiscono, per ?giovare a mol ti? invece che ?piacere a pochi? (Alberti 19); an che perche il volgare e lingua che ha raggiunto una sua struttura (fa, cioe, ?variare casi e tempi, e con cordat: Alberti 13) e necessita solo di un perfe zionamento che i ?dotti? con ?studio e vigilia? (Alberti 24) potranno dargli. II perfezionamento, da quanto risulta dagli scritti stessi dell'Alberti, in particolare quelli sentiti come piu esemplari (il IV libro della Famiglia, ad es.), si doveva raggiungere razionalizzando la struttura del volgare parlato con la forte assimilazione di costrutti latini. Nulla di piu lontano dal Bruni e dai fiorentini in genere, o arroccati nella difesa del latino tout court o portati a difendere il ?proprio? volgare trecentesco: e non a caso il tentativo albertiano, magnifico in se, fu ?sconfitto e irripetuto? ? uso espressioni di Tavo ni ? e pose l'Alberti in una situazione appartata ed ambigua nei confronti dell'ambiente di Firenze; da cui lo divideva, tra l'altro, anche una sostanzia le sfiducia verso la cosa pubblica e l'impegno poli tico e l'aspirazione al ?privato? della famiglia, della consorteria, del ceto sociale ? simili tematiche so no latenti nei libri della Famiglia ed evidentissime nell'ultima opera, il De iciarchia, che sigilla, anco ra in volgare, la carriera letteraria dell'Alberti. II richiamo a questo scritto tardo e opportuno anche perche Tavoni afferma che con il soggiorno fioren tino del 1434-42 ? per la verita interrotto da tre anni passati a Bologna ? l'Alberti avrebbe abban donato Firenze e la scrittura in volgare: al contra rio, vi fu un ritorno a Firenze, probabilmente ripetuto, negli anni '60 e, proprio alia fine della vita, una ripresa del volgare con il dialogo De iciar chia, nuovamente ambientato a Firenze7. II discor so intorno all'esperienzaalbertiana andrebbe quindi ripreso seguendo anche questa pista; e riflettendo pure sulla cordiale adesione che Cristoforo Landi no ? eccezione unica, ma problematica ? garanti alPAlberti, a Firenze, sempre nell'ultimo quarto di secolo, attraverso numerosi interventi: ?l'uomo che piii industria abbi messo in ampliare questa lingua che Battista Alberti certo credo che nessuno si truo vi. Leggete, priego, e' libri suoi e molti e di varie cose compositi, attendete con quanta industria ogni eleganzia, composizione e dignita che appresso a' latini si truova si sia impegnato a noi trasferire?8. Da Firenze a Ferrara, cambiano le connotazioni culturali e ambientali. II capitolo dedicato a Gua rino e, a mio avviso, uno dei piu lucidi e organica mente costruiti del libro, perche Tavoni ha saputo cogliere e sviscerare ? con una adeguata disamina delle fonti ? la logica stringente del testo guari niano e la sua peculiare ottica grammaticale. II mae stro di tante generazioni di umanisti e l'autore delle Regulae grammaticales entra nella questione con una metodologia argomentativa che lo distingue dal modo di procedere di tutti gli altri e che lo porta a conclusioni via via divergenti. Dal Bruni (e in que sto senso anche dal Valla) lo separa l'idea di una originaria ?latinitas? per tutti ?litteralis? ovvero ?grammatica?, idea basata sul recupero del signi ficato primario delle ?litterae?, corrispondenti, se condo il linguaggio della grammatica classica, agli elementi del linguaggio articolato: nell'espressione umana distinta da quella animale, e percio a tutti naturalmente propria e acquisibile con l'uso, sta dunque il motivo vero dell'unita. Dal Biondo inve ce lo divide la rigorosa, e di nuovo grammaticale, This content downloaded from 91.229.229.177 on Sun, 15 Jun 2014 13:55:41 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp RECENS10NI 413 distinzione, aH'interno della comunita dei parlan ti latino, di una seconda ?latinitas?, caratterizza ta non tanto e non solo da scarti stilistici rispetto alia prima, ma dal possesso della ?norma loquen di?, quindi dalla capacita della scrittura (e cioe delle ?litterae? in una seconda, pregnante accezione) e dell'organizzazione grammaticale (e cioe della ?grammatica? in accezione piena). Dall'Alberti, infine, lo separa il rifiuto radicale (il piu grave fi nora espresso) della qualifica di ?litteralis? al vol gare moderno ? identificato, nella linea di Biondo, come nuova creatura nata dalla degenerazione del latino al seguito delle invasioni barbariche ?, in entrambi i sensi, sia di purezza lessicale, corret tezza prosodica e struttura morfosintattica, sia, pri ma di tutto, di voce umana articolata (?vulgare nullum habeat suae locutionis idioma?: Guarino 43), e percio di lingua tout court. L'affascinante puntualizzazione guariniana, at tenta con competenza a discriminare termini e a precisare significati, e a dare sistemazione gram maticale a discorsi precedenti in parte solo intuiti vi, e di fatto, come afferma Tavoni, l'apporto piu razionale alPintero discorso umanistico sulla lin gua. Ed e percio tanto piu significativo il ripudio senza speranza del volgare: non disinteresse per la nuova forma espressiva o misconoscimento di una sua autonomia e di una sua struttura o acco rato rammarico per la degradazione del latino, ma addirittura motivata negazione del diritto di esi stere. E correttamente Tavoni ricava l'apparente mente assurda conclusione nuovamente dal concetto forte di ?littera?, che e alia base della teoria guariniana: in nessun modo, nell'ottica di Guarino, poteva assurgere alia dignita di lingua, con una sua intrinseca ed ordinata razionalita di base, quell'insieme di vari dialetti, disomogenei nel la fonetica e nella grafia e privi di sostanziale, re golata unita espressiva che costituivano il volgare, specialmente padano. Siamo all'approdo ultimo dell'opposizione al volgare: per scardinare la qua le ci sarebbero voluti strumenti teorici diver si e, piu modestamente, una maggiore attenzione all'e sperienza. Dopo Guarino, a parte il Valla ? con la sua attenzione al latino quale supremo mezzo di espres sione univoca ? i punti di vista dei successivi par tecipanti al dibattito hanno meno interesse: Poggio e seguace, in modo personale e vivacissimo, ma piu fattuale ed empirico che teorico e problemati co, del punto di vista del Biondo; il Filelfo sem bra entrare nella polemica solo per avere un qualche materiale di cui discutere in due lettere che sono di fatto richieste di raccomandazione: e infatti, per semplificarsi il lavoro, utilizza e saccheggia, sem pre rimanendo sulla linea del Biondo, i testi piu recenti, in particolare quello di Poggio ? come ben ha dimostrato, con puntuali riscontri, Tavoni9; Pao lo Pompilio riprende, con un'ultima adesione, la tesi di Biondo Flavio e conclude il dibattito quat trocentesco. A chiusura del dibattito e del libro, attraverso il quadro concretissimo, variegato (il prezioso In dice conclusivo degli argomenti e dei termini lin guistici aiuta ulteriormente a puntualizzare, oltre che a recuperare, sinonimie e opposizioni), denso di novita, che ne e emerso, rimane una convinzio ne forte: la ?questione della lingua? e problema da collocare e rivisitare anche nelPambito dell'intero secolo XV, che lo affronto certo e risolse in modo del tutto peculiare e in fondo chiuso, ma pose co munque interrogativi e sollevo problemi che non possono essere ?saltati?. Mariangela Regoliosi 1 L. Valle Epistole, O. Besomi - M. Regoliosi edd., Padova 1984, nr. 7. Andra smentita la sug gestiva ipotesi di un rapporto della lettera anche con le Vite di Dante e Petrarca del 1436, dove piu esplicita appare la valorizzazione del volgare toscano da parte del Bruni, poiche la lettera del Valla si si tua, mi pare con certezza, nel 1435. 2 Un debito largo nei confronti della classicita e invocato soprattutto nell' Antidotum in Facium. In altre opere, per motivi diversi, di funzionalita di dattica o di polemica, il Valla si vedra costretto a isolare un certo numero di autori ben definiti, co me modelli di lingua e stile. Ma l'apertura agli au tori piuttosto che ai grammatici rimane elemento costitutivo del suo messaggio. 3 O. Besomi, Dai ?Gesta Ferdinandi regis Ara gonum? del Valla al ?De Orthographia? del Tor telliy ?Italia medioevale e umanistica?, IX (1966), pp. 75-121. 4 Ibid., pp. 87-88 e 115. 5 Ho accennato a questo discorso in M. Rego liosi, Umanesimo lombardo: la polemica tra Lo renzo Valla e Antonio da Rho, in Studi di lingua e letteratura lombarda offerti a Maurizio Vitale, vol. I, Pisa 1983, pp. 170-179, soprattutto 178-179. 6 Cito dalVeditio princeps, Venezia 1481, p. XXIII r. 7 Leon Battista Alberti, Opere volgari, a c. di C. Grayson, II, Bari 1966, p. 442. 8 Dair Orazione fatta per Cristoforo da Prato vecchio quando comincib a legger i sonetti di Mes ser Francesco Petrarca in Istudio (1467 circa), in C. Landino, Scritti critici e teorici, a cur a di R. Cardini, Roma 1974, pp. 35-36. Altri riferimenti all'Alberti alle pp. 36-38, 59 e seguenti, 117, 120, This content downloaded from 91.229.229.177 on Sun, 15 Jun 2014 13:55:41 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp 414 RECENSIONI 138 e passim. 9 Un solo elemento congiuntivo andra elimina to o per lo meno ridotto di importanza: il sintagma ?exsibilatur, exploditur? presente in Poggio 145 e in Filelfo I 18 non e una citazione non testuale e riassuntiva di Cic. Or. 173 coniata da Poggio e in quanto tale ripresa dal Filelfo, ma, in entrambi, ci tazione esplicita di Cic. Parad. 26 ?Poeta si versus syllaba longior aut brevior fuerit exsibilatur, explo ditur?, presente anche in L. Valle Antidotum in Facium, M. Regoliosi ed., Padova 1981, IV 2, 19, in un contesto (IV 2, 19-20) che avrebbe fatto la delizia dei sostenitori (il Biondo in primis) delPi stintiva sensibilita degli antichi ? in questo caso del mondo greco, attraverso l'esempio di Demost. XVIII 52 ? nei confronti della propria lingua e in particolare della prosodia. D. J. Geanakoplos, Byzantium, Church, Society, and Civilisation Seen through Contemporary Eyes, University of Chicago Press, Chicago - London 1984. Un volume di pp. XXXII - 485. Questo volume e un prodotto dell'attuale revi val di interesse per il mondo bizantino, la cono scenza del quale si cerca di diffondere anche presso il grande pubblico (che poi questa civilta abbia molto da dirci oggi, resta per lo meno ancora da dimo strare). La strada migliore resterebbe ? a mio mo desto avviso ? quella di offrire traduzioni moderne (come quella stupenda di Silvia Ronchey della Cro nografia di Psello recentemente pubblicata dalla Lo renzo Valla) delle ? poche ? opere bizantine veramente leggibili: dopo Psello un altro candida to mi parrebbe Niceta Coniate. Si batte pero anche l'altra via, quella delle antologie (come Bisanzio nel la sua letteratura stampata ora da Garzanti) che, tuttavia, nonostante gli accorgimenti restano sem pre scolastiche e tediose. La megaantologia del Geanakoplos vuole abbrac ciare non solo la letteratura, ma la civilta bizantina nel suo complesso, presentandola, ? in maniera tipicamente americana ? sminuzzata in tanti pic coli episodi di vario genere nel tentativo di darcene un'immagine in action. II materiale e diviso in sei sezioni, precedute da un breve schizzo della storia bizantina e completato da un'appendice A con l'e lenco degli imperatori, da un'appendice B con Tin dice del contenuto disposto cronologicamente, un'appendice C di 7 (brutte) cartine, e dall'Indice vero e proprio. La prima parte, ?L'impero univer sal, e divisa in sette capitoli (L'immagine delTim peratore; la successione al trono; la corte e la burocrazia; le tasse; Pamministrazione provincia le; le leggi; il senato); la seconda e dedicata alia ?Di fesa delPimpero? (L'esercito; la marina; la diplomazia); la terza alia ?Chiesa? (II trionfo del Cristianesimo; relazioni fra Stato e Chiesa; i con cili ecumenici e il dogma; l'amministrazione della Chiesa: il clero secolare; il monachesimo come isti tuzione; la spiritualita monastica; chiese, devozio ne e liturgia; le reliquie di Bisanzio; i rapporti fra Oriente e Occidente e lo scisma); la quarta alia ?Vita sociale ed economica? (La vita rurale: coloni e pos sidenti; i cittadini; deportazioni; commercio e in dustria a Bisanzio; casa e famiglia; filantropia e assistenza pubblica; divertimenti); la quinta a ?Bi sanzio e il mondo? (Germani e Unni; Bisanzio e i Persiani, Arabi e Armeni; Bisanzio e gli Slavi; Bi sanzio e l'Occidente; i Turchi); la sesta alia ?Cul tura bizantina? (L'influsso dei classici; l'educazione bizantina; i generi letterari; la scienza bizantina; epilogo). A cosa serva questo libro e a chi sia destinato rimane per me un mistero. Nonostante le brevi pre messe illustrative a ciascun brano, una lettura con tinuativa del volume penso gareggi in noiosita con quella degli Excerpta historica di Costantino VII (per rimanere in ambito bizantino), data la man canza di concatenazione logica fra i vari estratti al l'interno di ogni sezione. Se non e un libro ameno, non e neanche un'opera didattica, data la sua fram mentarieta e incompletezza, e ancor meno un lavo ro scientifico. Si tratta piuttosto di un libro di curiosita bizantine che il lettore comune puo forse divertirsi a sfogliare, e lo specialista potra eventual mente prendere in mano per vedere se dell'argo mento che studia c'e qualcosa che gli sia sfuggito. Carlo Maria Mazzucchi J. Mallet - A. Thibaut, Les manuscrits en Ventu re be*n6ventaine de la Bibliotheque Capitulaire de Btnevent, Tome I: manuscrits 1-18, CNRS, Paris 1984. Un volume di pp. 352, con XVIII tav. II libro si presenta come il primo volume di cata logo dei manoscritti della Biblioteca Capitolare di Benevento (codd. 1-18). In realta contiene molto piu di quanto il titolo con sobrieta annuncia. Si ar ticola in quattro parti: storia della biblioteca che conserva i codici, descrizione dei medesimi, edizio ne di inediti in essi contenuti, indici analitici. La storia della biblioteca non intende essere trat tata in modo globale, ma solo e spiegata la presen za dei codici in loco e sono rintracciati gli assenti. Allo scopo gli autori si muovono fra riposta biblio grafia locale, antica e moderna, e notizie a raggio europeo, con erudizione erede della piu lucida tra This content downloaded from 91.229.229.177 on Sun, 15 Jun 2014 13:55:41 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp Article Contents p. 407 p. 408 p. 409 p. 410 p. 411 p. 412 p. 413 p. 414 Issue Table of Contents Aevum, Anno 59, Fasc. 2 (maggio-agosto 1985), pp. 163-430 Front Matter DA NICOLÒ LEONICENO A MATTEO MARIA BOIARDO: PROPOSTA PER L'ATTRIBUZIONE DEL VOLGARIZZAMENTO IN PROSA DEL "TIMONE" [pp. 163-177] MISCELLANEA ZU ARDOS "VITA S. BENEDICTI" [pp. 178-180] UN MANUALE SCOLASTICO CAROLINGIO: IL CODICE BOLOGNESE 797 [pp. 181-195] GREGORIO VII E PAPA LIBERIO [pp. 196-207] IL MONASTERO DI S. AMBROGIO DI MILANO NELLE TERRE SETTENTRIONALI DELLA REGIONE LOMBARDA: DUE «BREVIA DE FICTIS» DEI SECOLI XI - XIII [pp. 208-231] MONACHESIMO E SOCIETÀ IN UN DIBATTITO DEL SECOLO XII: LA RISPOSTA DELL'ABATE DI S. MARCO AL PREPOSITO DI S. EUFEMIA DI PIACENZA (FIRENZE, BIBL. NAZ., CONV. SOPP., F. 4.255) [pp. 232-240] L'"EXEGESIS IN CANONEM IAMBICUM" DI EUSTAZIO DI TESSALONICA: SAGGIO DI EDIZIONE CRITICA (ACROSTICO-IRMO DELL'ODE PRIMA) [pp. 241-266] ALBERTO VESCOVO DI VERCELLI (1185 - 1205): CONTRIBUTO PER UNA BIOGRAFIA [pp. 267-304] IL MONASTERO MILANESE DI S. APOLLINARE DI FRONTE ALL'AUTORITÀ ECCLESIASTICA (1223-1264): II. 1241-1264 [pp. 305-352] ANTONIO GALATEO E LA DIFESA DELLA DONAZIONE DI COSTANTINO [pp. 353-360] PER UN CENSIMENTO DI INCUNABOLI E CINQUECENTINE POSTILLATE DEI "RERUM VULGARIUM FRAGMENTA" E DEI "TRIUMPHI": V. MILANO BIBLIOTECA NAZIONALE BRAIDENSE [pp. 361-370] IL PRIMO TRADUTTORE DEL CANZONIERE PETRARCHESCO NEL RINASCIMENTO FRANCESE: VASQUIN PHILIEUL [pp. 371-398] RECENSIONI Review: untitled [pp. 399-400] Review: untitled [pp. 400-405] Review: untitled [pp. 405-407] Review: untitled [pp. 407-414] Review: untitled [pp. 414-414] Review: untitled [pp. 414-416] Review: untitled [pp. 416-417] Review: untitled [pp. 418-418] Review: untitled [pp. 418-418] Review: untitled [pp. 419-419] Review: untitled [pp. 419-420] Review: untitled [pp. 420-420] Review: untitled [pp. 420-421] Review: untitled [pp. 421-421] Review: untitled [pp. 421-422] Review: untitled [pp. 422-423] Review: untitled [pp. 423-424] Review: untitled [pp. 424-424] Review: untitled [pp. 424-425] LIBRI RICEVUTI [pp. 426-430] Back Matter


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