Diritto_Amministrativo Gallo

June 28, 2018 | Author: Diego Farris | Category: Rights, Administrative Law, European Union, Jurisdiction, Private Law
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Tomaso Ferrando – Diritto Amministrativo Gallo – A.A. 2005/2006 Diritto Amministrativo Prof C.E.Gallo Appunti di lezione integrati con libro “Compendio di diritto amministrativo” IL DIRITTO DELL’AMMINISTRAZIONE Affrontando il tema della pubblica amministrazione bisogna soffermarsi su due grandi ambiti: da un lato l’organizzazione dei pubblici uffici, dall’altro i rapporti tra i cittadini e la pubblica amministrazione. Mentre in ambito privatistico non rileva come un soggetto sia strutturato al suo interno, a livello di pubblica amministrazione ciò è fondamentale, perché bisogna sapere se il soggetto che ci si contrappone sia o meno legittimato. Nel corso degli ultimi tempi entrambi questi ambiti hanno subito riforme molto importanti e anche molto rapide, il che ha determinato una forte contraddittorietà del sistema. • Per quanto riguarda l’organizzazione, la Costituzione aveva predisposto un assetto a carattere monolitico ed accentrato. La PA era un insieme di piramidi (ministeri) con a capo il ministro cui tutto faceva riferimento. Comuni e province avevano ambiti di libertà molto ristretti e non erano autonome, ma autarchiche (ossia non si davano norme da sole, ma si gestivano da sole). In questo modo era garantita l’unicità legislativa e il pari trattamento di tutti i soggetti che avessero a che fare con la PA. Vi era però al contempo una continua dipendenza nei confronti di chi, al centro del sistema, doveva prendere le decisioni, e quindi i tempi e l’inerzia aumentavano. Per tale ragione il legislatore ha scelto la strada del decentramento, riconoscendo autonomie agli enti locali e anche alle regioni, che vennero finalmente riconosciute. Conseguenza estrema del decentramento è, però, il rischio di una fortissima disomogeneità e di diversità di trattamenti. • Relativamente al rapporto pubblica amministrazione-cittadino, si deve parlare del potere peculiare dell’amministrazione che consiste nell’emettere provvedimenti capaci di modificare la sfera dei diritti del destinatario. La pubblica amministrazione è l’unico soggetto che possa modificare con un atto unilaterale la condizione giuridica del destinatario. PRINCIPI DEL DIRITTO AMMINISTRATIVO La Costituzione contiene solamente due articoli espressamente riferiti all’amministrazione, il 97 e il 98, in quanto al momento della sua compilazione il problema della PA non era tra i più sentiti: si pensava infatti che bastasse indicare i principi generali e occuparsi delle questioni più importanti che tale settore delineava, per poi lasciare il resto al legislatore ordinario. • L’articolo 97 infatti dispone che i pubblici uffici siano organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione. Esso prevede allora una riserva di legge e i due principi generali ai quali il legislatore ordinario dovrà ispirarsi nel dettare le regole per l’organizzazione dei pubblici uffici: buon andamento (che è di difficile delineamento in quanto non ci sono parametri certi) e imparzialità (traduzione del principio di uguaglianza) dovranno essere le linee guida delle leggi in ambito amministrativo. 1. Ma non solo le leggi potranno intervenire a definire l’organizzazione amministrativa: si ritiene, infatti, che la riserva di legge qui espressa sia una riserva di legge relativa che consente all’amministrazione stessa, tramite regolamenti, di darsi una propria organizzazione nel rispetto della legge: autonomia all’interno dell’eteronomia. Alla riserva di legge si affianca poi il principio di legalità, ossia di rispetto delle leggi da parte dell’amministrazione: tale principio può essere visto sia sotto un profilo negativo sia sotto un profilo positivo: dal primo punto di vista si dice che l’atto amministrativo non 1 Tomaso Ferrando – Diritto Amministrativo Gallo – A.A. 2005/2006 potrà però contraddire la previsione di legge (principio di non contraddittorietà), mentre dal punto di vista positivo si può postulare che il principio di legalità sia tale da poter richiedere non solo che l’amministrazione non contraddica le norme di legge, ma anche imporre ad essa di agire, sempre all’interno dello schema formale e sostanziale imposto dal legislatore. 2. Per quanto riguarda il principio di imparzialità, chiaramente contenuto all’art. 97 Cost, si deve dire che, così come il principio di buon andamento, essi sono riferibili non solo all’organizzazione amministrativa (come il testo costituzionale dispone) ma anche alla sua attività. Imparzialità vuol dire non discriminare nessuno dei soggetti coinvolti nel procedimento, ma allo stesso tempo cercare di agire in maniera da realizzare un assetto imparziale dei rapporti. Il principio di imparzialità deve però essere sempre visto alla luce del compito dell’amministrazione di realizzare interessi pubblici il che è, per sua definizione, un compito parziale. Mentre quindi appare facile individuare che cosa sia l’imparzialità nell’organizzazione amministrativa, più complesso appare il conciliare l’imparzialità richiesta dalla Costituzione con l’attività necessariamente parziale dell’amministrazione: sarà allora imparzialità, quando sia richiesto di attuare valutazioni e di effettuare delle scelte, il farlo in maniera congrua e ragionevole sulla base degli interessi implicati, di quelli tutelati dalla legge e degli altri elementi che possono condizionare l’attività amministrativa. Sarà imparziale l’attività della PA che si basi su un corretto bilanciamento e sul principio di congruità e ragionevolezza. 3. Per quanto riguarda il principio di buon andamento esso impone che la PA agisca nel modo più adeguato e conveniente possibile. Ad esso si affianca poi il principio del non aggravamento del procedimento se non per straordinarie e motivate esigenze imposte dallo svolgimento dell’istruttoria. Si può collegare al principio di buon andamento anche quello di adeguatezza. • L’articolo 98 prevede invece che i pubblici impiegati siano al servizio esclusivo della nazione. In tale articolo l’Assemblea Costituente si è preoccupata di garantire l’indipendenza dei pubblici impiegati, i quali saranno all’esclusivo servizio della nazione e dei suoi interessi, senza alcuna influenza, quindi, del potere politico. In passato si era rischiato, però, che la PA vedesse nel proprio interesse l’interesse della nazione, sacrificando quello dei cittadini: per tale ragione una riforma del 1993 ha previsto che l’Amministrazione debba considerare l’interesse del pubblico, ossia dei destinatari della sua attività. Non specificamente diretti all’Amministrazione, ma in ogni caso ad essa riferiti sono però molti altri articoli della Costituzione. • Ad esempio l’art. 5 è fondamentale sotto questo punto di vista: esso infatti prevede che <la Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali; attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo; adegua i principi ed i metodi della sua legislazione alle esigenze dell’autonomia e del decentramento>. Di questo articolo va sottolineato l’utilizzo del termine riconosce, che vuol dire che le autonomie locali sono qualcosa di antecedente rispetto allo Stato, e l’impiego della parola decentramento, vista come espressione del principio di sussidiarietà e della possibilità per gli enti locali di disimpegnarsi nelle attribuzioni statali. Tale articolo è stato ripreso e ampliamente approfondito nella riforma del titolo V della Cost. • Art. 24 diritto di agire in giudizio per la tutela dei propri diritti ed interessi legittimi: questo articolo della Costituzione pone l’accento sul problema della legittimità ad agire e su chi possa far valere i propri interessi legittimi in giudizio. Del problema del principio di 2 Tomaso Ferrando – Diritto Amministrativo Gallo – A.A. 2005/2006 azionabilità delle situazioni giuridiche dei cittadini nei confronti dell’amministrazione si parlerà ampliamente in seguito. Art. 28 <i funzionari ed i dipendenti dello Stato e degli enti pubblici sono direttamente responsabili, secondo le leggi penali, civili ed amministrative, degli atti compiuti in violazione di diritti. In tali casi la responsabilità civile si estende allo Stato e agli enti pubblici>. È qui enunciato il principio di responsabilità, ossia di assoggettabilità alla sanzione dell’autore di un illecito. A tale principio si può rifare la figura, che si analizzerà in seguito, del responsabile del procedimento, anche se esso è stato previsto più in una funzione di garante della trasparenza e l’identificazione di un contraddittore al privato. Anche l’art.32 sul diritto alla salute rileva in ambito amministrativo, in quanto pone in evidenza il contrasto tra l’interesse collettivo e il diritto del singolo (che è alla base di tutto il rapporto tra amministrazione e cittadini). Il diritto alla salute, come molti dei diritti dei cittadini, viene quindi ad essere condizionato dall’interesse collettivo, in particolare dall’interesse finanziario, ossia del risparmio dello Stato. L’art.43 sull’espropriazione per pubblica utilità è poi un ulteriore caso di limitazione di un diritto a vantaggio di un interesse collettivo. L’art. 95 che attribuisce a Governo il potere di esprimere un indirizzo politico ed amministrativo: politica ed amministrazione sono quindi due settori differenti, ma strettamente connessi tra loro, anche per il fatto di fare riferimento entrambi al Governo e ai ministri, vertici della piramide amministrativa. Il momento amministrativo non è quindi totalmente estraneo al governo: allo stesso tempo il Governo, espressione delle forze politiche di maggioranza, determina inevitabilmente una politicizzazione dell’amministrazione. Compito di molte norme del nostro ordinamento è allora quello di tenere il più possibile separata la politica dall’amministrazione, in modo che l’amministrazione non si trasformi in un mero apparato subordinato agli organi politici. Vi saranno quindi ambiti nei quali è prevista una maggior separazione ed indipendenza, ed altri nei quali, invece, la presenza politica sia più forte: tipico di questo secondo ambito è il caso della previsione di un particolare vincolo di fiducia tra governo e dirigenti degli uffici dirigenziali generali che cesseranno i proprio incarichi entro novanta giorni dal voto sulla fiducia del nuovo esecutivo (spoil system). • • • • AMMINISTRAZIONE COMUNITARIA E DIR AMM COMUNITARIO Direttive, regolamenti e decisioni comunitari hanno grande rilevanza in ambito amministrativo. L’Unione Europea infatti si serve delle singole amministrazioni statali per portare a compimento l’unificazione, o per lo meno un riavvicinamento, tra i vari ordinamenti. Inoltre le Amministrazioni Pubbliche sono le più grandi contraenti dell’Unione Europea. Il diritto comunitario può quindi essere direttamente applicabile all’interno dell’ordinamento (self executing) oppure mediato dal diritto interno per mezzo di una legge di recepimento, la quale sarà allora il punto di riferimento per valutare la legittimità dell’attività amministrativa, senza che si tenga direttamente conto della direttiva o del regolamento comunitario che sono stati da essa mediati. Convenzione europea dei diritti dell’uomo, Carta dei diritti fondamentali dell’unione europea (Nizza 2001) e la Costituzione europea (quando e se entrerà in vigore) sono poi destinate ad avere un’influenza ancora maggiore sull’ordinamento interno degli stati membri, anche se non rientrano nel diritto amministrativo comunitario. Principio fondamentale a livello comunitario è il principio di sussidiarietà, il quale si trova però ad avere una doppia faccia: infatti, prevedendo, che le competenze siano attribuite al livello più basso dell’ordinamento, favorisce il decentramento e garantisce i poteri locali; dall’altro lato, però, prevedendo un accentramento nel caso in cui l’azione comunitaria si presenti come la più efficace, fa in modo di attribuire al centro competenze ulteriori rispetto a quelle ad esso formalmente attribuite dalle carte comunitarie. 3 Tomaso Ferrando – Diritto Amministrativo Gallo – A.A. 2005/2006 La presenza di un ordinamento amministrativo comunitario determina, inoltre, che molto spesso le amministrazioni statali siano chiamate a svolgere compiti esecutivi delle decisioni adottate dall’amministrazione comunitaria: la CE manca, infatti, di funzione esecutiva-attuativa, quindi non possono che essere gli Stati ad essere chiamati a svolgere la funzione esecutiva sia di atti comunitari puntuali e concreti sia di atti normativi. Bisogna però dire che sta sempre più prendendo piede l’istituto dell’esecuzione in via diretta da parte della Commissione europea degli atti emanati: essa si serve infatti di apparati esecutivi e di uffici creati ad hoc, che vengono a sostituirsi alle amministrazioni nazionali. Altre volte, invece, esse sono chiamate a compiti istruttori o preparatori nell’ambito di procedimenti che si svolgono in due fasi, una nazionale e una comunitaria. In tali circostanze il procedimento vede la partecipazione sia di amministrazioni nazionali sia comunitarie, e allora sorge il dubbio in ordine al giudice cui il privato deve rivolgersi qualora ritenga di avere subito una lesione dall’azione procedimentale (giudice nazionale o giudice comunitario). NASCITA DELLA PA ED ASSEMBLEA COSTITUENTE L’Assemblea Costituente, che ha dato vita alla Costituzione e, di conseguenza, a tutto l’apparato amministrativo, nacque a seguito di decreto del presidente provvisorio: la Costituzione in questo modo apparirebbe essere nata da una fonte primaria di un ordinamento precedente (perché anteriore alla Repubblica) e provvisorio. Per risolvere questa empasse si è pensato di sostenere che il momento creativo dell’assemblea costituente non fosse qualcosa di giuridico: la norma fondamentale era quindi nata da qualcosa di non giuridico, e c’è per il solo fatto di esserci. In ogni caso la Costituzione pone principi e valori e obiettivi da raggiungere. Coloro che ci accompagna dai principi sino agli obiettivi sono la politica e l’amministrazione. Attraverso le leggi parlamentari ed i regolamenti amministrativi si vuole raggiungere il miglioramento della nostra società e raggiungere gli obiettivi che sono stati posti. In particolare il legislatore fissa la cornice, il quadro normativo per arrivare agli obiettivi costituzionali, ma all’interno di questo, salvo casi molto rari, è il regolamento amministrativo che ne consente la realizzazione in concreto. Sullo sfondo del principio di legalità relativa, vediamo che l’amministrazione agisce laddove il legislatore ha già dettato i punti di partenza e i limiti entro i quali muoversi. Ci si chiede se il legislatore possa emanare leggi provvedimento, ossia scavalcare l’amministrazione ed andare a regolare nel dettaglio situazioni in concreto in modo da evitare l’opposizione a livello amministrativo: nel 2002 il governo ha ad esempio approvato con decreto delega alcune opere pubbliche, in modo da evitare il controllo a livello amministrativo del progetto (legge obiettivo 2002), la valutazione e il bilanciamento degli interessi e tutto quanto il procedimento amministrativo comporta. Ebbene a riguardo alcuni hanno detto che il governo abbia impiegato in modo illegittimo il proprio potere legislativo. Quando il Governo si serve di strumenti legislativi per eludere il ricorso a procedimenti amministrativi si parla di legge provvedimento. Sulla sua legittimità si è espressa la Corte Costituzionale nel 1956, quindi appena insediata: essa si trovò a sentenziare relativamente ad una grande riforma agraria attuata e alle conseguenti espropriazioni autorizzate per legge: tale legge era stata emanata nel 1950 e i cittadini, dato che non era ancora in funzione la Corte costituzionale, si rivolsero al giudice amministrativo e poi al consiglio di stato, il quale aveva sentenziato che l’espropriazione, in quanto atto amministrativo, non poteva avvenire con una legge, e quindi ne sospese l’efficacia. Lo Stato allora ricorse in cassazione: la corte di cassazione, più attenta al rispetto delle leggi e formalmente più rigida, stabilì che il consiglio di stato non aveva giurisdizione in quanto si trattava di una legge ordinaria. Il Consiglio di Stato sollevò la questione di incostituzionalità della legge di esproprio e si arriva così nel 1956. Investita della questione la Corte Costituzionale sentenziò che una legge provvedimento è legittima solo se ci sono ragioni specifiche per porla in essere. Si può quindi derogare al principio di generalità 4 Tomaso Ferrando – Diritto Amministrativo Gallo – A.A. 2005/2006 solo per specifiche ragioni. A questo proposito emerge il problema dell’esistenza o meno di una riserva di amministrazione, ossia di un ambito di attività riservato alla PA e nel quale il legislatore non può ingerirsi: l’esistenza di tale riserva parrebbe andare contro una serie di principi del nostro ordinamento quali la preferenza della legge. Allo stesso tempo però una legge provvedimento che intervenga in presenza di una molteplicità di interessi senza tener conto di essi e senza dare la possibilità del ricorso al giudice amministrativo determinerebbe sicuramente la violazione del principio di imparzialità e del buon andamento (anche se di tale avviso non è stata la Corte Costituzionale). Allo stesso modo ci si chiede, allora, se l’amministrazione possa agire in maniera più generica, ossia adottare provvedimenti generali ed astratti: originariamente si pensava che di volta in volta il legislatore dovesse autorizzare l’amministrazione. Oggi si pensa che questo potere spetti autonomamente all’amministrazione perché ormai il provvedimento ha ampliato la sua portata data la previsione di sussidiarietà, il decentramento e l’esigenza di autonomia dei soggetti della PA. Attualmente devono infatti essere le PA stesse a darsi piani generali entro i quali agire. Si è quasi arrivati all’eccesso, molto vicini all’autonomia legislativa, con gli statuti che sono fonti sub-primarie. Un caso di amministrazione che agisce attraverso atti generici è quello della regolamentazione dell’attribuzione di licenze commerciali. IL POTERE DELLA PA Nel nostro ordinamento esistono due schemi che vedono coinvolti le norme e le fattispecie che alle norme sono collegate. La loro diversità determina due diverse modalità di produzione degli effetti giuridici. • Norma-fatto-effetto: la norma prevede che al verificarsi di una data fattispecie vi sia una determinata conseguenza. Atti e fatti sono semplici presupposti per la produzione dell’effetto. La norma disciplina direttamente il fatto e vi collega un effetto. Se la legge prevede la produzione di effetti non per tutte le fattispecie di un certo tipo, ma solo per alcune, si parla di legge provvedimento. • Norma-potere-effetto: la norma attribuisce, a certe condizioni, ad un soggetto il potere di produrre vicende giuridiche e riconosce l’efficacia dell’atto da questo posto in essere. L’effetto non deriva automaticamente dalla previsione di legge, ma vi è l’interposizione di un soggetto, legittimato, che attraverso un atto regolamenta il fatto e produce la vicenda giuridica. COME SI DEVE MUOVERE L’AMMINISTRAZIONE Il procedimento amministrativo non deve essere lungo e non deve essere molto discrezionale: molte regole da rispettare, quindi, e molta poca libertà nella scelta. Le norme si dividono, in generale, in due grandi categorie: norme di azione e norme di relazione. • Norme di relazione: disciplinano i rapporti tra i soggetti dell’ordinamento sulla base della salvaguardia e della tutela di ciascun individuo. In particolare disciplinano il rapporto tra amministrazione e cittadini. In particolare le norme di relazione attribuiscono alla PA potere e contemporaneamente riconoscono la prevalenza di interessi pubblici rispetto a quelli privati. Si dice che le norme di relazione risolvono conflitti intersoggettivi di interessi (che vedono coinvolti PA e cittadini) a favore della PA, ma costringendola in ogni caso a non uscire dai limiti dettati dalla norma. Se la PA esce dai limiti dettati dalla norma, serve di un potere che non ha o di un potere che ha in un ambito ove non ha il diritto di esercitarlo, non vi sarà lesione di un interesse soggettivo, bensì di un diritto soggettivo (la giurisdizione sarà quindi del giudice ordinario). L’atto dell’amministrazione che esce dalle norme di relazione è un atto emanato senza potere, quindi nullo perché viziato da difetto assoluto di attribuzione. 5 Tomaso Ferrando – Diritto Amministrativo Gallo – A.A. 2005/2006 • Norme di azione: disciplinano come la PA si muove all’interno della sfera di potere attribuita dalle norme di relazione. Mentre ogni cittadino è libero di agire all’interno della sua sfera, la PA, invece, è vincolata perché utilizza risorse non sue, persegue un interesse pubblico ed esercita un potere che i cittadini devono poter verificare. Le norme generali di azione sono contenute per lo più in leggi e hanno carattere astratto e generale. Date le differenze e le molteplicità dell’amministrazione, le norme di azione possono essere date direttamente dall’amministrazione: vi è, come detto, una riserva relativa di legge tale per cui ogni amministrazione, entro i principi generali dettati dal legislatore, completi il disegno con la regolamentazione (attuando quindi una delegificazione). L’esercizio del potere attribuito alla PA non è quindi totalmente libero e lasciato all’arbitrio dell’amministrazione stessa. La violazione di una norma di azione determina illegittimità dell’azione amministrativa: la pretesa della legittimità dell’azione amministrativa è chiamata interesse legittimo. Sarà il giudice amministrativo a sindacare la violazione di norme di azione. L’atto così emanato è illegittimo ma non nullo in quanto capace di produrre effetti, anche se tuttavia precari. Il giudice che riscontri violazione di norme di relazione dovrà pronunciare annullamento dell’atto. POTERE DISCREZIONALE DELL’AMMINISTRAZIONE La PA ha libertà di scelta, ma tale libertà rimane comunque vincolata ai limiti posti dal legislatore, alla cornice che egli ha predisposto. La PA deve necessariamente muoversi all’interno delle norme di azione che il legislatore ha predisposto. All’interno della sua libertà, comunque, l’amministrazione deve agire tenendo conto di tutti gli interessi coinvolti, e cercando di bilanciarli al meglio. Il legislatore predispone un piano generale ed astratto che tenga conto dei principi costituzionali (eguaglianza soprattutto) ed all’interno di questo si muove l’amministrazione che deve guardare al concreto perché deve adattare alle contingenze quanto dettato da leggi generali ed astratte. L’amministrazione nel suo agire si può trovare di fronte a varie scelte: se proseguire, in che modo proseguire etc. ed è a questo punto che si esprime la sua discrezionalità. Violazione delle norme che presiedono allo svolgimento della discrezionalità determinano abuso di potere: si ha abuso di potere quando la scelta posta in essere dall’amministrazione non rientra nella sua discrezionalità, ossia quando non è logica e congrua tenendo conto dell’interesse pubblico perseguito, degli interessi secondari coinvolti e della misura del sacrificio loro arrecato. Essenza della discrezionalità è quindi la ponderazione. Si pensi ad esempio alla disciplina urbanistica: originariamente il legislatore predispose per legge il piano regolatore delle città più grosse, mentre per le altre città non fu previsto. Nel 1950 si cambiò decisamente rotta, disponendo che fossero i comuni stessi a predisporre il proprio piano regolatore e che questo sarebbe dovuto essere approvato dal ministero dei lavori pubblici: un atto che fino a quel momento era interamente legislativo divenne interamente amministrativo perché la soluzione precedente non era più funzionale. Però ogni tanto il legislatore deve intervenire per garantire uniformità: ad esempio ha previsto le % riservate ad ogni tipo di edilizia, introducendo gli standards urbanistici che vengono applicati ad ogni comune in modo da determinare un tot di spazio dedicato ad ogni tipo di costruzione sulla base del numero degli abitanti, indipendentemente dalla situazione in concreto, dalle singole realtà. Attualmente quindi la situazione appare non ragionevole: una legge non ragionevole è al contempo non utile, e deve essere modificata perché è necessario che tenga conto delle differenze e delle singole realtà. 6 Tomaso Ferrando – Diritto Amministrativo Gallo – A.A. 2005/2006 Discrezionalità non è quindi completamento del dettato normativo a scelta libera dell’amministrazione: discrezionalità è agire negli spazi lasciati dalla legge in modo da essere il più utile e ragionevole possibile sulla base della situazione che in concreto ci si trova ad affrontare. Si ha totale discrezionalità, e quindi insindacabilità, solo qualora la PA ponga in essere atti di programmazione, atti normativi ed atti generali. Atto normativo per eccellenza sono i regolamenti: attraverso di essi, espressione della massima discrezionalità in quanto atti politici, l’amministrazione pone però dei vincoli alla sua discrezionalità per il futuro. Atti generali sono gli atti che si riferiscono ad una pluralità di destinatari ma in modo specifico, concreto, prendendo in esame le singole situazioni. Sono atti di programmazione gli atti posti in essere dalla PA per regolare le sue future attività, in modo da non dover scegliere di volta in volta, ma da doversi limitare a seguire quanto programmato (si pensi ai piani regolatori), e, conseguentemente, da limitare la propria discrezionalità. Si noti come gli atti in cui si esprime al massimo la discrezionalità dell’amministrazione (normativi, generali, programmatici) sono tutti atti che al contempo limitano la discrezionalità dell’amministrazione stessa. La discrezionalità appare allora essere, e questa è la tesi ad oggi più ampiamente accolta, un contemperamento di interessi all’interno dello spazio lasciato libero dal legislatore. Valutando tutti gli interessi che entrano in gioco la PA deve cercare un punto di equilibrio e di bilanciamento. DISCREZIONALITA’ TECNICA Diversa è, invece, la discrezionalità tecnica: essa infatti si riferisce alla discrezionalità di soggetti che pongono in essere perizie o valutazioni nelle quali non si possa applicare una scienza esatta: in questi casi la discrezionalità è assoluta e la valutazione dipendere da numerosissimi fattori diversi. Tanta discrezionalità del tutto insindacabile: il giudice eventualmente investito della questione infatti potrà esclusivamente controllare se i ragionamenti alla base siano o meno corretti non potendo in nessun caso contestare i dati tecnici raccolti né l’esito della valutazione stessa. DISCREZIONALITA’ PREMEDITATA ED ATTI VINCOLATI Vi sono dei casi nei quali, però, l’amministrazione non è così libera di agire discrezionalmente. Nel caso in cui abbia predisposto atti di programmazione, infatti, essa dovrà agire seguendo proprio quanto previsto in tali atti. E lo stesso discorso vale nel caso in cui sia la legge a definire una programmazione dell’attività amministrativa. Se si esce da questo programma, l’atto è impugnabile. Ulteriore caso di limite alla discrezionalità è quello degli atti vincolati: il legislatore che affida un compito all’amministrazione dettandone i rigidi presupposti (ad esempio atti con i quali si colloca a riposo un pubblico dipendente) determina che l’agire dell’amministrazione stessa sia vincolato e che l’atto sarà preso, pena possibilità di essere annullato, proprio così come ha previsto. ATTIVITA’ AMMINISTRATIVA Quando la PA opera, si trova sempre a porre in essere attività materiali e atti giuridici: non solo il provvedimento finale quindi, ma un lungo procedimento fatto di tanti atti, rigorosamente disciplinati dalla legge sul procedimento amministrativo 241/1990. CITTADINO E AMMINISTRAZIONE: INTERESSE LEGITTIMO Il giudice, di norma, non può valutare nel merito le decisioni discrezionali poste in essere dalla PA: egli potrà, come visto, limitarsi ad osservare il procedimento attraverso il quale si è arrivati a ciò e al massimo sindacarne la correttezza. La PA, nel suo agire, si viene a trovare alla presenza di numerosissimi interessi differenti: mentre noi, nell’ambito della nostra sfera giuridica, siamo pressoché liberi di agire fino a quando non 7 Tomaso Ferrando – Diritto Amministrativo Gallo – A.A. 2005/2006 lediamo un diritto altrui, la PA è vincolata dalla presenza di tali interessi, ed è obbligata a prevedere che i portatori di tali interessi prendano parte alla sua attività: al contempo i cittadini che si trovano ad essere “inglobati” nelle procedure della PA hanno l’interesse a sapere cosa stia facendo la PA ma soprattutto come lo stia facendo. La PA è infatti, come si è visto, regolata nel suo procedere da norme di azione: i destinatari dell’attività hanno la pretesa che essa agisca nel rispetto di tali norme di azione. Dal 1889 ogni soggetto vanta inoltre una posizione giuridica soggettiva nel caso in cui l’amministrazione violi norme che la regolano: è questo l’interesse legittimo, definibile come la pretesa del cittadino che la PA rispetti le norme di azione, ossia quelle disposte relativamente al suo agire. Ogni cittadino può pretendere che la PA, nello svolgere il suo compito, rispetti le norme che la regolano, dando così la possibilità al cittadino stesso di godere della “missione” che la PA stessa si prefigge. Data la presenza di un interesse legittimo che si manifesta nei confronti del corretto agire della PA, si capisce che la PA è come servente l’interesse pubblico. Il fatto che la PA sia poi più o meno autoritaria dipende, in ogni caso, dal periodo storico nel quale ci si trova: a volte la PA ha dovuto dare poco spazio agli interessi dei cittadini a vantaggio degli interessi pubblici: altre volte, come in quest’ultimo periodo, invece, ha preferito lasciare più spazio ai cittadini e porre le proprie controparti (in particolare per via della privatizzazione) su un piano quasi paritetico. La vera e propria parità non è però quasi mai raggiunta in quanto la PA conserva nei confronti del privato la possibilità di derogare norme del diritto privato sulla base di mutati interessi pubblici: in particolare il caso della concessione per il servizio di illuminazione delle strade, quando si passò dal gas all’elettricità la PA potè risolvere il contratto solo sulla base delle sopravvenute esigenze pubbliche (senza che dal punto di vista del diritto vi fosse una vera e propria condizione che la legittimasse a farlo). Per questo motivo conviene quando si concludono contratti con la PA inserire clausole contrattuali di adeguamento nel caso in cui mutino gli interessi della PA, e clausole contrattuali di risoluzione quando il mutamento dell’interesse della PA sia tale da imporre come miglior soluzione la risoluzione del contratto. L’articolo 1-bis l 241/90 dispone che <la pubblica amministrazione, nell’adozione di atti di natura non autoritativa, agisce secondo le norme di diritto privato, salvo che la legge disponga diversamente>: a partire da tale articolo è nato un intenso dibattito volto a sostenere che la PA dovesse, al di fuori degli atti autoritativi, comportarsi come il privato, ed essere sul suo stesso piano. La PA non dovrebbe solamente utilizzare strumenti di diritto privato (che, come abbiamo visto, impiega ampliamente) ma anche sottostare alle norme di diritto privato. L’idea che nell’emanare atti non autoritativi la PA perda tutte le sue prerogative di supremazia pare però poco realizzabile: il fatto che la PA si venga a trovare nella condizione di un privato cittadino, sottoposto alle stesse norme e dotato degli stessi poteri, priverebbe infatti il cittadino stesso delle garanzie che derivano dal fatto che la PA debba perseguire interessi pubblici ed abbia i poteri per perseguire tali interessi anche scavalcando interessi legittimi dei singoli. L’articolo 1-bis della legge 241/90 va allora intesa in modo diverso, ossia come ulteriore apertura all’impiego di strumenti privatistici, senza però che venga eliminata la necessità di un procedimento di formazione della volontà amministrativa che rispetti i vincoli pubblicistici, a favore della pubblicità e della trasparenza. QUANDO NASCE L’INTERESSE LEGITTIMO In origine si pensava che l’interesse legittimo nascesse solo a seguito del compimento da parte della PA di un’attività: in questo modo si diceva che era legittimo l’interesse “a che l’amministrazione si fosse comportata correttamente”. Adesso, invece, si ritiene che l’interesse legittimo nasca o all’inizio del procedimento o quando il legislatore immagina che ci possa essere contatto tra PA e cittadino disponendo delle norme che prevedono l’intervento in concreto della PA. 8 Tomaso Ferrando – Diritto Amministrativo Gallo – A.A. 2005/2006 Se dunque prima era solo l’emanazione del provvedimento che determinava la nascita di un interesse legittimo, adesso si ritiene che l’interesse legittimo nasca nel momento in cui inizia il procedimento o in cui il legislatore immagina che PA e cittadino potrebbero venire in contatto. Ad esempio, al giorno d’oggi il cittadino che veda emanato un provvedimento di diniego del permesso di costruire, qualora si accorga del fatto che il procedimento è viziato non dovrà attendere l’emanazione del provvedimento stesso, ma potrà intervenire quando questo è ancora in svolgimento. Nel caso di provvedimento basato su di un atto precedente, il cittadino potrà invece intervenire nel momento in cui sia stata data forma all’atto che sta alla base del provvedimento (ad esempio provvedimento basato su piano regolatore). L’interesse legittimo nasce nel momento in cui si ha l’adozione dell’atto anteriore: il cittadino avrà infatti il potere di fare osservazioni. L’interesse legittimo è così definito perché legittima il soggetto che ne è titolare ad agire e soprattutto di reagire a violazioni di norme che lo riguardino: presupposto essenziale perché vi sia interesse legittimo è che vi sia rapporto personale, diretto ed attuale tra PA e soggetto. ALTRE POSIZIONI SOGGETTIVE • Interesse di mero fatto: se l’interesse legittimo presuppone un contatto tra PA e cittadino ed una violazione delle norme di azione ai danni del primo (quindi si dice che sia personale, diretto ed attuale), lo stesso non si può dire dell’interesse di mero fatto. L’interesse di mero fatto, per tale ragioni, non ha tutela giuridica: l’unico modo per tutelarlo è la via delle elezioni amministrative. • Aspettativa: nemmeno l’aspettativa che una persona può avere è giuridicamente tutelata. • Interessi legittimi collettivi e interessi diffusi: si parla di interessi legittimi collettivi quando ci si trova di fronte ad un gruppo organizzato stabilmente (ad esempio un ordine professionale, un’associazione) che sarà quindi legittimato ad agire a tutela dei singoli che fanno parte del gruppo stesso contro lesioni perpetrate dalla PA. Si pone quindi il problema della loro qualificazione come interessi legittimi, in quanto non appaiono né differenziati né qualificati da una norma (requisiti che la dottrina impone perché si possa parlare di interesse legittimo), ma il fatto che vi sia un’organizzazione dotata di personalità giuridica facilita le cose. Più difficile è rintracciare le caratteristiche dell’interesse legittimo nel caso di interessi diffusi: in questo caso, infatti, si fa riferimento a interessi che appartengono ad una pluralità di soggetti dato che attengono beni non suscettibili di fruizione differenziata, ossia beni nei confronti della cui tutela tutta la comunità ha un interesse. La giurisprudenza ha cercato, nel corso degli anni, di individuare criteri sulla base dei quali trasformare interessi collettivi e diffusi in interessi differenziati e quindi legittimi, facenti capo a soggetti privati individuati, ma non sempre con fortuna. Un criterio è, ad esempio, quello del collegamento stabile e non occasionale dell’associazione che si fa carico della cura di interessi diffusi, con il territorio sul quale si producono gli effetti dell’atto amministrativo: in questo modo si era però andati a penalizzare le organizzazioni a carattere nazionale. Il legislatore ha poi previsto che fosse consentita la partecipazione ad associazioni che facessero parte di comitati previsti dalla legge stessa: tale soluzione è poi stata definitivamente consacrata con la l 241/90 la quale consente ai portatori di interessi diffusi costituiti in associazioni o comitati di intervenire nel procedimento. Non si parla direttamente di interessi collettivi, ma la presenza di associazioni e comitati sembra poter aprire le porte alle stabili organizzazioni. In ogni caso non si poneva già a partire dall’86 il problema della legittimazione ad agire delle associazioni in materia ambientale (riconosciute dal ministro dell’ambiente) e di tutela del consumatore rappresentative a livello nazionale e iscritte nell’apposito elenco delle associazioni dei consumatori e degli utenti. 9 Tomaso Ferrando – Diritto Amministrativo Gallo – A.A. 2005/2006 • Diritto soggettivo: si parla di diritto soggettivo, invece, tutte le volte nelle quali il legislatore ha dato al cittadino la possibilità di soddisfare pienamente ed in modo non mediato il proprio interesse, ossia indipendentemente dalla soddisfazione dell’interesse pubblico curato dall’amministrazione. È diritto soggettivo, quindi, una situazione che potrebbe essere definita di immunità dal potere. I diritti soggettivi sono tutelati dalle norme dell’ordinamento stesso: la violazione di un diritto soggettivo è competenza del giudice ordinario. Interessi: il cittadino può avere nei confronti della PA un diverso tipo di interesse: si parla infatti di interesse pretensivo quando il privato pretende qualcosa dall’amministrazione al fine di ottenere il soddisfacimento di una propria aspirazione (il quale dipende dal comportamento attivo della PA), mentre si avrà interesse oppositivo tutte le volte nelle quali il soggetto provato opporrà all’esercizio di un potere un proprio interesse al fine di bloccare l’attività della PA volta a dar vita ad una vicenda giuridica svantaggiosa per il privato. Potere dell’amministrazione: la peculiarità dell’amministrazione pubblica deriva dal fatto che ad essa sia attribuita la potenzialità astratta di tenere un certo comportamento e di produrre modificazioni di vicende giuridiche unilateralmente. Il potere è, di norma, autoritativo e unilaterale. Poteri dei privati: il nostro ordinamento riconosce al titolare dell’interesse legittimo dei poteri di cui si può servire in determinate occasioni. In particolare si avrà un potere di reazione il cui esercizio si concretizza nei ricorsi amministrativi e nei ricorsi giurisdizionali volti ad ottenere l’annullamento dell’atto amministrativo. Vi sarà poi un potere partecipativo che consente al titolare di un interesse legittimo di prendere parte al procedimento amministrativo non solo per opporvisi, ma per fare in modo che esso prenda in considerazione tutto quanto possa essere nel suo interesse. • • • INTERESSE LEGITTIMO NELL’ASSEGNAZIONE PUBBLICI APPALTI Il nostro legislatore ha previsto tre modi attraverso i quali è possibile l’assegnazione di pubblici appalti: asta pubblica (offerta aperta), licitazione privata (adoperabile nel caso in cui l’asta pubblica vada deserta o vi siano motivi di urgenza, l’appaltatore individua i soggetti da cui vorrà ottenere un’offerta attraverso la pubblicazione di un bando pubblico e la successiva scelta motivata tra coloro che si sono presentati) e la trattativa privata (solo se gli altri metodi non hanno funzionato oppure se ci sono motivi di urgenza, consente di trattare direttamente con le aziende ma a patto che ad ogni ditta siano date le stesse opportunità). A ciò si aggiungono le norme comunitarie che favoriscono la maggior pubblicità e la maggior partecipazione possibile. Ebbene queste tre diverse situazioni, più o meno dettagliatamente regolate dal legislatore, consentono di capire come l’interesse legittimo sia più o meno tutelabile a seconda della quantità di vincoli cui la PA è tenuta. Più è alta la discrezionalità della pubblica amministrazione, come nel caso della trattativa privata, e meno facilmente l’interesse di coloro che non sono stati scelti sarà azionabile e tutelabile. D’altronde l’art. 41 Cost prevede che l’iniziativa economica privata sia libera, ma che la legge determini i programmi e i controlli opportunità perchè l’attività economica, pubblica e privata, possa essere indirizzata e coordinate a fini sociali. Libertà di iniziativa e tutela del proprio interesse possono quindi essere limitate dall’interesse sociale della comunità. Nell’800 l’iniziativa era totalmente libera, con il passare dei decenni si è cercato di introdurre licenze tali da regolare tale iniziativa (ad esempio farmacie: più è l’offerta più è alta la domanda, quindi è necessario un controllo ed una limitazione in base al numero di abitanti. Per ogni farmacia ci sarà interesse legittimo pretensivo di chi vuole aprire la farmacia e interesse legittimo oppositivo di chi non vuole l’apertura della farmacia). 10 Tomaso Ferrando – Diritto Amministrativo Gallo – A.A. 2005/2006 LEGITTIMAZIONE AD AGIRE Sicuramente è legittimato ad agire nei confronti di un atto o di un procedimento amministrativo è colui che è titolare di un interesse legittimo (quindi che è direttamente, personalmente e attualmente colpito dal procedimento o dall’atto stesso). Si è visto poi il problema della legittimazione di titolari di interessi collettivi e di interessi diffusi adottata nel 90 dal legislatore. Relativamente agli interessi diffusi è però il caso di fare un esempio molto significativo. Il legislatore, di fronte ad una situazione di diffuso abusivismo edilizio si è posto il problema di legittimare anche soggetti che non avessero un interesse diretto, ad agire contro situazioni nelle quali sia la PA sia i titolari di interesse legittimo fossero inermi. Così una legge degli anni 70, al numero 767, diede la possibilità a chiunque di ricorrere in giudizio contro situazioni di abusivismo edilizio: in questo modo l’interesse legittimo veniva a trovarsi in capo a chiunque, indipendentemente dal suo rapporto con il fatto. Chiunque poteva ricorrere contro un abuso edilizio o contro permessi di costruire che violassero le norme. In questo modo il legislatore aveva dato ai titolari di interessi diffusi la legittimazione ad agire, sulla base di un generale interesse alla tutela, anche se titolari di un mero interesse di fatto, che ha preso il posto dell’interesse ad essere tutelati tipico del titolare di interesse legittimo. Il consiglio di Stato si era adeguato alla strada prescelta dal legislatore del 70, e allora si arrivò al ricorso in cassazione: gli sconfitti sostennero infatti che chi aveva agito non fosse legittimato ad agire perché privo di qualunque interesse legittimo o di uni diritto soggettivo. La cassazione interpretò la norma alla luce dell’art. 111 Cost (ricorso solo se c’è interesse legittimo o diritto soggettivo) e interpretò il “chiunque” contenuto nella legge come “chiunque abbia un interesse legittimo”: in questo modo la norma del 70, che doveva essere innovativa, si trovò a non dire nulla di più di quanto già si sapesse. La palla passò allora nuovamente al Consiglio di Stato, il quale è normalmente più elastico della cassazione, che intese il “chiunque” come “chiunque risieda stabilmente nell’insediamento abitativo”, ossia chiunque abbia un collegamento stabile con il luogo ove l’edificio venga costruito. Il titolare di un interesse diffuso veniva quindi legittimato ad agire in un ambito di situazioni più ampio rispetto al titolare di interesse legittimo, ma la legittimazione ad agire perdeva il carattere assoluto che la norma del 70 aveva invece disposto. Si venne però a creare il problema di soggetti che richiedevano a persone risiedenti in maniera stabile in un luogo di agire contro abusi edilizi posti in essere da concorrenti economici: il TAR cercò allora di limitare questa pratica riducendo il più possibile l’estensione del concetto di “stabile collegamento”. Un’eccezione è costituita, come si è visto, da coloro che sono preposti alla tutela ambientale: dal 1986, infatti, la legittimazione ad agire contro atti o procedimenti che ledano l’ambiente è attribuita in capo a enti ed associazioni riconosciute dal ministero e iscritte in una specifica lista. DIRITTI FONDAMENTALI La giurisprudenza ha riconosciuto il rilievo, anche di fronte alla PA, dei diritti fondamentali. Alcune posizioni (diritto alla salute, all’istruzione…) possono essere sempre fatte valere per opporsi alla PA, ed essa, di fronte a tali diritti, non potrà fare altro che interrompere il procedimento o ritirare l’atto. Un provvedimento amministrativo che leda un diritto fondamentale è nullo. Un diritto fondamentale si trasforma invece in un interesse legittimo quando lo si utilizzi per ottenere qualcosa: il diritto alla salute supera i provvedimenti che lo ledano, ma la pretesa di cure gratuite sulla base del diritto alla salute trova l’ostacolo dell’interesse collettivo a che lo Stato non spenda eccessivamente. IL PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO 11 Tomaso Ferrando – Diritto Amministrativo Gallo – A.A. 2005/2006 Il procedimento amministrativo è quanto viene posto in essere per arrivare ad un provvedimento: mentre negli anni ’40 i cittadini preferivano non avere a che fare con il procedimento, e limitarsi a contestare eventualmente il provvedimento emanato, lentamente si è affermata l’idea che il controllo sui preparativi dell’atto può essere altrettanto importante, se non ancor più importante, per tutelare gli interessi dei cittadini. Il procedimento è l’insieme di operazioni materiali e di attività giuridiche. Esso è articolato in: 1. fase preparatoria: a sua volta si distingue in • sottofase iniziativa: comincia il percorso. A volta su domanda dell’interessato, altre volte d’ufficio dall’amministrazione, spontaneamente. Altre volte ancora l’amministrazione chiede a qualcun altro di compiere l’atto: si parla di atto “su richiesta” • sottofase istruttoria: si accertano i presupposti di fatto e di diritto che formano l’atto. C’è anche una fase consultiva: dall’interno dell’amministrazione arrivano all’amministrazione procedente pareri (facoltativi, obbligatori, vincolanti, semivincolanti, conformi) 2. fase costitutiva: si decide sul da farsi. A volte ciò avviene in modo molto semplice, perché l’amministrazione interessata è una sola e perché chi deve decidere è un soggetto unico. Nel caso di soggetto collegiale che deve prendere la decisione, devono essere presenti tutti e la decisione sarà assunta con la maggioranza relativa. Tutto quanto avviene in questa seduta viene verbalizzato, compresa la deliberazione che fonderà il provvedimento 3. fase integrativa dell’efficacia: una volta emesso il provvedimento non è detto che questo sia efficace. Prima del ’90 erano previsti dei controlli obbligatori prima di dotarlo di efficacia, dal ’90 in avanti, a favore dell’economicità e del buon andamento, si è pensato di prevedere controlli successivi alla presa di efficacia dell’atto. La maggior parte delle fasi del procedimento amministrativo sono regolate dalla legge 241/90, integrata con le leggi 15/2005 e 80/2005. In particolare il procedimento viene regolato nel rispetto dei principi di economicità, efficacia, pubblicità e trasparenza e dai principi dell’ordinamento comunitario. È stata data particolare attenzione ad alcune parti del procedimento che fino a quel momento avevano creato il maggior numero di problemi. Ad esempio l’art. 2 prevede che < Ove il procedimento consegua obbligatoriamente ad una istanza, ovvero debba essere iniziato d'ufficio, la pubblica amministrazione ha il dovere di concluderlo mediante l'adozione di un provvedimento espresso>. Dato che molto spesso il procedimento veniva abbandonato a metà, il legislatore ha imposto che esso debba portare all’emanazione di un provvedimento. L’esercizio della funzione amministrativa è quindi doveroso. Un altro aspetto preso in considerazione è quello del silenzio dell’amministrazione che lasci decorrere i termini senza emettere provvedimento né di diniego né di accoglimento. Il T.U. del 1934 prevedeva che un cittadino dovesse presentare il ricorso, aspettare 120 gg, notificare una diffida ad adempiere e poi solo 60 gg dopo poteva considerarsi respinto l’atto (silenzio diniego) Nel 1971, per accorciare i tempi il legislatore previde di abbreviare i termini: la domanda di parte si considerava respinta scaduti 90 gg dal ricorso. Nel 1978 il Consiglio di Stato si pronunciò in sede plenaria e dispose che il cittadino era tenuto a sollecitare la PA a rispondere: dopo 30 gg dal ricorso si doveva presentare una diffida e poi si sarebbe potuto ottenere anche il risarcimento dei danni. Nel 1990, avendo affermato che tutti i procedimenti andavano portati a termine, il legislatore ha stabilito che ogni amministrazione fissi il termine entro quanto ciò avverrà, oppure che ci sarà un 12 Tomaso Ferrando – Diritto Amministrativo Gallo – A.A. 2005/2006 tempo limiti di legge stabilito a 30 gg. Per aggirare la situazione molte amministrazioni prevedono termini anche superiori agli 800 giorni. Con la legge 15/2005 è stato invece tolto l’obbligo di diffida, ma da 30 giorni come termine di legge si è passati a 90. Sono dati però al cittadino 365 giorni di tempo per ricorrere contro la formazione del silenzio. DIVIETO DI AGGRAVAMENTO DEL PROCEDIMENTO Art. 2.1 l 241/90 <La pubblica amministrazione non può aggravare il procedimento se non per straordinarie e motivate esigenze imposte dallo svolgimento dell'istruttoria>: il cittadino pretende che l’amministrazione agisca ed agisca correttamente e in fretta, quindi il legislatore impone il divieto di aggravamento del procedimento. L’amministrazione non può uscire dallo schema predisposto dal legislatore, introdurre nuovi adempimenti non previsti, a meno di straordinarie e motivate esigenze imposte dallo svolgimento dell’istruttoria. La PA potrebbe infatti voler inserire nuovi procedimenti per scrupolo, per avere più certezza e sicurezza nell’emanare il provvedimento o per avere una base più solida del provvedimento. Adesso non può più farlo a meno che non si tratti di un caso straordinario. La PA, secondo ancora quanto previsto dalla legge sull’unificazione del procedimento amministrativo del 1865 E, deve: • sentire gli interessati • acquisire il parere degli organi collegiali previsti • agire con atto motivato Dal T.U. del 90 non può più, come avveniva prima, prendere con discrezionalità queste indicazioni, ma deve necessariamente fatto quanto previsto dal legislatore. OBBLIGO DI MOTIVAZIONE DEL PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO <Ogni provvedimento amministrativo, compresi quelli concernenti l'organizzazione amministrativa, lo svolgimento dei pubblici concorsi ed il personale, deve essere motivato, salvo che nelle ipotesi previste dal comma 2. La motivazione deve indicare i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell'amministrazione, in relazione alle risultanze dell'istruttoria.> Tale principio era già presente nella legge di unificazione del procedimento amministrativo del 1865 n. E, ma mai applicato, nonostante il tentativo della giurisprudenza di applicarlo imponendo l’obbligo di motivazione in tutti casi in cui la mancanza di motivazione potesse far pensare ad un difetto del provvedimento (ad esempio obbligo di motivare i provvedimenti di autotutela perché altrimenti il cittadino rischia di non capire perché l’amministrazione annulla un atto che lei stessa ha provveduto ad emanare: se cambia idea deve dire perché). In ogni caso queste erano ipotesi giurisprudenziali, poco chiare e poco certe: il legislatore del 90 ha posto fine alle incertezze imponendo l’obbligo di motivazione per tutti gli atti <tranne che per gli atti normativi e per quelli a contenuto generale>. Gli atti normativi non devono essere motivati perché la ragione dei regolamenti si trae dal loro stesso dispositivo (la ratio legis). Motivare gli atti normativi infatti determina una forte limitazione dell’interprete che dovrà attenersi alla visione della legge di chi l’ha formulata, potendola scarsamente adattare all’evoluzione della società. Gli atti a contenuto generale non vanno motivati perché si ritiene che la motivazione sia rintracciabile nelle scelte precedenti all’atto. IN CHE COSA CONSISTE LA MOTIVAZIONE 13 Tomaso Ferrando – Diritto Amministrativo Gallo – A.A. 2005/2006 La motivazione è l’espressione del fatto e del diritto che sono emersi nell’istruttoria, ossia nella fase nella quale la PA individua sia lo stato di fatto sia di diritto della situazione nella quale sta procedendo. Con la motivazione deve far risultare tali dati, che sono alla base del provvedimento stesso. DOVE DEVE ESSERE CONTENUTO NELLA MOTIVAZIONE Di norma la motivazione accompagna il provvedimento, l’atto finale emesso dall’amministrazione. Quando il procedimento è molto articolato si può formulare una motivazione per relationem, ossia si fa riferimento ad atti allegati al provvedimento. TESTO UNICO SUL PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO l. 241/1990 Art. 1 L'attività amministrativa persegue i fini determinati dalla legge ed è retta da criteri di economicità, di efficacia, di pubblicità e di trasparenza secondo le modalità previste dalla presente legge e dalle altre disposizioni che disciplinano singoli procedimenti nonché dai principi dell'ordinamento comunitario. L’articolo riprende i principi costituzionali di economicità e buon andamento ma ha cercato di adeguarli all’evoluzione dei tempi, ampliandone la portata. 1. Il buon andamento previsto in costituzione è stato trasformato in economicità e raggiungimento degli obiettivi di legge. L’efficacia è valuta andando a vedere il rapporto tra quanto si è effettivamente realizzato e quanto si sarebbe dovuto realizzare sulla base di un piano o di un programma 2. Per quanto riguarda il criterio di efficienza, si ritiene che esso indichi la <necessità di misurare il rapporto tra il risultato dell’azione organizzativa e la quantità di risorse impiegate per ottenere quel dato risultato>. 3. Non si è poi voluto fare riferimento al criterio di imparzialità perché i sostenitori di un’amministrazione produttiva, improntata su di un modello privatistico, non potevano concepire il rispetto del principio di uguaglianza e di imparzialità da parte di un’azienda. Per questo motivo nel T.U. sono stai previsti dei corollari dell’imparzialità come la pubblicità e la trasparenza, il cui rispetto determina, comunque, un’imparzialità della PA. Grazie alla trasparenza e alla pubblicità tutti possono controllare quanto avvenga all’interno della PA: se tutti possono controllare, l’amministrazione sarà tenuta ad agire in maniera imparziale, pena la possibilità di essere sanzionata. Per quanto riguarda l’ambito di applicazione della legge, l’art. 29 prevede che le disposizioni della legge <si applicano ai procedimenti amministrativi che si svolgono nell’ambito delle amministrazioni statali e degli enti pubblici nazionali, e per quanto stabilito in tema di giustizia amministrativa, a tutte le amministrazioni pubbliche>: le regioni e gli enti locali, nell’ambito delle rispettive competenze, si vedono riconosciuto il potere di regolare le materie disciplinate dalla legge 241 nel rispetto del sistema costituzionale e delle garanzie del cittadino nei confronti della PA stabilite dalla legge 241 stessa. Per altri istituti, come l’accesso, si vedrà invece che il legislatore ha tentato di imporre tale disciplina a tutti i livelli amministrativi facendo ricorso al riferimento ai livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, e quindi costituzionalizzando il diritto di accesso e fondando in questo modo la competenza del legislatore statale. Al fianco del diritto di accesso si potranno allora annoverare altri principi, quali la motivazione, la partecipazione, la comunicazione preventiva delle ragioni ostative all’accoglimento dell’istanza, il regime dei procedimenti ad istanza di parte. INIZIATIVA DEL PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO Il procedimento si apre con l’iniziativa che può essere ad istanza di parte ovvero d’ufficio. 14 Tomaso Ferrando – Diritto Amministrativo Gallo – A.A. 2005/2006 L’iniziativa ad istanza è caratterizzata dal fatto che il dover procedere sorge a seguito d’impulso proveniente da un soggetto privato oppure da un soggetto pubblico diverso dall’amministrazione cui è attribuito il potere di procedere. A seconda del fatto che la domanda provenga da un soggetto pubblico o da un soggetto privato si parlerà di richiesta (o proposta) o di istanza vera e propria: l’istanza si ha infatti solamente nel caso in cui sia il cittadino a far sorgere nell’amministrazione il dovere di procedere. Nel caso di istanza erronea o incompleta, sempre il T.U. ha disposto a carico del responsabile del procedimento il compito di richiedere la correzione, l’integrazione o comunque la rettifica dell’istanza: è stato così introdotto il principio di sanabilità delle istanze dei privati. Si ha iniziativa di ufficio, ossia da parte dello stesso soggetto che ha il potere di procedere, quando il tipo di interessi pubblici affidati alla cura dell’amministrazione siano tali da esigere che questa si attivi automaticamente al ricorrere di alcuni presupposti, indipendentemente da istanze, richieste o proposte. Si parla di dovere di procedere perché, a seguito dell’introduzione del T.U. proc amm del 90, l’amministrazione ha il dovere di arrivare ad un provvedimento, e di arrivarvi entro lo scadere del termine imposto dal legislatore. In realtà, con riferimento ai procedimenti su istanza di parte, l’art. 20 l 241/90 ammette l’istituto del silenzio assenso: unico modo per l’amministrazione di esprimere il suo diniego è, in questo caso, l’emanazione di un provvedimento di diniego o attraverso l’indizione di una conferenza di servizi. Vi sono dei casi, in particolare quelli espressamente previsti dalla legge, ma in ogni caso i procedimenti riguardanti il patrimonio culturale e paesaggistico, l’ambiente, la difesa nazionale, la pubblica sicurezza e l’immigrazione, la salute e la pubblica incolumità, nei quali il silenzio dell’amministrazione è, per previsione comunitaria, equiparato al rigetto dell’istanza. In altre ipotesi a seguito di decorso del termine senza che l’amministrazione abbia emanato il provvedimento, non si ha né silenzio assenso né silenzio diniego, bensì silenzio inadempimento, che non produce effetti equipollenti a quelli di un provvedimento di accoglienza o di rigetto dell’istanza. Di fronte al silenzio inadempimento il cittadino ha a disposizione lo strumento del ricorso, che mira ad ottenere un provvedimento specifico: l’amministrazione infatti non decade dal potere di agire, ma potrà essere considerata responsabile per lesioni di interessi meritevoli di tutela. Il ricorso avverso il silenzio può, secondo la disciplina corrente, essere proposto anche senza necessità di diffida ad adempiere. I termini del procedimento amministrativo possono essere interrotti e sospesi da parte dell’amministrazione procedente: in particolare prima dell’adozione formale di un provvedimento negativo, l’amministrazione interrompe i termini e comunica agli istanti i motivi che ostano l’accoglimento della domanda, che iniziano nuovamente a decorrere dal principio a decorrere dalla data di presentazione delle osservazioni. Mentre per quanto riguarda la sospensione si vedrà in seguito della possibilità di sospendere il termine per esigenze istruttorie quando l’amministrazione sia richiesta di formulare pareri o di esprimere valutazioni tecniche. IL RESPONSABILE DEL PROCEDIMENTO La legge 241/90 ha modificato profondamente il rapporto tra cittadino e PA: ogni privato infatti non si trova più a doversi rivolgere ad un’amministrazione che impersonalmente svolge la sua funzione. Si è infatti affermata l’idea che l’amministrazione proceda meglio avendo un contatto diretto con il cittadino, se c’è visibilità e se c’è la possibilità di individuare all’interno dell’amministrazione delle persone fisiche con cui avere un rapporto diretto. 15 Tomaso Ferrando – Diritto Amministrativo Gallo – A.A. 2005/2006 Se in passato la non penetrabilità significava imparzialità perché totale assenza di condizionamenti, l’idea è stata ribaltata, ed oggi si pensa che il non poter vedere, il non avere chiarezza sia solo fonte di parzialità e di poca correttezza dei procedimenti. L’indicare un soggetto responsabile determina, inoltre, che il procedimento andrà a termine, pena la responsabilità. L’art. 4 l 241/90 indica che le <pubbliche amministrazioni sono tenute a determinare per ciascun tipo di procedimento relativo ad atti di loro competenza l'unità organizzativa responsabile della istruttoria e di ogni altro adempimento procedimentale, nonché dell'adozione del provvedimento finale>: all’interno di ogni amministrazione si trovano quindi tante unità organizzative, ognuna responsabile di un tipo di procedimento, dall’istruttoria siano all’adozione del provvedimento finale. All’interno di ogni unità organizzativa vi sarà un dirigente, il quale avrà il compito, di fronte ad ogni singolo procedimento da seguire, di <assegnare a sé o ad altro dipendente addetto all'unità la responsabilità della istruttoria e di ogni altro adempimento inerente il singolo procedimento nonché, eventualmente, dell'adozione del provvedimento finale>. Ogni adempimento, ogni atto scritto, ogni documentazione, e in alcuni casi anche l’adozione del provvedimento finale, spettano al responsabile del procedimento. Il responsabile del procedimento ha una serie di compiti previsti dall’art. 6 l 241/90: a) valuta, ai fini istruttori, le condizioni di ammissibilità, i requisiti di legittimazione ed i presupposti che siano rilevanti per l'emanazione di provvedimento; b) accerta di ufficio i fatti, disponendo il compimento degli atti all'uopo necessari, e adotta ogni misura per l'adeguato e sollecito svolgimento dell'istruttoria. In particolare, può chiedere il rilascio di dichiarazioni e la rettifica di dichiarazioni o istanze erronee o incomplete e può esperire accertamenti tecnici ed ispezioni ed ordinare esibizioni documentali; c) propone l'indizione o, avendone la competenza, indice le conferenze di servizi di cui all'articolo 14; d) cura le comunicazioni, le pubblicazioni e le modificazioni previste dalle leggi e dai regolamenti; e) adotta, ove ne abbia la competenza, il provvedimento finale, ovvero trasmette gli atti all'organo competente per l'adozione. L'organo competente per l'adozione del provvedimento finale, ove diverso dal responsabile del procedimento, non può discostarsi dalle risultanze dell'istruttoria condotta dal responsabile del procedimento se non indicandone la motivazione nel provvedimento finale. Alcuni di questi compiti sono molto importanti. Innovativa, e molto rilevante, è la previsione del compito di aiutare chi presenta l’istanza, attraverso la rettifica di dichiarazioni o istanze erronee o incomplete. Tale compito non può però essere svolto nel caso in cui vi sia concorrenza di più soggetti, come ad esempio nel caso di un bando pubblico, perché altrimenti l’intervento del responsabile del procedimento a favore di uno andrebbe a danno di coloro che hanno correttamente e tempestivamente presentato le loro domande. In realtà però la giurisprudenza è, a riguardo, molto incerta. Non si sa mai bene come giudicare casi del genere. Molto importante anche il punto e) in particolare nella parte in cui sancisce che se non è il responsabile del procedimento ad adottare il provvedimento finale (perché non ne ha la competenza) colui che lo adotta (quindi quasi sempre il dirigente) non potrà discostarsi dalle risultanze dell’istruttoria condotta dal responsabile del procedimento se non motivando la sua scelta. Il responsabile del procedimento è, di norma, nominato prima dell’inizio del procedimento stesso, infatti nella comunicazione di avvio del procedimento è indicato chi sia il responsabile: in caso 16 Tomaso Ferrando – Diritto Amministrativo Gallo – A.A. 2005/2006 contrario tale compito è temporaneamente svolto dal dirigente dell’unità organizzativa preposta a tale procedimento. COMUNICAZIONE DI AVVIO DEL PROCEDIMENTO Art. 7. 1. l 241/90 <Ove non sussistano ragioni di impedimento derivanti da particolari esigenze di celerità del procedimento, l'avvio del procedimento stesso è comunicato, con le modalità previste dall'articolo 8, ai soggetti nei confronti dei quali il provvedimento finale è destinato a produrre effetti diretti ed a quelli che per legge debbono intervenirvi. Ove parimenti non sussistano le ragioni di impedimento predette, qualora da un provvedimento possa derivare un pregiudizio a soggetti individuati o facilmente individuabili, diversi dai suoi diretti destinatari, l'amministrazione è tenuta a fornire loro, con le stesse modalità, notizia dell'inizio del procedimento.> È data possibilità al cittadino che venga a contatto con la PA di partecipare al procedimento che essa ponga in essere: il cittadino che partecipa può essere mosso o dalla volontà di opporsi al procedimento dell’amministrazione (interesse oppositivo) o di collaborare con l’amministrazione (interesse collaborativi). Per partecipare al procedimento non è infatti detto che ci sia il rischio di un pregiudizio da seguito dell’emanazione del provvedimento dell’amministrazione. Può infatti darsi il caso del privato che abbia interesse all’emanazione del provvedimento, e quindi la sua partecipazione sarà finalizzata al fornire alla PA tutti i dati di cui abbia bisogno per emanare un provvedimento corretto. Il procedimento amministrativo inizia con la comunicazione di avvio del procedimento ad opera del responsabile del procedimento. L’avviso deve contenere l’indicazione: • Dell’amministrazione procedente • Del nome del responsabile del procedimento • Della struttura a cui il responsabile appartiene (unità organizzativa responsabile) • Dell’oggetto del procedimento • Dell’ufficio presso cui è possibile prendere visione degli atti • Della data in cui il procedimento ha inizio, in modo da sapere quando sia il termine entro cui il procedimento va concluso • Degli strumenti a disposizione del privato di fronte al silenzio amministrativo (sia che si trati di silenzio assenso sia che si tratti di silenzio diniego). Per quel che riguarda il silenzio, il legislatore del 2005 ha previsto che sia possibile agire contro il silenzio come se si trattasse di inadempimento della PA. Senza nemmeno dover proporre diffida, il privato può portare in giudizio la PA che non si sia espressa. Quindi il silenzio attualmente può essere sia silenzio significativo (ma questo dipende dal tipo di procedimento) e quindi portare a diniego o accettazione di una richiesta, oppure silenzio inadempimento, e quindi essere fonte di responsabilità. La giurisprudenza distingue tra elementi essenziali della comunicazione ed elementi non essenziali: è sicuramente essenziale l’indicazione dell’oggetto del procedimento, non è essenziale l’indicazione del responsabile del provvedimento. La mancanza di un elemento essenziale determina annullabilità della comunicazione, mentre la mancanza di un elemento non essenziale solo irregolarità. MODALITA’ DI PROCEDIMENTO 1. notificazione COMUNICAZIONE DELLA COMUNICAZIONE DI INIZIO 17 Tomaso Ferrando – Diritto Amministrativo Gallo – A.A. 2005/2006 2. strumenti di comunicazione alternativi nel caso di comunicazione eccessivamente gravosa dato il numero: l’utilizzo deve però essere motivato. DESTINATARI DELL’ATTO • diretti: coloro che sono titolari di interessi oppositivi o pretensivi (che devono quindi difendersi o vogliono collaborare con la PA). • coloro che per legge devono intervenire: coloro che devono dare pareri obbligatori, non obbligatori, vincolanti o non vincolati, coloro che devono svolgere attività consultiva, e altri soggetti, come ad esempio coloro che devono collaborare all’istruttoria. • Inoltre qualora da un provvedimento possa derivare un pregiudizio a soggetti individuati o facilmente individuabili, diversi dai suoi diretti destinatari, l'amministrazione è tenuta a fornire loro, con le stesse modalità, notizia dell'inizio del procedimento. Si tratta dei c.d. controinteressati, la cui paretecipazione ha funzione deflativa del contenzioso. • Non hanno diritto alla comunicazione coloro che dal provvedimento potrebbero ricevere effetti favorevoli ECCEZIONI ALLA COMUNICAZIONE D’AVVIO Per legge, qualora vi siano ragioni di celerità, di urgenza qualificata, ossia motivata, è possibile prevedere che la comunicazione d’avvio non sia data. È l’amministrazione che tenendo conto della presenza, o meno, di motivate ragioni di celerità o di urgenza qualificata, determinerà caso per caso se si possa fare a meno della comunicazione d’avvio del procedimento. La giurisprudenza ha inoltre individuato quattro tipi di provvedimenti specifici in cui non è prevista la comunicazione d’avvio per via della loro stessa natura: • l’articolo 13 l 90/241 prevede infatti che le <disposizioni contenute nel presente capo non si applicano nei confronti dell'attività della pubblica amministrazione diretta alla emanazione di atti normativi, amministrativi generali, di pianificazione e di programmazione, per i quali restano ferme le particolari norme che ne regolano la formazione>: tutte le volte che si debba emettere un provvedimento normativo, amministrativo generale, di pianificazione e di programmazione, non sarà obbligatorio procedere alla comunicazione di avvio del procedimento. A tali si aggiungono poi i procedimenti tributari, dei quali colui nei cui confronti sono indirizzati non deve essere informato. Si ritiene che possa non esserci comunicazione dell’avvio del procedimento perché si ritiene che non ci possa ancora essere lesione dell’interesse privato dato che ci si trova ad un livello generale ed astratto: saranno poi gli atti attuativi a dover essere comunicati (ed è il caso degli atti programmatici). Per quanto riguarda gli atti normativi, generali e di pianificazione si ritiene che non debba esserci comunicazione d’avvio del procedimento perché i destinatari sono talmente tanti che non si potrebbe consentire la partecipazione di tutti. Per quanto riguarda il procedimento tributario, il non far sapere dell’avvio del procedimento ha finalità istruttorie. COMUNICAZIONE DIFFERITA Nel caso in cui si trovi a dover adottare provvedimenti cautelari prima dell’inizio del procedimento, la PA si riserva la facoltà di non comunicarlo, ma di differire tale comunicazione al momento della comunicazione di avvio del procedimento. Ciò può avvenire solo se il cautelare sia giustificato da motivi di urgenza. 18 Tomaso Ferrando – Diritto Amministrativo Gallo – A.A. 2005/2006 GIURISPRUDENZA SULLA COMUNICAZIONE D’AVVIO Subito dopo l’emanazione della l 90/241 la giurisprudenza ritenne che i limiti posti dal legislatore fossero da rispettare rigorosamente, e che ogni violazione determinasse un provvedimento illegittimo: l’assenza di comunicazione d’avvio del procedimento determinava illegittimità del provvedimento e quindi inficiava tutto quanto posto in essere dalla PA. Una nuova interpretazione, più recente, meno formalistica e meno meccanicistica, mira invece a tener conto più del merito che della forma di un provvedimento. Tale strada è stata percorsa per via del fatto che quasi sempre la PA, vistosi annullato un atto per violazione delle norme sulla comunicazione di avvio del procedimento, ne formulava un altro, corretto, e faceva ripartire tutto da capo. Si è allora pensato, anche per avere maggiore economicità, di guardare al contenuto dell’atto viziato, in modo da vedere se potesse essere ugualmente tale da produrre i suoi effetti o se fosse effettivamente da annullare. In questo modo la giurisprudenza ha individuato una serie di ipotesi nelle quali la mancata comunicazione di avvio non determina la nullità del provvedimento: • raggiungimento dello scopo: se la formalità a pena di nullità non è stata rispettata, ma si è ugualmente raggiunto lo scopo, ossia il destinatario ha partecipato o ha dichiarato di non voler partecipare, allora non ci sarà nullità. • Mancata comunicazione avvio di procedimento su istanza di parte non determina nullità: essendo il privato a richiedere l’avvio, non pare necessario che gli sia comunicato che ciò inizia. A tale ipotesi bisogna però controbattere che in questo modo il privato non viene informato dell’oggetto del procedimento e di altri elementi essenziali, mentre i controinteressati proprio non vengono avvisati. • Prova della resistenza: se la PA dimostra che la partecipazione del privato sarebbe stata inutile in quanto il provvedimento non sarebbe mai potuto essere diverso da quello emesso senza che ci sia stata partecipazione del privato stesso, allora non ci sarà nullità: si costringe in questo modo il giudice ad effettuare un’attività prognostica che non si addice molto bene al suo ruolo di soggetto giurisdizionale. Quest’ultima ipotesi ha determinato l’esclusione della comunicazione in tutti i casi di atti vincolati (nei quali manca del tutto la discrezionalità della PA, che è vincolata nel se e nel come). Si impedisce in questo modo al privato di far accertare la non esistenza delle circostanze che hanno determinato il vincolo per la PA o di far conoscere elementi tali da determinare un nuovo presupposto di fatto sulla base del quale il provvedimento non deve aver luogo. • La riforma del 2005 ha sancito il principio della prova della resistenza sia relativamente ai provvedimenti vincolati sia relativamente ai casi in cui, nonostante il vincolo, la PA dimostri che non sarebbe potuto essere diversamente: Non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato. Il provvedimento amministrativo non è comunque annullabile per mancata comunicazione dell'avvio del procedimento qualora l'amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato. In questo caso il vizio di forma è degradato a mera irregolarità, e l’irregolarità non determina mai annullamento. LA PARTECIPAZIONE AL PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO L’articolo 9.1 del T.U. sul procedimento amministrativo sancisce che <Qualunque soggetto, portatore di interessi pubblici o privati, nonché i portatori di interessi diffusi costituiti in associazioni o comitati, cui possa derivare un pregiudizio dal provvedimento, hanno facoltà di intervenire nel procedimento>. 19 Tomaso Ferrando – Diritto Amministrativo Gallo – A.A. 2005/2006 Il legislatore non ha posto limiti al tipo di interesse che giustifica un intervento in un procedimento amministrativo: titolari di interessi legittimi, pubblici, provati, di interessi diffusi o di mero fatto cui possa derivare pregiudizio dal provvedimento hanno facoltà di intervenire. Chiunque partecipi al procedimento ha poi il diritto di prendere visione degli atti del procedimento e di presentare memorie scritte e documenti, che l’amministrazione ha l’obbligo di valutare ove siano pertinenti all’oggetto del procedimento. Nelle memorie il soggetto di norma indica i propri diritti: ciò che più di tutto andrebbe inserito nelle memorie è, però, l’indicazione di una soluzione alternativa per la soddisfazione del pubblico interesse. A nulla serve opporre un proprio diritto, a meno che sia un diritto fondamentale, se non si propone una strada alternativa, economicamente o tecnicamente migliore alla PA. Non si ha partecipazione in ambito tributario. Non si applica il regime della partecipazione neanche nel caso di atti normativi, generali, di pianificazione e di programmazione. Non vi sarà partecipazione nemmeno nel caso di procedimenti iniziati prima dell’approvazione della legge 241/90. DIRITTO DI ACCESO AGLI ATTI DEL PROCEDIMENTO Gli interessati al procedimento devono poter prendere visione degli atti del procedimento stesso, al fine di avere una partecipazione più efficace e di garantire la trasparenza del procedimento stesso. Il diritto di accedere agli atti poi disancorato rispetto al diritto di ricorrere in giudizio contro il provvedimento o contro il procedimento all’interno del quale sono stati emanati gli atti cui si chiede di accedere: la finalità di tale diritto è, infatti, quella di garantire la trasparenza procedimentale, tanto che vi potrà essere un accesso esoprocedimentale, ossia relativa ad atti di un procedimento concluso. Tale diritto è contenuto all’art. 10 l 241/90, modificato nel 2005 dalla legge 15 per ragioni legate alla tutela della privacy. Prima del 90 c’era un rigoroso segreto d’ufficio sugli atti del procedimento per evitare interferenze e parzialità sull’atto finale. Veniva data invece ampia pubblicità dei provvedimenti al fine di consentire un forte controllo sociale (sia dei provvedimenti sia degli atti di controllo più significativi). La riforma del 90 è invece ispirata alla volontà di consentire agli interessati di prendere visione degli atti del procedimento nel suo compiersi, al fine di una maggior collaborazione con la PA. Si riconosce però una sfera individuale sottraibile alla conoscenza e al controllo degli altri a garanzia della privacy e della personalità individuale: relativamente ad alcuni dati, quindi, le esigenze della collettività vengono poste in secondo piano. Ma chi è legittimato all’accesso? I soggetti ai quali l’amministrazione è tenuta a comunicare l’avvio del procedimento (soggetti nei confronti dei quali il provvedimento finale è destinato a produrre effetti diretti ed a quelli che per legge debbono intervenirvi. Qualora da un provvedimento possa derivare un pregiudizio a soggetti individuati o facilmente individuabili, diversi dai suoi diretti destinatari) si vedono riconosciuto dall’art 10 l.241/90 il diritto di accesso agli atti del procedimento. Destinatari diretti, destinatari per legge e coloro ai quali potrebbe derivare un pregiudizio dall’emanazione del provvedimento si vedono quindi riconosciuto un complesso di facoltà. Ma l’articolo 10 T.U. enti locali va oltre riconoscendo che sono legittimati all’accesso tutti i cittadini, singoli o associati. Un decreto legislativo del 1997, facendo riferimento alle informazioni relative all’ambiente, stabilisce invece che chiunque ne faccia richiesta, senza che dimostri il proprio interesse, ha diritto all’accesso. Ma si tratta di un diritto soggettivo o di un interesse legittimo? 20 Tomaso Ferrando – Diritto Amministrativo Gallo – A.A. 2005/2006 In pratica, il titolare di tali facoltà potrà sempre farle valere oppure il suo interesse potrà essere temperato da esigenze pubbliche? Se è diritto soggettivo l’amministrazione non ha potere discrezionale nel consentire o negre l’accesso: s così fosse il rifiutare l’accesso sarebbe illegittimo e potrebbe determinare ricorso al giudice civile. Se fosse invece interesse legittimo, la PA potrebbe negare l’accesso e il privato potrebbe solamente ricorrere entro 30 giorni nei confronti dell’amministrazione stessa, pena conferma del diniego. Si capisce quindi che per il privato conviene che sia considerato diritto soggettivo, mentre all’amministrazione pubblica conviene che sia considerato interesse legittimo. Il dettato normativo parla di diritto di prendere visione e di estrarre copia: per il legislatore, quindi, l’accesso è un diritto soggettivo. Per giurisprudenza e dottrina, invece, è un interesse legittimo. Il legislatore lo ha definito un diritto perché a suo avviso è tale da favorire l’imparzialità, la trasparenza e la pubblicità della PA e quindi assume le vesti di un diritto fondamentale del cittadino nei confronti della PA: in particolare sarebbe, secondo il legislatore, un elemento fondamentale del diritto di difesa. Senza poter accedere agli atti, infatti, il cittadino si troverebbe limitato nella sua possibilità di esprimersi e di far valere le proprie ragioni a propria difesa. Inoltre disporre che il diritto di accesso è costituzionalmente riconosciuto, in quanto rientrante nell’ambito di quei diritti sociali di cui lo Stato deve garantire un livello essenziale, vuol dire far sì che non sia riconosciuto solo a livello di amministrazioni statali, ma anche a livello di amministrazioni regionali e locali. La riforma del 2005 ha definitivamente sancito l’approdo del diritto d’accesso tra i diritti fondamentali disponendo chiaramente che si parla di diritto d’accesso come diritto degli interessati di prendere visione e di estrarre copia di documenti amministrativi. Costituzionalizzando tale principio, all’art. 22.2 T.U. proc. amm. sancisce che <L'accesso ai documenti amministrativi, attese le sue rilevanti finalità di pubblico interesse, costituisce principio generale dell'attività amministrativa al fine di favorire la partecipazione e di assicurarne l'imparzialità e la trasparenza, ed attiene ai livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale ai sensi dell'articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione. Resta ferma la potestà delle regioni e degli enti locali, nell'ambito delle rispettive competenze, di garantire livelli ulteriori di tutela>, mentre, tornando sull’ambito di applicazione del diritto di accesso, prevede che <Il diritto di accesso di cui all'articolo 22 si esercita nei confronti delle amministrazioni dello Stato, ivi compresi le aziende autonome, gli enti pubblici ed i concessionari di pubblici servizi>. La giurisprudenza dovrebbe quindi ricredersi. ESERCIZIO DEL POTERE DI ACCESSO Gli interessati hanno diritto di accedere agli atti e di estrarne copia: in questo modo si è fatto un grande passo avanti rispetto a quando non si potevano neanche visionare, perché si dà la possibilità di estrarre copia, quindi di portare al di fuori della sede amministrativa copie degli atti. Si rischia, in particolare relativamente a progetti, che essi siano poi copiati in futuro, ma a questo punto entrerà in gioco la tutela del diritto d’autore. L’interessato può chiedere di accedere e di estrarre copia di: • qualunque provvedimento, comunque sia fatto; • i provvedimenti intermedi; • i pareri legali riservati (cioè quelli richiesti dalla PA e posti alla base del provvedimento); • non dei fascicoli processuali, che sono riservati alle parti. 21 Tomaso Ferrando – Diritto Amministrativo Gallo – A.A. 2005/2006 non si può poi chiedere alla PA di elaborare dati (di dire qualcosa in più rispetto a quanto contenuto negli archivi) Si è visto che i diretti destinatari del provvedimento, chi deve partecipare per legge e coloro ai quali potrebbe derivare pregiudizio (controinteressati) sono legittimati ad esercitare il diritto di accesso. Vi sono poi tre casi specifici di soggetti che, seppur non rientranti in queste categorie, possono esercitare il diritto d’accesso: 1. componenti organi collegiali locali, senza necessità di ulteriore qualificazione, nei confronti degli atti procedimentali dello stesso organo di cui sono parte 2. chiunque ha diritto di accesso nei procedimenti in cui è coinvolta la tutela ambientale 3. chiunque, sulla base di una legge regionale piemontese, può accedere agli atti relativi a qualunque permesso di costruire rilasciato in Piemonte. Ci si chiede se è necessario che chi voglia esercitare il diritto di accesso sia ancora in una situazione tale da poter esercitare la propria pretesa soggettiva nei confronti della PA oppure se il diritto di accesso è indipendente dal poter ancora far valere la propria posizione soggettiva (interesse legittimo o diritto soggettivo). Colui il cui diritto di ricorrere contro un provvedimento amministrativo è decaduto, può ugualmente accedere agli atti relativi al procedimento che ha determinato quel provvedimento? La giurisprudenza sostiene che la posizione soggettiva è tutelata in sede di diritto d’accesso anche se non c’è più la possibilità di ricorrere in giudizio. Per alcuni, ancora, il diritto di accesso è esercitatile addirittura da chi abbia un interesse di mero fatto, il che lascia capire che la possibilità di ricorrere in giudizio non è vista come un requisito per l’esercizio dell’accesso (perché l’interesse di mero fatto non è posizione giuridicamente tutelata). COME SI ESERCITA IL DIRITTO DI ACCESSO • informalmente: presentandosi agli uffici dove sono conservati gli atti di cui si vuol prendere visione, si richiede oralmente la visione dei documenti/atti. La richiesta, esaminata immediatamente e senza formalità è accolta mediante indicazione della pubblicazione contenente le notizie, esibizione del documento, estrazione di copie ovvero altra modalità atta a mettere nell’immediata disponibilità il documento. • formalmente: con atto scritto si esplicita la propria legittimazione a richiedere quel determinato atto/documento. Ciò può avvenire o su imposizione dell’amministrazione nel momento in cui un soggetto pone in essere un accesso informale (qualora non sia possibile l’accoglimento immediato di istanza informale, o sorgano dubbi sulla legittimazione, o sui poteri rappresentativi o sulla sussistenza dell’interesse o sull’accessibilità del documento) o da parte dello stesso soggetto che esercita il diritto il quale preferisce servirsi del mezzo scritto piuttosto che recarsi di persona. COME SI COMPORTA L’AMMINISTRAZIONE? L’amministrazione riceve l’istanza di richiesta di accesso e ha 30 giorni per provvedere e decidere se ammettere l’accesso oppure no (ma solo sulla base di quanto previsto dalla legge, non in modo discrezionale). La risposta dell’amministrazione non è quindi discrezionale, ma dipende dalla previsione legislativa: ciò determina che il giudice potrà essere investito della questione e sindacare la risposta negativa dell’amministrazione, in quanto non atto discrezionale. Uniche alternative all’accoglimento, nel caso in cui non vi siano ragioni per rifiutare l’accesso (ossia non ci si trovi in un caso in cui la legge predispone il rigetto dell’istanza) sono il differire la richiesta di accesso in base a determinate ragioni, che devono essere precise (non ci può infatti essere differimento immotivato), oppure limitare la portata dell’accesso. <Decorsi inutilmente trenta giorni dalla richiesta, questa si intende respinta. In caso di diniego dell'accesso, espresso o tacito, o di differimento dello stesso ai sensi dell'articolo 24, comma 4, il 22 • Tomaso Ferrando – Diritto Amministrativo Gallo – A.A. 2005/2006 richiedente può presentare ricorso al tribunale amministrativo regionale ai sensi del comma 5, ovvero chiedere, nello stesso termine e nei confronti degli atti delle amministrazioni comunali, provinciali e regionali, al difensore civico competente per ambito territoriale, ove costituito, che sia riesaminata la suddetta determinazione> <Se il difensore civico o la Commissione per l'accesso ritengono illegittimo il diniego o il differimento, ne informano il richiedente e lo comunicano all'autorità disponente. Se questa non emana il provvedimento confermativo motivato entro trenta giorni dal ricevimento della comunicazione del difensore civico o della Commissione, l'accesso è consentito> Nel caso in cui l’originale dell’atto non sia da essa conservato, dovrà consentire l’accesso presso il luogo ove è custodito l’originale. ESCLUSIONE DEL DIRITTO DI ACCESSO L’accesso agli atti del procedimento è la regola, la sua esclusione è l’eccezione e viene prevista solo in casi tassativi ed interpretabili in maniera molto rigida. L’esclusione è prevista: 1. per i documenti coperti da segreto di Stato; 2. nei procedimenti tributari; 3. nei confronti dell'attività della pubblica amministrazione diretta all'emanazione di atti normativi, amministrativi generali, di pianificazione e di programmazione; 4. nei procedimenti selettivi, nei confronti dei documenti amministrativi contenenti informazioni di carattere psico-attitudinale relativi a terzi. 5. in più il Governo può individuare con regolamento, casi ulteriori di sottrazione di documenti amministrativi quando dalla loro divulgazione possa derivare una lesione, specifica ed individuata, alla sicurezza ed alla difesa nazionale, all’esercizio della sovranità nazionale e alla continuità e correttezza delle relazioni internazionali; quando i documenti riguardino le strutture, i mezzi, le dotazioni, il personale e le azioni strettamente strumentali alla tutela dell’ordine pubblico, alla prevenzione e alla repressione della criminalità; quando i documenti riguardino la vita privata o la riservatezza di persone fisiche, persone giuridiche, gruppi, imprese o associazioni; 6. deve comunque essere garantito ai richiedenti l’accesso ai documenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i propri interessi giuridici. Nel caso di documenti contenenti dati sensibili e giudiziari, l’accesso è consentito nei limiti in cui sia strettamente indispensabile e in termini ancora più rigidi in caso di dati idonei a rivelare lo stato di salute o la vita sessuale. Dai punti appena elencati, ed in particolare dall’ultimo, si capisce come l’ordinamento consenta la prevalenza della pretesa del soggetto ad agire in tutela dei propri interessi giuridici rispetto alla tutela della riservatezza altrui. Si è quindi venuta a creare una gerarchia di diritti fondamentali, e il diritto alla propria difesa supera il diritto alla riservatezza, anche se con le limitazioni all’accesso disposte dall’articolo 24.7 l.241/90.. In qualche modo l’articolo in questione, visto come espressione del diritto di difesa, supera il diritto alla privacy. Fondamentale è, nel caso di dati riferibili a soggetti terzi, il bilanciamento dell’interesse del soggetto richiedente con il diritto alla riservatezza del soggetto cui tali dati si riferiscono. In ogni caso la comunicazione e la diffusione di dati personali sono ammesse unicamente quando sono previste da una norma di legge o di regolamento (riserva di legge) anche per via del fatto che la legge di riferimento (la 241/90) non prevede alcun tipo di partecipazione del controinteressato, che sarà tutelato solamente dall’amministrazione stessa e dalla sua capacità di ponderazione. Per i dati sensibili (origine razziale o etnica, convinzioni religiose, filosofiche..) e giudiziari è invece necessaria la stretta indispensabilità dell’accesso: in questo caso, quindi, le esigenze di tutela 23 Tomaso Ferrando – Diritto Amministrativo Gallo – A.A. 2005/2006 dei propri interessi giuridici deve essere ancora più forte che nel caso di dati personali relativi a soggetti terzi. Nel caso di dati supersensibili (ossia dei dati relativi alla vita sessuale ed allo stato di salute) è invece necessario che la situazione giuridicamente rilevante che si vuole tutelare attraverso l’accesso a questo tipo di dati sia almeno di rango pari ai diritti di colui cui i dati si riferiscono, ovvero consista in un diritto della personalità o di un altro diritto o libertà fondamentale e inviolabile. ATTIVITA’ ISTRUTTORIA DELLA PA: ACQUISIZIONE ATTI DI FATTO L’amministrazione è necessariamente parte del procedimento amministrativo: la sua attività istruttoria deve quindi essere regolata in maniera più attenta rispetto a quanto avvenga in un procedimento civile o penale, dato che in quei casi il giudice e terzo rispetto al procedimento. Le regole di acquisizione degli atti da parte della PA devono quindi essere più severe. Il modello cui fa riferimento l’attività istruttoria della PA è quello inquisitorio. I compiti cui l’amministrazione procedente, ed in particolare il responsabile del procedimento (che potrà avvalersi di uffici o servizi tecnici di altre amministrazioni) devono adempiere ed i mezzi istruttori di cui dispongono durante la fase istruttoria sono tassativamente indicati dal legislatore. Si ricordi che tutta l’attività istruttoria deve essere svolta rispettando il principio di non aggravamento e di efficienza dell’attività amministrativa. Tutta l’attività istruttoria si può dividere in due categorie: 1. accertamento della situazione di fatto: secondo il modello del processo inquisitorio la PA procede unilateralmente, seguendo lo schema dettato dal legislatore. Il mancato esercizio di questa attività istruttoria determina illeciti penali e responsabilità penale per chi abbia omesso tale attività. Essendo esercizio di un potere inquisitorio, il potere istruttorio della PA richiede obbligo di verificare la situazione di fatto. Bisogna accertare tutti i profili di fatto significativi, nessuno escluso: la realtà di fatto deve essere compiutamente rappresentata, anche grazie ai tecnici. Per ottenere ciò il responsabile del procedimento potrà chiedere l’esibizione di documenti, acquisirli direttamente o chiedere ad altre amministrazioni che certificati e documenti siano prodotti. Tra i procedimenti volti ad accertare i fatti possono ricordarsi le inchieste e le ispezioni, le quali hanno normalmente ad oggetto accadimenti e comportamenti, ovvero ancora beni di pertinenza di soggetti terzi. • Inchiesta amministrativa: da non confondere con quella parlamentare, l’inchiesta amministrativa è un istituto che mira ad un’acquisizione di scienza relativa d un evento straordinario che non può essere conosciuto ricorrendo alla normale attivià ispettiva. Essa sarà infatti affidata ad un organo istituito ad hoc e si concluderà con una relazione • Ispezione: insieme di atti, di operazioni o di procedimenti mirati ad acquisizioni di scienza che ha ad oggetto il comportamento di persone. 2. individuazione del quadro normativo: oltre ai dati di fatto, l’amministrazione deve accertare lo stato di diritto della situazione entro la quale si muove. Deve in pratica capire di quali poteri, tipici e determinati, sia dotata. Attua in questo modo una ricerca della normativa, che è molto difficile in quanto non esiste un codice di diritto amministrativo, e dato che vi sono vari livelli normativi, ed in particolare: • livello comunitario: di esso e della sua importanza sempre crescente si è parlato in precedenza. • Normativa nazionale: quando c’è competenza nazionale, ex. 117 Cost • Disciplina regionale: quando c’è competenza regionale, che è residuale 24 Tomaso Ferrando – Diritto Amministrativo Gallo – A.A. 2005/2006 • Fonti non legislative: importanti, ma ormai in secondo piano dato che ormai tutto viene deciso a livello statale o a livello regionale con atti legislativi. Il procedimento di delegificazione che è in atto a partire dagli anni ’90 sta però dando nuova linfa e nuovo vigore alle fonti secondarie a favore di una maggior adattabilità e di una maggior tecnicità rispetto alle leggi. Si pensi ad esempio alle norme di ordinamento speciale, norme che regolano la PA al suo interno, nello svolgimento delle proprie attività, e la cui violazione determina la nascita di un interesse legittimo. L’Unione Europea è però intervenuta bloccando il processo di delegificazione a livello statale, sostenendo che i regolamenti possano essere emanati solo in materie di competenza esclusiva dello Stato. Statuti: fonte normativa sempre più importante. Statuto vuol dire testo che raccoglie le regole fondamentali, e rispetto al secolo scorso ha guadagnato grande importanza. A partire dalla legge 142/90 (da non confondere con la 241 sul proc amministrativo) a comuni e province si è dato il potere statutario, ossia il potere di adottare disposizioni che prevalgono sulle disposizioni dello statuto base dettato dal legislatore. La legge 142/90 ha infatti predisposto uno statuto contenente principi generali e disposizioni specifiche. Nel rispetto di tali principi i comuni e le province possono intervenire per dotarsi di uno statuto proprio. Mentre gli statuti regionali dovevano rispettare la costituzione e le leggi, gli statuti provinciali e comunali dovevano solamente rispettare i principi della 142 e la costituzione. A partire dalla riforma del 2001 del Titolo V della Costituzione, gli statuti provinciali e comunali devono solamente rispettare la Costituzione. Regolamenti: atti normativi statali, regionali e di altri enti pubblici. L’attività normativa dell’amministrazione è soggetta al principio di preferenza della legge (nel caso di compresenza di legge e regolamento) e al principio di legalità, in base al quale non può contraddire una legge né uscire dai limiti da essa posti. Sono atti normativi, e quindi espressione di potere diverso da quello amministrativo, anche se promanano dalla PA stessa. A seconda del soggetto da cui provengono, si potrà poi parlare di regolamenti governativi, ministeriali, regionali e degli enti locali. 1. Dei regolamenti governativi bisogna ricordare la previsione del parere obbligatorio del Consiglio di Stato e che sono emanati con Decreto del Presidente della Repubblica. 2. i regolamenti ministeriali ed interministeriali (ossia che coinvolgono materie di competenza di più ministeri) non possono dettare norme contrarie a quelle dei regolamenti governativi e debbono trovare il loro fondamento in una legge che espressamente conferisca il relativo potere al ministro ed essere attinenti alle materie di sua competenza. 3. i regolamenti regionali saranno prerogativa delle amministrazioni regionali in tutte le materie non di competenza legislativa specifica dello Stato. 4. per quanto riguarda i regolamenti degli enti locali, l’autonomia regolamentare è stata espressamente riconosciuta, insieme a quella regolamentare dalla l 241/90 che, dettando le linee di fondo dell’organizzazione dell’ente locale, lascia alle scelte autonome la possibilità di arricchire ed integrare tale disegno. Esse hanno, in base anche all’art. 117.6 Cost potestà regolamentare in ordine alla disciplina dell’organizzazione e dello svolgimento delle funzioni loro attribuite, nel rispetto delle norme statutarie. Ma l’attuale T.U. enti locali prevede svariate materie che debbono essere disciplinate con regolamento: accesso ai 25 • • Tomaso Ferrando – Diritto Amministrativo Gallo – A.A. 2005/2006 documenti, individuazione dei responsabili del procedimento, organizzazione delle circoscrizioni. Testi unici: raccolta di norme relative allo stesso settore. In particolare si deve distinguere tra T.U. senza previa delega legislativa e T.U. con previa delega legislativa. Mentre nel primo caso ci si trova infatti di fronte a T.U. che raccolgono leggi (e a volte leggi e regolamenti) senza innovare, modificare e armonizzare il sistema, ma solamente riproducendo i testi delle norme originali, nel caso di T.U. con delega legislativa il legislatore attribuisce al Governo il compito di unificare ed armonizzare le norme di quel settore, potendo anche abrogare norme ormai superate e modificando quelle modificate da leggi successive, in maniera tale che ci sia un testo coordinato. Circolari: molto importanti all’interno delle amministrazioni, le circolari non hanno alcun tipo di efficacia esterna. Per circolare si intende il mezzo attraverso il quale una pluralità di contenuti può essere appunto fatta circolare all’interno della Pubblica Amministrazione. Trascrizioni di legge (per informare tutti gli uffici della loro emanazione), interpretazioni ministeriali (che però sono solo d’aiuto, non sono interpretazioni che fanno fede come le leggi di interpretazione autentica), disposizioni di superiori gerarchici che vincolano i soggetti cui sono indirizzate. Rispetto al giudice la circolare non è mai fonte di diritto. Prassi amministrativa: abitudine operativa sulla base del quale viene di norma organizzata l’attività di un ufficio. Il solo fatto di seguire la prassi non determina che il provvedimento sia per ciò solo corretto. Affinché il procedimento sia corretto, la prassi deve essere corretta. In sede giurisdizionale, inoltre, la prassi non ha alcun valore. Troppa prassi determina il rischio che gli uffici non si adeguino alle novità introdotte nel settore amministrativo. Poca prassi, da contro, determina un inceppamento dell’ufficio. Orientamento giurisprudenziale: mentre il codice civile contiene consolidati, nelle sue norme, i principali orientamenti giurisdizionali, in ambito amministrativo ciò non accade: è quindi fondamentale nell’attività di ricerca dello stato di diritto, rintracciare l’orientamento giurisdizionale del momento, dato che esso è sempre in continua modificazione. • • • • FUNZIONE CONSULTIVA DELL’AMMINISTRAZIONE Durante un procedimento amministrativo è possibile che si innesti un subprocedimento volto all’acquisizione da parte dell’amministrazione procedente di pareri, nulla osta o assensi in qualunque forma da parte di altre amministrazioni. Tali subprocedimenti sono strumentali all’emanazione del provvedimento, e si inseriscono nel procedimento principale. Il parere richiesto alle altre amministrazioni può essere di diverso tipo, a seconda del fatto che l’amministrazione procedente sia tenuta a richiederlo, o meno, e a seguirlo, o meno, nel momento in cui adotta il provvedimento relativo. Si avrà quindi un parere: 1. obbligatorio: l’amministrazione procedente è obbligata a richiederlo. Qualora non lo richieda ed emani il provvedimento, questo sarà illegittimo. Ciò non toglie, però, che l’amministrazione possa non tener conto del parere fornitole, ovviamente motivando la sua scelta. 2. vincolante: oltre che obbligatorio nell’essere richiesto, vincola l’amministrazione nel momento in cui deve emettere il provvedimento. Essa non si potrà infatti distaccare da quanto contenuto nel parere a meno che lo ritenga illegittimo. Parte della dottrina si interroga sul fatto se un parere vincolante che determini un provvedimento sfavorevole per 26 Tomaso Ferrando – Diritto Amministrativo Gallo – A.A. 2005/2006 un cittadino possa da quest’ultimo essere direttamente impugnato oppure se egli possa soltanto impugnare il provvedimento: coloro che sostengono la tesi dell’impugnabilità del provvedimento dicono, infatti, che il provvedimento sarebbe soltanto dichiarativo mentre il parere sfavorevole sarebbe dotato di immediata efficacia lesiva nei confronti del privato. facoltativo: entro i limiti di economicità e del non aggravamento del procedimento l’amministrazione può richiedere tale parere. Non è previsto un termine di legge entro il quale il parere deve essere dato: è l’amministrazione richiesta del parere che lo appone. semi vincolante: possono essere disattesi soltanto mediante adozione del provvedimento da parte di un organo diverso da quello che di norma dovrebbe emanarlo, il quale si assume la responsabilità amministrativa e politica della sua azione. In particolare si ricorda che il parere del Consiglio di Stato nel corso di procedimento relativo al ricorso straordinario al Presidente della Repubblica può essere disatteso soltanto adottando una deliberazione del Consiglio dei Ministri. parere conforme: l’amministrazione che riceve il parere è ancora libera di emanare o meno il provvedimento. Se però decide di emanarlo, deve necessariamente tenere conto del parere che le è stato dato. Fino al 1997 il Consiglio di Stato svolgeva una funzione molto importante a livello consultivo: era infatti previsto che formulasse numerosi pareri obbligatori: dalla legge Bassanini bis del 1997, il Consiglio di Stato svolge funzione consultiva obbligatoria solamente nel caso di approvazione di regolamenti, testi unici e di ricorso straordinario al Presidente della Repubblica. 3. 4. 5. 6. PROCEDIMENTO CONSULTIVO L’amministrazione richiesta del parere obbligatorio ha 45 giorni di tempo per rispondere a tale richiesta. Se entro tale termine non provvede, l’amministrazione procedente può procedere senza tener conto del parere. Si procede quindi “a prescindere”: è però possibile che l’amministrazione interpellata richieda, per una volta soltanto, ulteriore tempo per la propria istruttoria, e allora le sarà concesso di avere 15 giorni in più dal momento della richiesta. Qualora il parere sia comunque fornito prima che la decisione sia presa sarà però considerato essere pervenuto in tempo. Diverso è il discorso per il parere postumo, ossia formulato a seguito della decisione presa dall’amministrazione procedente: di questo non si dovrà tener conto. Lo stesso discorso può essere fatto nel caso di parere facoltativo: la differenza è solo data dal fatto che è l’amministrazione richiesta del parere che deve fissare il termine entro il quale formulerà il proprio parere. Un parere obbligatorio tardivo diviene quindi un parere facoltativo nel rispetto del principio di non aggravamento del procedimento. Se l’amministrazione che deve fornire il parere è un’amministrazione preposta alla tutela della salute, dell’ambiente, del territorio o del paesaggio il parere deve necessariamente essere atteso: le esigenze istruttorie in questo caso superano le esigenze di celerità. CONFERENZA DI SERVIZI La conferenza di servizi è uno strumento che può rivestire sia caratteri istruttori, in quanto può consentire di raccogliere contestualmente più interessi (conferenza di servizi istruttoria), o caratteri decisori, in quanto permette di arrivare ad una decisione (conferenza di servizi decisoria) qualora vi siano più interessi amministrativi coinvolti nello stesso procedimento. In un unico momento, in un unico luogo i rappresentanti delle varie amministrazioni che devono intervenire nel procedimento vengono sentiti. 27 Tomaso Ferrando – Diritto Amministrativo Gallo – A.A. 2005/2006 CONFERENZA ISTRUTTORIA <Qualora sia opportuno effettuare un esame contestuale di vari interessi pubblici coinvolti in un procedimento amministrativo, l’amministrazione procedente indìce di regola una conferenza di servizi.> Per alcuni la ratio di questo istituto dovrebbe essere tale da consentire anche la partecipazione di privati portatori di interessi coinvolti nel procedimento in questione. Nella pratica, però, il privato può solo depositare memorie e documentazione, e non essere direttamente ascoltato dai rappresentanti delle varie amministrazioni. Si pongono a questo punto alcune domande sulla natura della conferenza di servizi: 1. obbligatoria o facoltativa: l’articolo 14 dice che la conferenza deve essere indetta di regola, quindi non pone un obbligo, ma fa in modo che il non indirla sia una situazione derogatoria e che quindi vada motivato. 2. determinazione nella conferenza: il punto di arrivo della conferenza, la determinazione della conferenza, viene trasmesso all’amministrazione procedente. Ci si chiede se essa debba attenersi a tale punto di arrivo (che non è una decisione e che non segue ad una votazione) o se si possa distaccare da esso: è opinione diffusa che l’amministrazione possa non tener conto della determinazione della conferenza istruttoria solo motivando idoneamente la sua scelta, in particolar modo facendo riferimento a fatti sopravvenuti. 3. conferenza trasversale: <La conferenza di servizi può essere convocata anche per l’esame contestuale di interessi coinvolti in più procedimenti amministrativi connessi, riguardanti medesimi attività o risultati. In tal caso, la conferenza è indetta dall’amministrazione o, previa informale intesa, da una delle amministrazioni che curano l’interesse pubblico prevalente.. L’indizione della conferenza può essere richiesta da qualsiasi altra amministrazione coinvolta.>. in questo caso la conferenza non è indetta perché all’interno dello stesso procedimento vi sono più interessi coinvolti, bensì perché più procedimenti sono connessi tra di loro e vedono coinvolti interessi comuni. CONFERENZA DECISORIA <La conferenza di servizi è sempre indetta quando l’amministrazione procedente deve acquisire intese, concerti, nulla osta o assensi comunque denominati di altre amministrazioni pubbliche e non li ottenga, entro trenta giorni dalla ricezione, da parte dell'amministrazione competente, della relativa richiesta. La conferenza può essere altresì indetta quando nello stesso termine è intervenuto il dissenso di una o più amministrazioni interpellate>. Quando l’amministrazione debba acquisire atti che incidono nella sua decisione e nell’emanazione del provvedimento finale, e quando anche solo una delle amministrazioni interpellate non abbia provveduto a fornire il proprio assenso entro 30 gg dalla richiesta da parte dell’amministrazione procedente, quest’ultima deve convocare una conferenza di servizi decisoria. A differenza della conferenza istruttoria il fatto che un’amministrazione dia o no il proprio assenso non può non essere tenuto in considerazione da parte dell’amministrazione procedente. Dal dettato legislativo si evince che anche la conferenza di servizi decisoria è, di norma, facoltativa, ma diviene obbligatoria quando si verificano le particolari condizioni di mancato ottenimento dell’assenso entro 30 gg dalla richiesta alla singola amministrazione. La conferenza è obbligatoria se anche una sola delle amministrazioni non provvede entro 30 gg, ma anche se provvede e dissente rispetto al procedimento su cui l’amministrazione procedente l’ha interpellata. La conferenza di servizi non è quindi solo un modo per accelerare i procedimenti, ma anche per superare il singolo dissenso. Infatti la conferenza di servizi decide a maggioranza: in questo modo il singolo dissenso può essere superato dall’assenso delle altre amministrazioni coinvolte nella conferenza di servizi. Se senza 28 Tomaso Ferrando – Diritto Amministrativo Gallo – A.A. 2005/2006 conferenza di servizi il singolo dissenso blocca il procedimento, all’interno della conferenza di servizi esso può essere irrilevante. LA CONFERENZA DI SERVIZI CHE TIPO DI ORGANO E’? Sia la dottrina sia la giurisprudenza si sono interrogati a riguardo del fatto che la conferenza di servizi sia un semplice modulo organizzativo (visto come somma di rappresentanti di diverse amministrazioni che però mantengono la loro autonomia) oppure sia un organo a se stante, straordinario e con volontà collegiale propria che si sostituisce alle singole amministrazioni, con tanto di personalità giuridica autonoma (quindi autonomo centro di imputazione). Chi sostiene l’autonomia e la straordinarietà della conferenza sostiene che la decisione che essa prende sia monostrutturata, che faccia capo alla conferenza e non alle singole amministrazioni, i cui contributi decisori si sono fusi nella decisione della conferenza stessa. Il Consiglio di Stato accoglie, invece, la tesi della conferenza come modulo organizzativo: secondo il Consiglio di Stato, infatti, la conferenza di servizi non sarebbe nulla di diverso rispetto alla somma delle singole amministrazioni. Dopo le modifiche del T.U. apportate nel 2000 (l 340) e nel 2005 (l 15) la letteratura si è però indirizzata verso l’orientamento opposto di quello del Consiglio di Stato. Il legislatore prevedendo il criterio della decisione presa a maggioranza e introducendo istituti tipici delle assemblee societarie come la convocazione (che deve necessariamente avvenire entro 5 giorni dalla data nella quale è stata indetta la conferenza) e i requisiti per la corretta costituzione: la conferenza di servizi appare sempre più un organo collegiale. COSA SUCCEDE NELL’AMBITO DELLA CONFERENZA Ogni amministrazione deve individuare il proprio rappresentante Nella prima riunione la conferenza decide il termine entro il quale sarà presa la decisione finale. Se non è fissato, il legislatore lo fissa a 30 giorni. La decisione viene assunta a maggioranza. Nel caso di rappresentante di un’amministrazione convocato e partecipante alla conferenza di servizi, che non si esprima né a favore né contro, si dà per acquisito il suo assenso, senza la possibilità, prevista prima della riforma del 2005, di un dissenso postumo nei 30 giorni successivi. Nel caso in cui un’amministrazione regolarmente convocata non si presenti con un suo rappresentante, non si terrà assolutamente conto di tale posizione. Ai sensi dell’art.14-ter.9, <il provvedimento finale conforme alla determinazione conclusiva di cui al comma 6-bis sostituisce, a tutti gli effetti, ogni autorizzazione, concessione, nulla osta o atto di assenso comunque denominato di competenza delle amministrazioni partecipanti, o comunque invitate a partecipare ma risultate assenti, alla predetta conferenza>. La determinazione finale tiene luogo di tutte gli eventuali provvedimenti che le amministrazioni presenti o comunque convocate avrebbero dovuto emettere. DISSENSO AGGRAVATO: motivato, interno e costruttivo L’articolo 14-quater.1 disciplina che <il dissenso di uno o più rappresentanti delle amministrazioni, regolarmente convocate alla conferenza di servizi, a pena di inammissibilità, deve essere manifestato nella conferenza di servizi, deve essere congruamente motivato, non può riferirsi a questioni connesse che non costituiscono oggetto della conferenza medesima e deve recare le specifiche indicazioni delle modifiche progettuali necessarie ai fini dell’assenso>: il dissenso è quindi dissenso aggravato. Deve essere, infatti, motivato, interno (espresso durante l’ambito della conferenza ed entro il termine), e costruttivo. 29 Tomaso Ferrando – Diritto Amministrativo Gallo – A.A. 2005/2006 DISSENSO DI PARTICOLARI AMMINISTRAZIONI <Se il motivato dissenso è espresso da un'amministrazione preposta alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, del patrimonio storico-artistico o alla tutela della salute e della pubblica incolumità, la decisione è rimessa dall'amministrazione procedente, entro dieci giorni: • al Consiglio dei ministri, in caso di dissenso tra amministrazioni statali; • alla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, di seguito denominata "Conferenza Stato-regioni", in caso di dissenso tra un'amministrazione statale e una regionale o tra più amministrazioni regionali; • alla Conferenza unificata in caso di dissenso tra un'amministrazione statale o regionale e un ente locale o tra più enti locali. Verificata la completezza della documentazione inviata ai fini istruttori, la decisione è assunta entro trenta giorni, salvo che il Presidente del Consiglio dei ministri, della Conferenza Statoregioni o della Conferenza unificata, valutata la complessità dell'istruttoria, decida di prorogare tale termine per un ulteriore periodo non superiore a sessanta giorni.> In questi specifici casi, quindi, il dissenso è superabile solamente con una determinazione sostitutiva a livello politico. Se le conferenze sono inerti a riguardo (ossia non rimettono la questione all’organo politico competente, spetterà al Consiglio dei Ministri o alal Giunte regionali il compito di prendere la determinazione sostitutiva. DECISIONE FINALE NELLA CONFERENZA DI SERVIZI DECISORIA La decisione finale deve essere recepita dall’amministrazione procedente con un provvedimento di ricezione, in modo da emettere il provvedimento conseguente. Mentre si è detto che la determinazione della conferenza istruttoria poteva essere disattesa, in questo caso ci troviamo di fronte ad un’amministrazione procedente che si deve limitare ad emettere un provvedimento dichiarativo di quanto deciso dalla conferenza di servizi. È però il provvedimento dell’amministrazione procedente, e non la decisione della conferenza di servizi, che ha rilevanza esterna e produce effetti. Una volta dato l’assenso nella conferenza di servizi decisoria, questo è irrevocabile dal momento in cui viene a far parte della decisione finale. L’unico modo per poter modificare la decisione finale è convocare una nuova conferenza di servizi che emetta un provvedimento opposto. Per il Consiglio di Stato, invece, la determinazione della conferenza è imputabile alle singole amministrazioni, quindi chi vuole ricorrere deve ricorrere contro ogni singola amministrazione impugnandone il provvedimento. CONFERENZA PRELIMINARE Una particolare forma di conferenza di servizi è la conferenza preliminare: essa può essere indetta o su richiesta di un cittadino quando sia sul punto di dar vita a progetti di particolare complessità e di insediamenti produttivi di beni e servizi o su richiesta dell’amministrazione procedente nel caso di procedure di realizzazione di opere pubblico e di interesse pubblico. Nel primo caso <La conferenza di servizi può essere convocata per progetti di particolare complessità e di insediamenti produttivi di beni e servizi, su motivata richiesta dell'interessato, documentata, in assenza di un progetto preliminare, da uno studio di fattibilità, prima della presentazione di una istanza o di un progetto definitivi, al fine di verificare quali siano le condizioni per ottenere, alla loro presentazione, i necessari atti di consenso. In tale caso la conferenza si pronuncia entro trenta giorni dalla data della richiesta e i relativi costi sono a carico del richiedente> 30 Tomaso Ferrando – Diritto Amministrativo Gallo – A.A. 2005/2006 Nel secondo caso, invece, <Nelle procedure di realizzazione di opere pubbliche e di interesse pubblico, la conferenza di servizi si esprime sul progetto preliminare al fine di indicare quali siano le condizioni per ottenere, sul progetto definitivo, le intese, i pareri, le concessioni, le autorizzazioni, le licenze, i nullaosta e gli assensi, comunque denominati, richiesti dalla normativa vigente. In tale sede, le amministrazioni preposte alla tutela ambientale, paesaggisticoterritoriale, del patrimonio storico-artistico o alla tutela della salute e della pubblica incolumità, si pronunciano, per quanto riguarda l’interesse da ciascuna tutelato, sulle soluzioni progettuali prescelte. Qualora non emergano, sulla base della documentazione disponibile, elementi comunque preclusivi della realizzazione del progetto, le suddette amministrazioni indicano, entro quarantacinque giorni, le condizioni e gli elementi necessari per ottenere, in sede di presentazione del progetto definitivo, gli atti di consenso>. In entrambi i casi, quindi, la conferenza preliminare prende in esame i progetti preliminari delle opere che stanno per essere poste in essere: in entrambi i casi la conferenza mira ad indicare quali siano le condizioni per ottenere, al momento della presentazione del progetto definitivo, i relativi atti di consenso, in maniera tale da non rischiare di vederseli negati. Entrambi i tipi di conferenza hanno la finalità di consentire eventuali aggiustamenti ed eventuali correzioni del progetto preliminare in maniera tale che si presenti un progetto definitivo che non possa non essere accolto: sono infatti le stesse amministrazioni che presiedono alla conferenza preliminare che dovranno dare o meno il loro consenso al definitivo. Chi si adegui alle richieste delle amministrazioni formulate in conferenza preliminare è quasi sicuro di vedere il progetto definitivo approvato: ciò non accadrà, però, nel caso di fatti sopravvenuti. Le funzioni concernenti realizzazione, ampliamento e cessazione di impianti produttivi di beni e di servizi spettano, dalla riforma del 1998, allo sportello unico delle attività produttive istituito presso ciascun comune: una sola struttura competente e responsabile per tutti questi procedimenti. Il privato si trova a dover effettuare una sola istanza e si relazionerà solo con lo sportello unico, anche se la sua domanda coinvolge più di un’amministrazione. FASE INTEGRATIVA DELL’EFFICACIA Si è visto in precedenza che il procedimento amministrativo si suddivide in fase preparatoria, costitutiva e in fase integrativa dell’efficacia. Quest’ultima fase è quella nella quale viene attribuita al provvedimento, valido e perfetto, efficacia. È infatti possibile che un provvedimento, preso rispettando tutte le norme disposte dal legislatore e senza violare alcun interesse legittimo o diritto soggettivo, non sia dotata di efficacia fino allo svolgimento di particolari attività da parte dell’amministrazione che lo ha emesso o di altre amministrazioni. In particolare un’attività il cui compimento è richiesto prima dell’attribuzione di efficacia al provvedimento è l’attività di controllo. Il controllo può essere controllo di merito o controllo procedurale. • Il controllo di merito, molto presente fino a qualche anno fa, è stato lentamente abbandonato perché era un appesantimento dell’apparato. Non si faceva infatti altro che ripercorrere il procedimento amministrativo dall’inizio alla fine in modo da valutarne l’opportunità, cosa che avrebbe poi rifatto il giudice nel caso di impugnazione del provvedimento stesso. • Il controllo procedurale, ossia relativo al rispetto delle norme d’azione da parte dell’amministraazione, è anch’esso andato scemando nel tempo. Il controllo può essere interno o esterno: • È interno il controllo posto in essere dall’amministrazione procedente stessa, attraverso un ufficio predisposto • È esterno il controllo svolto da un’amministrazione di controllo diversa dall’amministrazione che ha proceduto all’emanazione del provvedimento 31 Tomaso Ferrando – Diritto Amministrativo Gallo – A.A. 2005/2006 Si parla poi di controllo preventivo quando il controllo viene effettuato prima dell’acquisto di efficacia da parte del provvedimento stesso. La recente tendenza in materia di controllo ha determinato che si sia ridotto il controllo sui provvedimenti a favore di una maggior responsabilizzazione del responsabile del procedimento e del dirigente dell’ufficio responsabile che, proprio come avviene in un’impresa, pagheranno personalmente per i propri errori e allora sono tenuti ad un miglior controllo. In ogni caso si può distinguere tra controlli preventivi antecedenti l’emanazione dell’atto e controlli preventivi susseguenti l’emanazione dell’atto, ma comunque antecedenti all’acquisizione di efficacia. Al momento si è scelta la strada di minori controlli preventivi e di correre un maggior rischio di provvedimenti illegittimi, in modo da far ricadere il peso di un provvedimento illegittimo sul destinatario, il quale non avrà più il controllo amministrativo, ma solo la tutela giurisdizionale. CONTROLLO DI LEGITTIMITA’ E ANNULLAMENTO DI ATTO ILLEGITTIMO Un atto illegittimo deve essere annullato dall’amministrazione che l’ha emesso. Ciò può accadere a seguito di controllo interno o esterno. Il problema è che l’organo di controllo deve applicare l’orientamento giurisprudenziale vigente nel momento in cui controlla (non nel momento dell’emanazione del provvedimento). Nel caso di procedimento diviso in tanti subprocedimenti, invece, ognuno di questi viene ad assumere una propria autonomia e vige il principio tempus regit actum, sulla base del quale ogni subprocedimento viene controllato e valutato sulla base della normativa vigente nel momento in cui è stato completato. Il potere di controllo relativamente ad un procedimento e all’atto che ne è scaturito si esaurisce nel momento in cui è esercitato: non c’è quindi possibilità di un secondo controllo sullo stesso atto. Non è previsto, quindi, uno ius poenitendi a favore del controllore. PUBBLICAZIONE DEI PROVVEDIMENTI AMMINISTRATIVI Il provvedimento amministrativo deve essere reso conoscibile ai destinatari. Ci sono casi in cui il destinatario sia un unico soggetto, mentre si possono dare i casi di un numero molto alto di destinatari. Far sì che l’atto sia conosciuto o per lo meno conoscibile è essenziale per la sua efficacia. La pubblicità si distingue in pubblicità notizia ed in pubblicità legale: • Pubblicità notizia: fa in modo che l’atto sia conoscibile, ma non si ha la certezza che sia effettivamente conosciuto. • Pubblicità legale: una volta esplicitata questa si ha la presunzione che l’atto sia conosciuto. Per contestare un atto pubblicato con pubblicità notizia si avranno allora 60 gg dal giorno della pubblicazione. Si considera l’esistenza di un momento certo a partire dal quale tutti quanti dovrebbero conoscere l’atto: tutti gli atti normativi sono soggetti a pubblicità legale. In presenza di essa, tranne che per alcuni casi, non è consentito opporre la propria ignoranza della norma. Per quanto riguarda la PA, in alcuni casi il legislatore ha optato per la pubblicità notizia, mentre in altri casi ha scelto la pubblicità legale. La riforma del T.U. proc. Amm. avvenuta nel 2005 ha imposto la comunicazione del provvedimento finale, che invece non era imposta con il testo originale del 90. La comunicazione era ritenuta irrilevante: solo in alcuni casi specifici era previsto che il provvedimento assumesse efficacia solo a seguito di comunicazione, o meglio, di notifica del provvedimento stesso (ad esempio nel caso di decreto di espropriazione). A partire dal 2005 tutti gli atti limitativi della sfera giuridica (diniego di istanza, provvedimenti ablatori, provvedimenti sanzionatori…) di un soggetto acquistano efficacia solo a partire dal 32 Tomaso Ferrando – Diritto Amministrativo Gallo – A.A. 2005/2006 momento in cui sono a lui comunicati. Gli atti limitativi della sfera giuridica di un soggetto, anche se unilaterali, sono sempre recettizi. Sono parimenti recettivi tutti gli atti normativi. Alcuni provvedimenti limitativi della sfera giuridica possono, a determinate condizioni, essere immediatamente efficaci: si tratta dei provvedimenti che abbiano una motivata clausola di immeditata efficacia e dei provvedimenti aventi carattere cautelare ed urgente. Il carattere recettizio rileva anche in ordine al termine di impugnazione. In più il destinatario deve essere avvisato individualmente (ma l’amministrazione è libera di scegliere lo strumento attraverso il quale avvisarlo). PROVVEDIMENTI AMMINISTRATIVI E POTERE DISCREZIONALE La PA emana, come detto, provvedimenti. Essi sono di tipo diverso a seconda della situazione che l’amministrazione si trova a dover fronteggiare. Per ogni categoria di provvedimento esistono poi dei tipi specifici. PROVVEDIMENTI AUTORIZZATORI La prima categoria è quella dei provvedimenti autorizzatori, in cui rientrano: 1. autorizzazioni: ad esempio nel caso di licenze commerciali. La PA valuta la coerenza dell’interesse privato rispetto all’interesse pubblico e autorizza l’esercizio di un diritto, quello di iniziativa economica privata, che sarebbe altrimenti limitato. L’autorizzazione consiste quindi nel togliere le limitazioni di esercizio di un diritto di cui il soggetto è in ogni caso già titolare. Secondo la nostra Costituzione, infatti, il diritto di iniziativa economica può essere soggetto a limitazioni perché non può andare a danno della collettività e degli interessi pubblici: la prevalenza degli interessi pubblici rispetto a quelli privati fa in modo che il diritto sia presente in capo ad ogni cittadino, ma che il suo esercizio sia vincolato dall’autorizzazione della PA. L’autorizzazione per l’esercizio di un’attività commerciale rientra poi all’interno di un programma redatto dall’amministrazione che garantisce l’imparzialità di fronte alle richieste dei cittadini. Mentre in passato si riteneva che un privato potesse fare tutto tranne quanto dannoso, adesso invece si cerca di indirizzare l’esercizio del suo diritto di iniziativa privata a qualcosa di utile per la collettività, ossia a quanto previsto dal programma che non sia ancora stato attuato. Nel 1971 era stata emanata una legge che richiedeva che ogni comune predisponesse un piano triennale per la programmazione dell’attività economica: questa fu però molto lenta e non portò a nulla di concreto né tanto meno di utile. Allora nel 1998, con il d.lgs Bersani si è deciso di eliminare la programmazione a favore del compito delle regioni di dettare delle linee di indirizzo. Il diritto del singolo è visto come un diritto astratto, per esercitare il quale c’è bisogno di qualcosa di più, qualcosa che completi il diritto stesso: questo quid pluris è l’autorizzazione. L’autorizzazione quindi non è un provvedimento costitutivo, perché il diritto è già esistente ed in possesso del cittadino. 2. abilitazione: provvedimento con il quale l’amministrazione valuta solo il dato tecnico, senza alcun tipo di discrezionalità. Dopo aver riscontrato lo stato di fatto concede o meno l’abilitazione qualora i risultati rientrino entro i parametri richiesti. Ad esempio il rilascio della patente di guida è un provvedimento abilitativo alla guida: riscontrato il possesso dei requisiti per guidare (ossia dell’idoneità tecnica), l’amministrazione abilita a guidare da quel momento in avanti. 3. nullaosta: atto conclusivo di un subprocedimento, esso è emanato da un’amministrazione diversa da quella procedente, con cui si dichiara che, in relazione ad un particolare interesse, non sussistono ostacoli all’adozione del provvedimento finale. 4. dispensa: provvedimento che l’ordinamento attribuisce all’amministrazione in modo tale che, in alcune situazioni, essa possa derogare all’osservanza di determinati divieti o obblighi 33 Tomaso Ferrando – Diritto Amministrativo Gallo – A.A. 2005/2006 5. approvazione: provvedimento permissivo che può essere richiesto per far sì che un provvedimento acquisiti efficacia. 6. licenza: all’opposto dell’abilitazione si trova la licenza, che è un provvedimento assolutamente discrezionale dell’amministrazione. Come accade per il porto d’armi, l’amministrazione attua una valutazione discrezionale, non un mero accertamento dello stato di fatto, e decide se concedere o meno tale licenza, in base alla valutazione della sua corrispondenza ad interessi pubblici o della sua convenienza. PROVVEDIMENTI CONCESSORI Vi sono poi i provvedimenti concessori: un cittadino che vuole svolgere una determinata attività non rientrante nella sua sfera giuridica chiede alla PA di concedergli, invece, di utilizzare un bene in modo diverso da quanto la sua condizione giuridica gli consentirebbe di fare. Ad esempio colui che vuole aprire un benzinaio deve chiedere alla PA la concessione di impiegare parte della strada non ai fini del passaggio dei veicoli, ma al fine di installarci il distributore. La concessione è quindi un provvedimento costitutivo, perché il soggetto che la riceve si vede attribuito dalla PA un diritto di cui prima non era titolare. In particolare la concessione può essere: 1. traslativa: la PA assume dei servizi e poi li fa svolgere ad altri soggetti privati: distribuzione di acqua, luce, gas e servizi pubblici garantiti dall’autorità locale, che vengono posti in essere da privati attraverso concessioni che l’amministrazione pubblica ha loro concesso. Questa è una delle soluzioni attraverso le quali l’amministrazione può erogare tali servizi: le altre sono costituite dal servizio diretto da parte dell’amministrazione attraverso uffici interni all’ente stesso e dalla costituzione di aziende pubbliche (come l’ATM) separate dall’amministrazione ma da essa controllate. La scelta della concessione traslativa a soggetti privati è quella ultimamente più seguita. L’ente pubblico trasla sui privati il proprio stesso potere: i privati, quindi, si potranno comportare come soggetti di dir pubblico, potendo, ad esempio, comminare sanzioni ed esercitare il potere di controllo. Ma allo stesso tempo la PA, che concede il proprio potere, si riserva di controllarne l’esercizio e anche di revocare la concessione per interesse pubblico sopravvenuto. I rapporti tra concedente e concessore (PA e privato) sono poi regolati da una serie di pattuizioni che disciplinano nel dettaglio la concessione, chiamate generalmente disciplinare di concessione. Ed è proprio la presenza di un disciplinare di concessione che ha fatto dire ad alcuni che non ci si trova più di fronte ad un provvedimento amministrativo di concessione, ma bensì di fronte ad un contratto di diritto privato, per cui si dovrebbe parlare di concessione contratto. Per tale ragione il legislatore ha sostituito le concessioni traslative con contratti di gestione del servizio. È quindi in particolare in questo settore che si riscontra la rilevanza di un articolo del T.U. proc amministrativo, ossia di quello che dispone che la <pubblica amministrazione nell’adozione di atti di natura non autoritativa, agisce secondo le norme di diritto privato salvo che la legge disponga diversamente>. A riguardo bisogna ricordare che non si può pensare all’amministrazione come soggetto eminentemente di diritto privato. 2. costitutiva: il diritto attribuito è totalmente nuovo, nel senso che l’amministrazione non poteva averne la titolarità (cittadinanza od onorificenze). Ulteriori provvedimenti concessori sono le sovvenzioni: queste consistono in provvedimenti con le quali l’amministrazione eroga al cittadino un beneficio economico (incentivi per l’attività imprenditoriale, culturale o sportiva). I termini impiegati dal legislatore sono molto vari: egli infatti a volte parla di contributi, altre volte di sussidi. Se in prima della l 241/90 si riteneva che questo tipo di provvedimento fosse espressione di un amplissimo potere discrezionale, tanto che il giudice non poteva mai sindacare i criteri in base ai quali l’erogazione era stata eseguita, 34 Tomaso Ferrando – Diritto Amministrativo Gallo – A.A. 2005/2006 determinando l’impossibilità per chi non riceveva tali sovvenzioni di ricorrere in giudizio e di ottenere ragione, la legge del 90 ha cambiato tutto. È stato infatti previsto che quando l’amministrazione deve erogare delle sovvenzioni deve predeterminare i criteri di massima e pubblicarli. In questo modo chiunque rientri entro questi criteri avrà diritto di ricevere la sovvenzione ed in caso contrario potrà impugnare il provvedimento che gli abbia negato la sovvenzione a favore di soggetti non rientranti in tali requisiti DIRITTO DI COSTRUIRE: EVOLUZIONE DELL’ISTITUTO Molto spesso l’amministrazione pubblica si trova di fronte a domande di privati che intendono costruire un edificio su di un terreno di loro proprietà e ad essi deve rispondere. Ci si chiede che tipo di provvedimento sia il provvedimento di risposta formulato dall’amministrazione. Una legge del 1942 disponeva che ogni proprietario aveva il diritto di costruire e che la PA doveva solo autorizzare l’esercizio di tale diritto. In questo modo la PA doveva dare l’autorizzazione in tutti i casi in cui non ci fosse lesione degli interessi della collettività, trattandosi di un diritto soggettivo che si deve in ogni caso armonizzare con esigenze ulteriori rispetto a quelle dei vicini (le uniche prese in considerazione dal codice civile quando parla di edilizia urbana). La PA, riscontrando la coerenza dell’attività del cittadino che ha chiesto di costruire, avrebbe dovuto rilasciare una semplice autorizzazione. Nel 1977, esigenze connesse alla necessità di reperire spazi per opere pubbliche fecero sì che lo ius aedificandi fosse letteralmente scorporato dal diritto di proprietà. Fu infatti dichiarato che la PA doveva emettere un provvedimento di concessione del diritto di costruire, e che quindi questo non era in capo ai soggetti titolari del diritto di proprietà, ma veniva costituito dall’amministrazione stessa con la concessione. In più, si è visto, la concessione è un provvedimento di norma revocabile, ma in questo caso si dispose l’irrevocabilità della concessione edilizia: la PA concedeva l’esercizio di un potere che non rientrava normalmente nella sfera giuridica dei cittadini, ma almeno non poteva revocarlo. La questione dello scorporamento del diritto di costruire dal diritto di proprietà finì di fronte alla Corte Costituzionale, che nel 1980 sentenziò che il legislatore aveva scritto concessione, ma che in realtà voleva dire autorizzazione. Il legislatore aveva solamente sbagliato il nomen iuris. In questo modo l’amministrazione è portata a controllare la coerenza della richiesta del privato e ad emettere l’autorizzazione, ma in più è dotata di un potere di controllo a seguito dell’autorizzazione tipico dei provvedimenti concessori. Il diritto di costruire è, quindi, parte del diritto di proprietà, e la PA deve solamente autorizzare al suo esercizio, anche se il legislatore parla di concessione. POTERI E PROVVEDIMENTI ABLATORI Sono chiamati ablatori i provvedimenti con i quali la PA sottrae un diritto, o parte di un diritto, dalla sfera giuridica di un cittadino. Essi incidono quindi negativamente sulla sfera giuridica del destinatario, e sono di segno opposto rispetto ai provvedimenti concessori. Di fronte a provvedimenti ablatori il destinatario si presenta come titolare di interessi oppositivi. L’effetto ablatorio può incidere su diritti reali, diritti personali o su obblighi a rilevanza patrimoniale. Il più importante di tali provvedimenti è l’espropriazione. 1. espropriazione: provvedimento in forza del quale la PA estingue il diritto di proprietà di un soggetto su di un bene immobile e lo attribuisce a se stessa o a soggetto incaricato di realizzare un’opera pubblica o di pubblico interesse. La Costituzione prevede che per l’espropriazione sia attuabile a patto che vi siano tre presupposti: • riserva relativa di legge • dichiarazione di pubblica utilità 35 Tomaso Ferrando – Diritto Amministrativo Gallo – A.A. 2005/2006 • indennità La legge 2359/1865 è stata fino a pochi anni fa la legge di riferimento sull’espropriazione di pubblica utilità: essa, che risponde al requisito di riserva relativa di legge in quanto dettava i limiti entro i quali si muoveva l’amministrazione, è infatti stata abrogata solamente nel 2001. La legge del 1865 mirava ad essere un punto di equilibrio tra esigenze statali ed esigenze liberali: la PA poteva espropriare per ragioni di pubblica utilità senza possibilità per l’espropriato di opporsi, ma doveva corrispondere una “giusta indennità” pari al valore venale (ossia commerciale) del bene, da accettare prima amichevolmente e poi a seguito di giudizio. L’indennità doveva quindi consistere in una reintegrazione della perdita economica. Verso la fine dell’800 si pose però il problema del risanamento di Napoli: una legge del 1885 si inserì sullo schema predisposto dalla legge del 1865 prevedendo che lo Stato trovasse come valore di indennità una via di mezzo tra il valore venale e la somma degli affitti di dichiarati nell’ultimo anno: dato che quasi nessuno aveva dichiarato di aver percepito affitti, le case vennero espropriate sulla base della metà del loro valore venale, ma comunque continuava ad essere un giusto indennizzo. Al momento di varare la Costituzione, l’Assemblea Costituente accettò di sopprimere l’aggettivo “giusto” al fianco del termine indennizzo, sulla base del fatto che un indennizzo non potesse che essere giusto. A metà degli anni 90 il legislatore si avvia sulla strada dell’edilizia popolare: la legge 167/1962 introdusse un’indennità di espropriazione molto basso, molto più basso del valore venale. La Corte Costituzionale venne investita del problema ed essa dichiarò che non era detto nella Costituzione che l’indennità dovesse corrispondere al valore venale del bene: la mancanza dell’aggettivo giusto, secondo la Corte, voleva dire che l’indennità non doveva essere pari al valore venale, ma in ogni caso doveva costituire un “serio ristoro”. Così nel 1971 il legislatore dispose che gli edifici fossero espropriati al valore venale, i terreni agricoli al valore agricolo ed i terreni edificabili al valore agricolo della coltura maggiormente redditizia nella zona. C’era evidente disparità tra trattamento di terreni già edificati e terreni edificabili: allora si tornò davanti alla Corte Costituzionale, la quale chiese di sapere quante fossero state le espropriazioni in Italia negli ultimi 5 anni: nel frattempo però intervenne il legislatore del 1977 con la famosa legge che disponeva che costruire fosse una concessione della PA e non un diritto del proprietario autorizzato dalla PA. In questo modo tutti i terreni venivano a vedersi scorporato il diritto di costruire, e quindi nessuno era edificabile. Se è la PA che dà il diritto di costruire, il terreno non può essere edificabile di per se stesso, e per tale ragione il valore dell’indennità è il valore agricolo moltiplicato per poche volte. La Corte Costituzionale, interpellata sulla legittimità costituzionale della legge del 1977, sentenziò che c’era stato un errore nell’impiego del termine concessione, e che in realtà si trattava sempre di un’autorizzazione. Quindi si torna ad avere terreni edificabili, quindi la disparità di trattamento tra terreni edificabili e terreni edificati era costituzionalmente illegittima (ciò accadeva nel 1980). Il legislatore provvisoriamente lasciò in piedi la legge del 1971 dichiarata illegittima, promettendo futuri conguagli. Si arriva nel 1983 senza nessuna nuova legge e senza conguagli: allora la Corte Costituzionale, nuovamente investita della questione sentenziò l’illegittimità costituzionale della legge che predisponeva un conguaglio, perché eludeva una sentenza della Corte (quella del 1980 che ne aveva dichiarato l’illegittimità costituzionale). 36 Tomaso Ferrando – Diritto Amministrativo Gallo – A.A. 2005/2006 Cosa si poteva fare? La legge del 1971 era stata tacciata di incostituzionalità e quindi ci si trovava formalmente in una situazione in cui mancava una legge di riferimento: la Corte Costituzionale però sentenziò che la legge del 1971 non aveva abrogato la legge del 1865, bensì solamente derogato: abrogando la legge del 1971 tornava quindi in vigore la legge del 1865 che prevedeva un’indennità pari al valore venale. Tutti gli enti protestarono: allora nel 1992 il Presidente del Consiglio, Amato, con un decreto delegato rispolverò la legge di Napoli del 1885 dandole ampiezza nazionale. Vi furono allora molti ricorsi in quanto la legge di Napoli non prevedeva un serio ristoro (come la Corte Costituzionale aveva previsto che fosse nel caso di espropriazioni, con la sentenza del 1962). La Corte però modificò il suo atteggiamento, sentenziando che non fosse il ristoro a dover essere serio, quanto il parametro impiegato: allora sostiene che il decreto delega del 1992 era costituzionalmente legittimo, ma però ne richiedeva la provvisorietà. Il D.p.r. 2001, che contiene l’attuale regolamentazione in tema di espropriazione, consacra, invece, la legge di Napoli, anche se la Corte aveva sentenziato che la legge del 1992 sarebbe dovuta essere provvisoria. Tutti i procedimenti pendenti, quindi, sarebbero stati risolti con la legge di Napoli del 1865, riprese nel D.p.r. 2001 in quanto ogni legge sull’espropriazione aveva effetto retroattivo. In più il D.p.r. 2001, che quindi prevede un’indennità calcolato in base a quanto dichiarato nella dichiarazione dei redditi, dispone che non si possa avere più di quanto dichiarato a fini ICI e che se non si accetta la proposta amichevole, il la proposta viene automaticamente abbassata del 40% nel momento in cui si va in corte d’Appello, che è il giudice competente. PROCEDIMENTO DI ESPROPRIAZIONE Testo Unico sul procedimento espropriativi, D.p.r. 2001 Imparzialità e buon andamento vengono, in questa circostanza, a configgere tra loro. • Per il D.p.r. l’opera pubblica deve essere presente in uno strumento di pianificazione edilizia. Non si può prevedere un’opera pubblica da realizzarsi a seguito di espropriazione se non inserendola all’interno di un piano programmatico, a meno che non sia posta in essere una pluralità di atti attraverso una conferenza di servizi (come è avvenuto, ad esempio, per le opere olimpiche). È poi necessaria una dichiarazione di pubblica utilità del terreno che si va ad espropriare. In particolare <Il decreto di esproprio può essere emanato qualora: a) l'opera da realizzare sia prevista nello strumento urbanistico generale, o in un atto di natura ed efficacia equivalente, e sul bene da espropriare sia stato apposto il vincolo preordinato all'esproprio; b) vi sia stata la dichiarazione di pubblica utilità; c) sia stata determinata, anche se in via provvisoria, l'indennità di esproprio> Inserimento nella pianificazione, sottoposizione a vincolo preordinato all’esproprio, dichiarazione di pubblica utilità e determinazione, anche in via provvisoria dell’indennità di esproprio sono i requisiti che il D.p.r. 2001 pone perché si possa avere espropriazione. • Bisogna poi procedere alla comunicazione di avvio del procedimento (in quanto procedimento negativo per il cittadino) nei confronti di coloro che risultino proprietari dai registri catastali. I registri catastali però hanno funzione solamente dichiarativa, e non costitutiva, e quindi non sono quasi mai aggiornati. Nel caso di comunicazione dell’avvio di procedimento a soggetto non proprietario, colui che l’ha ricevuta dovrà informare la PA e indicare il nuovo proprietario, pena la possibilità di vedersi addebitati i danni. Il privato 37 Tomaso Ferrando – Diritto Amministrativo Gallo – A.A. 2005/2006 viene quindi a trovarsi onerato di un incarico pubblico per via della pubblica utilità che è alla base del procedimento. Una volta effettuata la dichiarazione di pubblica utilità il proprietario è praticamente, anche se non formalmente, privato del diritto di sfruttarlo e di alienarlo: il vincolo di inedificabilità che viene posto sul terreno infatti determina la possibilità esclusiva di sfruttarlo come terreno agricolo, e contemporaneamente ne rende molto difficile, se non impossibile, l’alienazione. La PA non paga un indennità ulteriore per via del fatto che l’apposizione del vincolo di inedificabilità comporta in pratica l’impossibilità di servirsi del bene, a meno che entro 5 anni dall’imposizione del vincolo non si arrivi a decreto di espropriazione. Un vincolo su di un terreno dura 5 anni: se dopo 5 anni la PA non ha provveduto all’esproprio vero e proprio (con decreto di esproprio) deve trovare nuovi motivi se vuole nuovamente imporre il vincolo allo stesso terreno. Il T.U. prevede che nel momento in cui è dichiarata l’espropriazione debba essere pagato l’indennità. Il normale procedimento prevedrebbe: programmazione, apposizione del vincolo dichiarazione di pubblica utilità, espropriazione, costruzione opera pubblica. Ma non sempre capita così. A volte, infatti, la PA dichiara la pubblica utilità del terreno e appone il vincolo, ma dato il poco tempo costruisce l’opera prima di aver emesso il decreto espropriativi: secondo il D.p.r. 2001 la PA diviene proprietaria del terreno a titolo originario nel momento in cui il terreno è irrimediabilmente alterato dalla presenza dell’opera pubblica. Da questo momento il cittadino ha 5 anni per far valere il proprio diritto al risarcimento. Il principio adottato in questo caso è quello dell’accessione inversa a seguito di occupazione acquisitiva, con il proprietario di ciò che sta sopra il suolo che diviene proprietario anche del suolo stesso. Fino al 1995 vigeva la regola che l’indennità di espropriazione equivalesse alla somma corrisposta a titolo di risarcimento dei danni nel caso di accessione inversa: la Corte Costituzionale sentenziò, però, che le due somme non potevano essere identiche, perché l’occupazione di fatto è un’attività illecita, mentre l’espropriazione è un’attività lecita: nel primo caso, quindi, la somma da corrispondere sarebbe dovuta essere più alta. Nel 1996 il legislatore determinò che il risarcimento dei danni fosse pari all’indennità di espropriazione più il 10%, a questo punto la Corte Costituzionale, nonostante la chiara elusione della sua sentenza, non potè più dire nulla. A ciò si aggiunge il legislatore del 2001 che ha previsto che l’amministrazione qualora abbia occupato un terreno, possa sempre emettere il decreto di espropriazione e pagare soltanto l’indennità di espropriazione. Si ricordi che il D.p.r. 2001, sulla base della legge di Napoli, dispone che <L'indennità di espropriazione di un'area edificabile è determinata nella misura pari all'importo, diviso per due e ridotto nella misura del quaranta per cento, pari alla somma del valore venale del bene e del reddito dominicale netto, rivalutato ai sensi degli articoli 24 e seguenti del decreto legislativo 22 dicembre 1986, n. 917, e moltiplicato per dieci> • • • • • • ULTERIORI PROVVEDIMENTI ABLATORI: Requisizioni, ordini e ordinanze Oltre al provvedimento espropriativi, nel nostro ordinamento sono previsti altri provvedimenti che limitano la sfera giuridica del destinatario. In particolare si ha: 2. requisizione in uso e in proprietà: istituto che si riferisce alle cose mobili ed immobili nel caso di requisizione in uso, mentre è relativo alle sole cose mobili nel caso di requisizione in proprietà. Entrambi i provvedimenti prevedono un’indennità per chi li subisce. In particolare tali istituti vengono impiegati quando ci siano necessità militari. Nel caso di requisizione in uso vi deve essere non solo un’esigenza, ma un’urgente necessità 38 Tomaso Ferrando – Diritto Amministrativo Gallo – A.A. 2005/2006 dell’utilizzo della cosa che viene requisita. Inoltre, mentre la requisizione in proprietà è irreversibile, la requisizione in uso è temporanea. ordini: si distingue tra comandi e divieti. In ogni caso essi limitano la sfera giuridica del destinatario, però in cambio ne determinano uno scarico dalla responsabilità. Chi riceve un ordine è infatti tenuto a seguirlo senza per questo essere responsabile, a meno che l’ordine sia adottato in violazione della legge penale o di un ordine manifestamente illegittimo, che determina a carico di chi lo riceve un’opposizione alla sua attuazione (ma egli non potrà fare nulla in caso di conferma per iscritto di tale ordine) ordinanze di necessità ed urgenza: di solito hanno effetti limitativi della sfera giuridica dei destinatari. Si caratterizzano per il fatto di essere determinati da motivi, come dice il nome, di necessità ed urgenza. A differenza delle requisizioni in uso o in proprietà, le ordinanze di necessità ed urgenza non aprono le porte all’indennità. La legge non predetermina in modo compiuto il contenuto della statuizione in cui il potere può concretarsi. Sembra quindi che questo potere vada al di là della tipicità dei poteri amministrativi. Per tale ragione la Corte Costituzionale ha fissato alcuni limiti, come un’adeguata motivazione ed un’efficace pubblicazione, cui si aggiunge la necessaria limitatezza nel tempo della loro efficacia. Tra gli esempi più rilevanti di ordinanze troviamo le ordinanze con tingibili e urgenti del sindaco, le ordinanze di pubblica sicurezza e le ordinanze che possono essere adottate per ragioni sanitarie o di igiene pubblica. Le ordinanze (con contenuto variabile e non tipizzato) non vanno confuse con i provvedimenti d’urgenza, che hanno contenuto predeterminato dal legislatore. Confisca: provvedimento sanzionatorio che però si attua attraverso uno strumento ablatorio, essa è infatti la conseguenza di un illecito amministrativo e determina la sottrazione dalla disponibilità del reo di un bene. sequestro: provvedimento ablatorio di natura cautelare, mira in genere a salvaguardare la collettività dai rischi derivanti dalla pericolosità del bene. 3. 4. 5. 6. PROVVEDIMENTI SANZIONATORI Si avrà emanazione di un provvedimento sanzionatorio quando un soggetto porrà in essere un comportamento in contrasto con l’ordinamento. Sarà la legge a stabilire quando ci sarà comminazione di una sanzione a seguito di una violazione di un precetto, e sarà sempre la legge a stabilire quando si tratterà di una sanzione amministrativa e quando, invece, di una sanzione penale (ammenda o multa). La sanzione costituisce quindi la misura retributiva nei confronti del trasgressore. Attualmente si assiste ad un procedimento di depenalizzazione della maggior parte delle violazioni amministrative (in passato la violazione degli statuti regionali era reato penale). Non è sanzione la misura, di carattere preventivo e cautelare, che non presuppone l’accertamento della violazione della legge, a meno che non sia fondata sull’accertato pericolo della violazione della stessa da parte del soggetto. Non è sanzione la dichiarazione di nullità o la rimozione dell’atto invalido. Non è sanzione la reintegrazione dello stato antecedente all’atto se ad essa non si accompagna nessuna finalità afflittiva. Sono amministrative le sanzioni, residuali perché non sono né sanzioni civili né sanzioni penali, che vengono comminate nell’esercizio della potestà amministrativa come conseguenza di un comportamento assunto da un soggetto in violazione di una norma o di un precetto amministrativo. Le sanzioni amministrative possono essere pecuniarie ed interdittive. Sono sanzioni disciplinari quelle che colpiscono soggetti che si trovino in un peculiare rapporto con l’amministrazione (in particolare i dipendenti). 39 Tomaso Ferrando – Diritto Amministrativo Gallo – A.A. 2005/2006 Si possono avere anche sanzioni accessorie che constano in misure interdittive. Perché vi sia violazione di norma o precetto amministrativo è richiesto, dal punto di vista soggettivo, che vi sia dolo o colpa grave. POTERI DICHIARATIVI Tra i vari poteri dell’amministrazione vi è quello di pronunciare esternazioni che rafforzano una situazione giuridica preesistente (dopo che sia stata correttamente accertata) o che sono tali da attribuire certezza giuridica ad un dato (fatto, atto, stato, qualità o rapporto). Atti di questo tipo sono i c.d. atti di certazione, che rafforzano la situazione esistente e le danno connotazione di certezza legale. Documento tipico attraverso il quale gli atti di certazione vengono messi in circolazione sono i certificati. Da certazioni e certificati occorre distinguere gli attestati che sono atti amministrativi tipici, ma insuscettibili di creare la medesima certezza legale creata dalle certazioni e che, a differenza dei certificati, non mettono in circolazione una certezza creata dall’atto di certazione. DECORSO DEL TEMPO E RINUNCIA Molte vicende rilevanti per il diritto amministrativo non si producono sulla base dello schema norma-potere-effetto, ma sulla base norma-fatto-effetto. Vi sono alcuni fatti dal cui verificarsi dipende l’acquisizione da parte dell’amministrazione pubblica di diritti reali. Il primo di questi è sicuramente il decorso del tempo da cui dipendono istituti quali la prescrizione e la decadenza. Mentre il potere è, in quanto tale, imprescrittibile: al massimo vi potrà essere decadenza dalla possibilità di esercitare il potere relativamente ad una fattispecie concreta, ma non vi potrà essere perdita del potere. Il diritto soggettivo è invece prescrittibile nel caso in cui non sia esercitato per un certo periodo: se un cittadino non esercita il proprio diritto per un certo tempo, perde tale diritto. Il potere, inoltre, oltre che insuscettibile di prescrizione e di trasmissione (al massimo infatti si può parlare di concessione di utilizzo di un potere che comunque rimane della PA), è anche irrinunciabile: la PA non può rinunciare al suo potere, potrà al massimo, in singole fattispecie, rinunciare ad un singolo modo di esercizio del potere. Allo stesso modo l’interesse legittimo, dato che è pretesa del corretto agire della PA non può essere rinunciato, perché la sua rinuncia andrebbe a discapito dell’interesse generale di corretto comportamento e funzionamento della PA ATTI DICHIARATIVI E VALUTAZIONI TECNICHE In alcune circostanze l’amministrazione si può trovare a dover accertare fatti in maniera tale che essi diventino rilevanti nel procedimento. Per accertare vengono posti in essere dall’amministrazione atti dichiarativi costituiti da dichiarazioni di scienza. Gli accertamenti sono dichiarazioni semplici di scienza relative a fatti semplicemente constatati: esse si svolgono sulla base dell’impiego di scienze esatte e quindi consiste in un rilevamento obiettivo dello stato di fatto che, se eseguito correttamente, darà sempre gli stessi risultati indipendentemente dal soggetto che lo ponga in essere, le valutazioni tecniche sono ampliamente soggettive, o meglio opinabili. L’accertamento può riguardare, in particolare, la sussistenza di fatti che costituiscono presupposto per l’emanazione di un provvedimento: l’accertamento del fatto fa in modo che il procedimento possa andare avanti, senza modificare in alcun modo la situazione preesistente. Le valutazioni tecniche non si basano su scienze esatte, bensì di scienze inesatte: esse non sono, si badi bene, espressioni del potere discrezionale dell’amministrazione, ma solamente 40 Tomaso Ferrando – Diritto Amministrativo Gallo – A.A. 2005/2006 espressioni della soggettività di colui che le pone in essere. Per tale motivo il giudice potrà sindacare una valutazione tecnica non solo nella forma, ma anche nel contenuto. L’art. 17 l 241/90 dispone inoltre che <Ove per disposizione espressa di legge o di regolamento sia previsto che per l'adozione di un provvedimento debbano essere preventivamente acquisite le valutazioni tecniche di organi od enti appositi e tali organi ed enti non provvedano o non rappresentino esigenze istruttorie di competenza dell'amministrazione procedente nei termini prefissati dalla disposizione stessa o, in mancanza, entro novanta giorni dal ricevimento della richiesta, il responsabile del procedimento deve chiedere le suddette valutazioni tecniche ad altri organi dell'amministrazione pubblica o ad enti pubblici che siano dotati di qualificazione e capacità tecnica equipollenti, ovvero ad istituti universitari> A differenza di quanto avviene con i pareri obbligatori, quindi, il responsabile del procedimento che, dopo aver richiesto la valutazione tecnica ad un organo o ad un ente apposito non riceva risposta entro il termine fissato dalla disposizione o dalla legge (90 gg e non 45 come per i pareri), non può procedere a prescindere dalla valutazione tecnica stessa, ma deve rivolgersi ad organi dell’amministrazione o ad enti pubblici che siano dotati di qualificazione e capacità tecnica equipollenti per ottenere una loro valutazione tecnica. Un ulteriore rafforzamento del principio di infungibilità è dettato nel caso di valutazione tecnica da effettuarsi a cura di enti od organizzazioni preposti alla tutela dell’ambiente, del paesaggio, del territorio o della salute pubblica: in questo caso, infatti, il responsabile non può non attendere la valutazione tecnica che essi devono formulare (non potendo quindi rivolgersi ad altri enti o organi amministrativi). Si parla in questa circostanza di infungibilità della valutazione tecnica. È sempre possibile che l’organo o l’ente incaricato di formulare la valutazione tecnica faccia richiesta di una proroga per esigenze istruttorie: in questo caso si applica quanto detto a riguardo della formulazione dei pareri. AUTOCERTIFICAZIONE La legge 241/90, richiamando una legge del 1968, prevede l’entrata in funzione di un meccanismo di dichiarazioni sostitutive di certificazione: la dichiarazione del cittadino sostituisce in questo modo, in molti casi, un certificato normalmente rilasciato dalla PA (titolo di studio, stato di famiglia, residenza), anche solo se rilasciata su carta libera. In questo modo il controllo che la PA effettuava prima di rilasciare tali certificazioni è stato posticipato al momento successivo alla ricezione delle autocertificazioni. Un altro ambito molto importante delle autocertificazioni è quello relativo alle dichiarazioni sostitutive dell’atto di notorietà: attraverso tale dichiarazione l’interessato dichiara stati o qualità riguardanti sé medesimo o altro soggetto di cui abbia conoscenza. In particolare nel caso di documenti presentati in copia, l’interessato dichiarerà che essa è, per quanto egli possa dire, conforme all’originale. 41


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