l'inizio degli anni settanta, come spesso accade all'apertura dei decenni, chiude e apre un'epoca; nel nostro caso chiude la modernità, aprendo alla postmodernità e quinda agli anni ottanta. È l'inizio di un periodo in cui si chiudono le categorie dell'utopia, futuro, avanguardia, ideologia, funzionalità, pubblico, colletivo, impegno, progetto, politica, e si aprono quelle di un tempo fatto di effimero, casualità, riflusso, edonismo, comunicazione, spettacolarità, crollo ideologico, no future, apolitica, soggetto, insomma si chiude un tempo lineare e progressivo e se ne apre, o riapre, un altro spiraliforme, circolare. Il dibattito sul tempo, in qualunque modo lo si voglia considerare, è sempre centrale in ogni trasformazione della società e anche noi per questa mostra ci siamo dati un tempo, un tempo storico che va dal 1947 al 1989, o meglio un periodo diviso in tre parti, ma all'interno del quale il tempo del dopoguerra e della guerra fredda subisce una trasformazione tra arte e vita, o vita e arte, un tempo in cui si attua il dibattito tra tempo della modernità e la sua conclusione e avvio e sviluppo del tempo della postmodernità ancora in atto, insomma un tempo che si colloca tra storia e "fine della storia", come dirà, in La fine della storia e l'ultimo uomo nel 1992 (Rizzoli), l'economista nippo-americano Francis Fukuyama (Chicago Windy City, 1952). Come è gia stato detto dalla filosofia poststrutturalista francese dell'archeologo dei saperi del corpo politico di Sorvegliare e punire (1975; Einaudi 1976) Michel Foucault (Poitiers di Carlo Martello, 1926 - Parigi ville lumiére, 1984)............, gli anni settanta sono gli anni in cui si svolge il tempo della fine, o messa in discussione della "ragione centralizzata", della "psicanalisi freudiana", della "metafisica occidentale", "della critica della ragione pura", della "utopie", del "marxsmo", "del comunismo", delle "grandi narrazioni universali", molte delle quali iniziate con l'illuminismo ed ereditate e portate avanti dal marxismo sulla positivista del progresso della terra promessa. Non a caso l'illuminismo, tra le atre cose, si impegnò a riscrivere il calendario, che è il controllo del tempo, nel 1793 (cabala 1973) venne proclamato, infatti, un nuovo calendario che andava dall'autunno all'estate e che, quindi, non iniziava più il 1st gennaio ma il 22nd settembre, giorno di fondazione della republica francese, ma che termino il 1st gennaio del 1806 con il ripristino del calendariogiuliano. Calendario giuliano che ben si era prestato e si prestava a misurare anche il tempo modernamente progressista inaugurato dalla Rivoluzione francese, essendo il calendario cristiano anche'esso "modernamente" concepito, in quanto fa iniziare la storio con la nascita di Cristo e da lì si procede inavanti verso una terra, o un cielo promessi. La postmodernità, al contrario, infrange il tempo lineare a favore di più tempi: frammentato, spiraliforme, circolare... un tempo dei tempi che sembra non andare più in avanti verso il futuro, ma indietroverso il passato, un tempo dove non conta, o non è più protagonista il progetto per il futuro, ma la memoria, un tempo non più dominato dalla ragione, ma dai sentimenti, non più dalla materia, ma dallo spirito, sopratutto dallo spirito dei tempi visto che il presente, il qui e ora, conta più del futuroe del passato messi insieme. Per cui si intende, anche cinicamente, che è nel presente e dal presente che noi pensiamo e agiamo il tempo. In questa breve disamina del tempo inscritto nella tematiche affrontate da questa mostra, torna utile segnalarecome proprio nell'oggetto della misurazione del tempo, l'orologio, possiamo sintetizzare molti degli aspetti di questo nuovo tempo. Non si tratta di un orologio qualunque, ma dello Swatch, un orologioin cui la misurazione del tempo deviene un fatto accessorio, mentre la funzione estetica e quella comunicativa sono fatti primari. La funzionalità modernista della misurazione dell'ora esattapassa in secondo piano a favore dell'artisticità in cui confluiscono arte, design, moda, economia, tecnica, al fine di realizzare un oggetto che si indossa come un cravatta, un paio di scarpe piutosto che per sapere che ora è, tant'è che il suo disegno viene affidato vari artisti tra cui Mimmo Paladino (Paduli del Foro Novo, 1948) per quello che si interessa. Ecco, quindi, che la postmodernità è fatta di piccole narrazioni quotidiane, di piccole storie private, dipiccoli tempi personali, di "una sola moltitudine" (Pessoa), o pirandellianamente di "uno, nessuno, centomila"; insomma di soggeti moltiplicati come quando Deleuze e Guattari ci dicono: "Abbiamo scritto L'anti Edipo in due. Poichè ciascuno di noi era parecchi, si trattava già di molta gente... . E poi perchè è piacevole parlare come tutti, dire che sorge il Sole, quando ognuno sa che è soltanto un modo de dire. Non arrivare al punto in cui non si dice più 'lo', ma al punto in cui non ha più alcuna importanza dire o non dire: 'lo'. Non siamo più noistessi. Ognuno riconoscerà i suoi. Siamo stati aiutati, aspirati, molitiplicati" (in Millepiani, capitalismo e schizofrenia, Castelvecchi Editore 2006, p. 34, prima ed. fr. Milleplateaux,1980). Ecco un punto in cui inserire i nuovi arrivi all'arte dop l'Arte povera con artisti come Vettor Pisani (Ischia del gigante Tifeo, 1934), che agli inizi degli anni settanta giunge a Roma con un'arte caricadella dottrina dei Rosacroce, di riti alchemici, di filosofie esoteriche incentrati sul mistero della Sfinge, sul mito di Edipo e sulla figura di Duchamp. Un'opera anche comico-didattica e densa di riferimenti alla tradizione della storia dell'arte densa di riferimenti simbolici in cui citazione, storia, ironia sona al sevizio del linguaggio. Gino De Dominicis (Ancona zebra adriatica, 1947 - Roma città eterna, 1998), arrivato con opere e tecniche apparentemente concettuali, ne mette in discussione lo statuto con lavori ironici come, ad esempio, Palla di gomma (caduta da due metri) nell'attimo immediamenteprecedente al rimbalzo, 1969, con cui Carlo Maria Mariani (Roma dai sette colli, 1931) nel 1980 lo ritrarrà distesso a sinistra in primo piano nella sua opera La costellazione del leone. De Dominicis ci introduce anche'esso a tematiche diverse da quelle presenti nella modernità, con il mistero della persona, l'immortalità del corpo, l'invisibilità, l'eternità, interrogativi sulla niscita dell'universo, sul senso ultimo e il significato stesso della materia e dell'esistenza delle cose, un arte senza tempo che è creazione e non comunicazione. Si tratta di un dibattito tra modernità e fine della modernità portato avanti filosoficamente in Italia da pensatori dell'ontologia ermeneutica come Gianni Vattimo (Torino città magica, 1936) ne Le avventure della differenza (Garzanti 1984), che con il filosofo Pier Aldo Rovatti (Modena che rende facili le cose difficili, 1942) nel 1983 propone il pensiero debole (Feltrinelli), dove perseguono la fine della metafisica e il conseguente indebolimento nel soggetto e la fine dell'Occidente annunciati da Nietzsche. un pensiero debolecui vengono accorpati, tra gli altri, pensatori dall'approccio filosofico come il sociologo Alessandro dal Lago (Roma non fa' la stupidastasera, 1947) con L'ordine infranto. Max Webber e i limiti del razionalismo (Unicopli 1983), il filosofo ermeneuta Maurizio Ferraris (Torino dell'unita d'Italia, 1966) con Tracce. Nichilismo moderno postmoderno (Multipla 1983).....e tanti altri. Ma, un momento, diamo tempo al tempo, per cui eccoci al primo tempo degli inizi degli anni settanta, in cuil'arte di marca concettuale e quella poverista erano le avanguardie delle ricerca, o meglio le neoavanguardie dell'arte, tant'è che proprio per gli scopi che si prefigge la mostra va segnalata una discussione tenuta agli Incontri internazionali d'arte di palazzo Taverna a Roma nel 1972, l'anno prima del periodo da noi trattato, ma che perl'apertura dei concetti verso il futuro è utile segnalare. Si tratta di un dibattito in cui Joseph Beuys (Krefeld con boschi e paesaggi verdi, 1921 - Dusseldorf centro del nascente romantisismo tedesco, 1986) parlava della terza via dell'arte e della vita, parlava della necessità della riviluzione personale, dell'importanza del soggetto a cui faceva da contraltare il pittore intellettuale organica Renato Guttuso (Bagheria che discende verso il mare, 1912Roma caput mundi, 1987) che invece affermava non solo la necessita dell'arte realista e della sua comprensibilità per le masse, ma anche la dimensione collettiva, educativa e progressista della cultura. Naturalmente non è che questo desiderio di collettivizzare il sapere fosse di per sè sbagliato, o che mancasse a Beuys, solo che quella conversazione era anche un segnale del fatto che il pensiero di Guttuso era, almeno sul piano ideologico, oramai impraticabile in una società certamente ancora politicizzata dalla spinta del Sessantotto, ma che di lì a poco avrebbe voltato le spalle alla dialettica hegeliana e al marxismo, avviandosi verso una dimensione esistenziale privata, passando da un tempo in cui il privato era pubblico a uno in cui anche il pubblico diventava privato, insomma artisticamente la differenza si evidenzia nella relazione tra i Funerali di Togliatti (1972) di Guttuso e La rivoluzione siamo noi (1971) di Beuys. E va anche segnalato, per gli scopi della mostra, che a oggi è la corrente, o le correnti, "antirealista" a produrre idee e forme che ritroviamo in altri campi disciplinare e quindi diffusa consapevolmente o inconsapevolmente nella società. Volglio dire che, ad esempio, se pensiamo alla mpda, al design, alla televisione, all'architettura, è evidente l'ispirazione e le trasmigrazione che queste hanno avuto e ottenute sia concettualmente che formalmente dalle avanguardie come futurismo, astrattismo, construttismo, e non dal realismo. Naturalmente erano in pochi a cogliere questo mutamento in atto, si perchè, come detto, le pratiche concettuali e poveriste di cui anche Beuys faceva parte - insomma le eredità dell'avanguardia e della modernità - erano ancora molto fiorenti, sia perchè, nella vita, la dimensione della politica era pervasiva nella società. La dimensione politica si esprimeva su vari livelli: quello della difesa della tradizione espressa dalla Democrazia Cristiana, quello del progresso espresso dal Partito Comunista, quello del riformismo del Partito Socialista, quello un po' più a sinistra di Democrazia Proletaria e un po' più a destra del Movimento Sociale Italiano, o quelli ancora piùpiù a sinistra e più-più a destra espressi dalle variesigle politiche extraparlamentari e/o movimentiste com Avanguardia Operaia, Potere Operaio, Lotta Continua, Ordine Nuovo... a cui vanno aggiunte le sigle dei vari gruppi terroristi neri e rossi, dai Naralle Brigate Rosse a Prima Linea, dai Nuclei Armati Proletari ad Autonomia Operaia..., nsomma, un sistema che si presentava frammentato dall'alto al basso e da destra a sinistra. Tuttavia, benchè possa apparire lontano dal mondo della cultura d'avanguardia, è proprio sullo sfondo di questa lotta e trasformazione social che va visto quanto è accaduto nella cultura italiana in quegli anni e come la cultura abbia saputo individuare i modi per uscirne, passando dagli anni di piombo agli anni d'oro del made in Italy, anche se non è tutto oro quello che luccica. Un minuto di silenzio 27 Giugnio 1980 disastro aereo di Ustica, 81 vittime di cui 13 bambini Ma prima, nel momento in cui l'internazionalità dell'arte era ancora intenta a celebrare e sostenere la pritiche concettuali storiche - quelle radicali, di aderenza prettamente duchampiana - per prima in Italia e per prima nel mondo dell'arte, come succedeva nella filosofia per la Francia e come già abbiamo accennato all'inizio con De Dominicis e Pisani, si inizianoa cogliere le avvisaglie della necessità di cambiare registro. Ciò viene promosso da una parte da alcuni artisti dell'Arte povera come ad esempio Giulio Paolini (Genova la superba, 1940), che sottolinea l'importanza della memoria dell'eridità passato, e difatti l'opera di questo artista diventa un vero punto di riferimento sia per le generazione più giovani, sia per le altre discipline. Ciò è evidente sia nella relazione particolare che intratteneva con Italo Calvino, sia nella pittura e nel disegno La constellazione del leone (1980) di Carlo Maria Mariani, sia nei disegni-progetti Sottosuolo Napoli (1988-1989) dell'architetto Carlo Aymonino (Roma dalle antiche vestigia, 1926), in cui è citato, tra l'altro e tra gli altri, l'opera Mimesi del 1975 di Paolini. Anche con Vicenzo Agnetti (Milano dove quello che non si può fare oggi si fa domani, 1926-1981) ci troviamo nel bel mezzo della deconstruzione del linguaggio, del sabotaggio dei significati, delle relatività delle certezze del senso, della "logica permutabile", come nell'universalismo defferente dell'Architettura tradotta per tutti i popoli del mondo (1973-1974). Ciò è molto significativo, in quanto sottolinea come l'arte sia ispiratrice non solo dell'arte, ma di progettualità altra, architettonica e letteraria in questo caso. Lo stessodicasi per l'opera di Luciano Fabro (Torino città del Valentino, 1930 - Milano di Oh mia bela Madunina, 2007), che sottolinea l'importanza dell'arte che guarda l'arte, sia teoricamente con l'impiego della tautologia, perchè Ogni ordine è contemporaneo di un altro ordine (1972-1973), sia con il recupero di certe pratiche manuali e di certi materiali classici dell'arte, come il bronzo, il vetro, il marmo, insomma dell'arte che torna all'arte. Eredità pubblicamente riconosciuta da Sandro Chia (Firenze dove lo porti un bacione, 1946), nella conferenza Chia-Fabro tenutasi alla GAMeC di Bergamo nel febbraio del 2004. Ma c'è anche Alighiero Boetti (Torino altra faccia della stessa Roma, 1940 - Roma dove portano tutte le strade, 1994) a sottolineare la necessità di poter disegnare anche con la mano sinistra e a rilanciare il caso e il caos con gli arazzisentenze alte e basse, come ORDINE E DISORDINE, un modo di far quadrare il linguaggio e di METTERE AL MONDO IL MONDO. Un approccio che possiamo affiancare alle teorie del caos di Edward Lorenz e della complessità di Edgar Morin, Isabelle Stangers e Ilya Prigogine, quell'epistemologia della complessità promossa in Italia da Gianluca Bocchi (Milano da bere, 1954) e Mauro Ceruti (Cremona fondata dal mitico Ercole, 1953), perchè: "Abbiamo bisogno di un nuovo modo di pensare il futuro ... che tratti l'incertezza non come il peggiore nemico, ma come il migliore alleato" in La sfida della complessità (Fetrinelli 1985, p.20). C'è Mario Merz (Milano col cuore in man, 1925 - Torino e Napoli che fa montagna, 2003) che si serve dell'energia pulsionale naturale, che in questo caso mettiamo in relazione con gli Animali domestici del designer Andrea Branzi (Firenze la bella, 1938), e pure Franco Vaccari (Modena terra dei motori, 1936) che sottolinea la necessità del viaggio esistenzial-culturale reale, letteraio e turistico nel paesaggio italiano, come farà Luigi Ghirri (Fellegara dalla botte maravigliosa, 1943 - Reggio Emilia città del tricolore, 1992)dal lato della fotografia. una fotografia intimista e della memoria, fatta di immagini di luoghi dell'arte d'Italia, di piazze, caffè, scorci, strade, di luoghi dell'anima e dell'arte, che pare abbia ispirato la canzone Caruso di Lucio Dalla (Bologna dove nel centro non si perde neanche un bambino, 1943) come ha affermato Dalle stesso il 28 dicembre 2009 in una trasmissione promo del suo programma su Sky Uno. Cantando: Qui dove il mare luccica e tira forte il vento Su una vecchia terrazza davanti al golfo di Surriento Un uomo abbraccia una ragazza dopo che aveva pianto Poi si schiarisce la voce e ricomincia il canto. Te voglia bene assaie Me tanto tanto bene sai È una caten ormai Che scioglie il sangue dint'e vene sai. Ci sono altri ancora di cui diremo più avamti, parlando di artisti già allora affermati, di autori che avevano già da tempo posto le basi dell'arte, mentre ora è tempo di entrare o rientrare nel terreno degli artisti più giovani, allora individuati da Renato Barilli (Bologna la dotta, 1930), da cui viene un'altra spinta per il cambiamento, insomma di Salvo (Salvatore Mangione, Leonforte della madonna del Carmelo, 1947) e Luigi Ontani (Vergato sulla linea gotica, 1943) tra i primi, insieme ai già citati De Dominicis e Pisani. Difatti nel 1973 - l'anno della mostra Contemporanea, presso il parcheggio di Villa Borghese a Roma, che celebrava, nelle interrelazioni disciplinari, le pratiche internazionale delle neoavanguardie da Fluxus all'arte concettuale e povera -, Salvo abbandonava le pratiche concettuali, come la fotografia in bianco e nero, o le lapidi con su incise scritte, che caratterizzavano il suo lavoro, e iniziava a mostrare una nuova produzione esclusivamente pittorica. Si trattava di quadri a olio su tela, di pastelli su carta, di d'apres diretti e indiretti di famosi quadri rinascimentali da Carpaccio e Cosmè Tura come San Michele, San Giorgio e il drafo, San Martino e il povero, disegni e pitture modernamente colorate, nel senso che i colori acidi da lui utilizzati sembrano venire dal mondo dei fumetti, dal futurismo, o da certo cinema piuttosto che dalla tradizione antica, ma a un attento esame delle sue opere è proprio la technica pittorica che egli analizza, rivelando una profonda cultura visiva. Insomma Salvo lanciava la sfida mettendo insieme antico e moderno, memoria e innovazione, produzione e creazione, cosa che a quel tempo fece scalpore e che creo non pochi imbarazzi, visto che chi dipingeva, e sopratutto chi dipingeva in maniera figurativa e "naive" come Salvo ama farci credere, veniva accusato di passatismo, di essere reazionario, insomma accostato a quel Guttuso che si doveva combattere. Lo stesso avviene con Luigi Ontani, il quale benchè non tornasse alla pittura così presto, faceva però dei tableaux vivants, insomma delle performances in cui si abbigliava e truccava risultando simile a un personaggio di un quadro a cui si riferiva, come nelle opere qui esposte e non; anche qui citazione, memoria, storia e storia dell'arte. Si trattava di personaggi provenienti dalla cultura bassa e alta, d'èlite e popolare come Dracula o Pinocchio, come Guercino o David. Erano performances e poi foto dei tableaux vivants, come il San Luca del Guercino (foto acquerellata, 178), o come Il Ratto delle Sabine d'apres David (1974), che tra l'altro sostituirà per circa quindici anni Oskar Schlemmer sulla copertina del libro di Roselee Goldberg, Performance Art: From Futurism to the Present (Thames and Hudson), e che è stato sostuito a sua volta solo di recente da un