Das Begehren von dem Ovid nicht spricht: Hermaphroditus in der hellenistisch-römischen Kunst

June 4, 2017 | Author: Gabriel Zuchtriegel | Category: Ovid, Hellenistic art, Greek and Roman Art and Architecture, Gender and Cultural Studies
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Rivista di antichità - Anno XXII/XXIII - 2013-2014 Direttore responsabile: Mario Torelli Comitato scientifico (referees) M. Crawford (London); J. D’Arms (Ann Arbor); B. Frier (Ann Arbor); C. Gonzales (Granada); P. Gros (Aix-en-Provence); W.V. Harris (New York); H. von Hesberg (Koln); T. Hölscher (Heidelberg); J. Mangas (Madrid); J.-P. Morel (Aix-en-Provence); J. Pedley (Ann Arbor); D. Placido (Madrid); A. Ruiz (Jaen); J. Scheid (Paris); A. Schnapp (Paris); H.A. Shapiro (Baltimore); J. Uroz (Alicante); T.P. Wiseman (Exeter); P. Zanker (Pisa) Redazione: A. Bottini, S. Bruni, G. Camodeca, L. Fiorini, P.G. Guzzo, D. Loscalzo, C. Masseria, M. Osanna, V. Scarano Ussani, L. Todisco, M. Torelli Segreteria: A. Carini, L. Fiorini, S. Querzoli Autorizzazione del Tribunale di Napoli n. 4321 del 30/10/1992 Registro degli Operatori di Comunicazione (R.O.C.) n. 6039 del 10/12/2001

Sommario Editoriale, Mario Torelli

Articoli, saggi e contributi Giuseppina Gadaleta, Luigi Todisco, La ceramica italiota e siceliota. Produzione,  circolazione, fruizione Francesco Marcattili, Libertas e Iuppiter Liber in Aventino. Schiavitù e integrazione negli anni della seconda Guerra Punica Françoise-Hélène Massa-Pairault, La tombe François et la vision politique de l’Étrurie au IVe siècle a.C. Françoise- Hélène Massa-Pairault, Turnus: de Virgile à Castrum Inui Concetta Masseria, La natura “augurale” del tempio lucano Theodoros Mavrojannis, Consequences of the battle at Salamis in the Eastern Mediterranean and Cyprus from 478 to 449 b.C.: the «Hellenikos Polemos» Carmela Roscino, La sposa ritrovata. L’iconografia di Elena Phainomeris nella ceramica attica del terzo venticinquennio del V secolo a.C. Jacopo Tabolli, All’origine dell’Agro falisco

Luigi Todisco, La fanciulla inseguita di un vaso lucano da Vaste nel Museo di Taranto Mario Torelli, Spurinas e non Murinas. Appunti per la storia della famiglia fondatrice della tomba dell’Orco Girolamo Visconti, Il gioco del kottabos oltre i confini del simposio. Un’analisi attraverso la ceramica italiota, tra ceramica attica ed etrusca Gabriel Zuchtriegel, Das Begehren von dem Ovid nicht spricht: Hermaphroditos in der hellenistisch-römischen Kunst

Recensioni M. Castoldi, Alberi di bronzo. Piante in bronzo e in metalli preziosi nell‘antica Grecia, Bari 2014 [Pier Giovanni Guzzo] V. Nizzo, Archeologia e antropologia della morte. Storia di un‘idea. La semiologia e l‘ideologia funeraria delle società di livello protostorico nella riflessione teorica tra antropologia e archeologia, Bari 2015 [Pier Giovanni Guzzo]

Edizioni ETS

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edd. in caso di più curatori] fra parentesi, con l’indicazione fra parentesi di Atti Convegno seguito da luogo e anno del convegno, ovvero, se manca il titolo del congresso, con indicazione degli Atti di Convegno come fosse una rivista: Es.: G. Pugliese Carratelli, Roma, Lazio e Magna Grecia, in A. Stazio (ed.), Atti XIV Conv. Studi Magna Grecia (Atti Convegno taranto 1979), napoli 1980, 235-245; M. torelli, I Galli e gli Etruschi, in Celti ed Etruschi nell’Italia centrosettentrionale dal V sec. a.C. alla romanizzazione (Atti Convegno Bologna 1985), Bologna 1987, 1-8; C. Peyre, Celtes et Étrusques en Provence, in Atti Secondo Congresso Internazionale Etrusco (Atti Convegno firenze 1985), Roma 1990, II, 66 ss. Citazioni di Contributi in Cataloghi di Mostre In caso di contributo in catalogo di mostra, tutto come per un normale articolo, tranne che: titolo della mostra in corsivo con indicazione del curatore (se esiste) seguito dall’abbreviazione ed. (o edd.) fra parentesi, con indicazione fra parentesi di Catalogo Mostra seguito da luogo e anno della mostra. Es.: H. Wünsche, Le collezioni di Monaco, in E. de Miro (ed.), Veder Greco (Catalogo Mostra Agrigento 1988), Roma 1988, 12 ss.; R. trapassi, Il riuso dei marmi nella Tuscia, in Antico e Medioevo. Passato e presente nella Tuscia Romana medioevale (Catalogo Mostra Viterbo 1979), Viterbo 1979, 18-26. Citazioni di Monografie, Manuali, Trattati e Raccolte di studi di uno stesso autore nome dell’Autore in tondo normale seguito da virgola; titolo del libro in corsivo seguito da virgola; luogo e anno di pubblicazione (senza virgola tra le due indicazioni) seguiti da virgola; numero delle pagine senza l’indicazione p./pp. Es.: A. Momigliano, Roma arcaica, firenze 1989, 85 ss. f. Casavola, Giuristi adrianei, napoli 1980, 77 ss.

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Editoriale Mario Torelli

Tempo addietro avevo dichiarato che non avrei più vergato editoriali di questa rivista. Torno ora a scriverne uno, ma non di segno politico: ho sentito il bisogno di spiegare il lungo silenzio di “Ostraka”, la cui ultima annata ha visto la luce nel 2012. Il fermo delle rivista nasce da un incidente economico e giudiziario, il fallimento dell’editore Loffredo, che ha pubblicato “Ostraka” fin dalla fondazione oltre venti anni fa: alla memoria di Alfredo Loffredo, che nel 1991 si è assunto l’onere dell’edizione e per quasi venti anni ha seguito il complesso lavoro di stampa della rivista va il pensiero grato di tutta la redazione e in particolare il mio. Poiché a suo tempo Alfredo Loffredo aveva personalmente registrato la testata al tribunale di Napoli, questa registrazione ne ha fatto il legittimo proprietario della testata, che di conseguenza è stata coinvolta nella procedura del fallimento. Per ben nove mesi, dal settembre 2014 al maggio 2015, mi sono dovuto confrontare con i micidiali tempi della giustizia civile italiana, per fare accettare dai liquidatori e dal giudice fallimentare la mia offerta di acquisto della testata, che solo ora, grazie anche all’interessamento dell’amico avvocato Paolo Natalini, si è conclusa favorevolmente: oggi, 26 maggio 2015, posso finalmente dire di essere proprietario delle rivista da me fondata nel 1990, con l’appoggio determinante di Vincenzo Scarano Ussani, il quale, dopo essere stato autore delle prime e decisive trattative con l’editore, insieme a me ha seguito tutte le più che ventennali vicissitudini della conduzione della rivista. Tra le varie offerte di pubblicazione, che mi sono giunte già all’indomani del doloroso annuncio del fallimento della Loffredo, la mia scelta si è orientata verso la casa Editrice ETS di Pisa, che ha fatto condizioni di edizioni vantaggiose: la ETS in questi ultimi anni si è conquistato uno spazio importan-

te nel non facile campo dell’editoria di cultura, producendo pubblicazioni di grande qualità di stampa e di impeccabile grafica. Ho piena fiducia che la collaborazione che stiamo iniziando darà ottimi frutti, assicurando continuità ad una rivista, che si è conquistata negli anni buona considerazione nel mondo dell’antichistica nazionale e internazionale. La redazione è sostanzialmente quella del 2012, con l’aggiunta di due colleghi, Stefano Bruni e Lucio Fiorini, che con le loro competenze rispettivamente in fatto di storia dell’archeologia e di metodologia archeologica, coprono campi meno consueti per la redazione fin qui operativa. Per ragioni di costi delle copie omaggio, abbiamo leggermente ritoccato, sulla base degli effettivi interventi nella passata vita della rivista, la lista dei membri del Comitato Scientifico, scusandoci con i colleghi che non abbiamo incluso nella lista. A tutti rivolgiamo la preghiera di aiutarci a diffondere “Ostraka” fuori del territorio nazionale, anche se ben sappiamo che le difficoltà di bilancio di biblioteche e di università sono all’ordine del giorno in tutto il mondo. Abbiamo rinunciato per il momento a fare un’edizione elettronica della rivista per varie difficoltà tecniche, ad ovviare le quali non siamo ancora preparati. La rivista intende proseguire la linea editoriale fin qui tenuta, dando ospitalità a giovani ricercatori, che spesso non hanno accesso a riviste di grande tradizione; di conseguenza si cercherà di promuovere lavori a carattere innovativo sul piano sia del metodo che dei contenuti. Come in passato, “Ostraka” accetterà gli articoli sulla base di pareri espressi da esperti chiamati ad esprimere il loro parere di referee, cercando di porre dei limiti a quest’opera di consulenza, che talora diventa inconscia forma di colossale conformismo.

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Articoli, saggi e contributi

Das Begehren von dem Ovid nicht spricht: Hermaphroditos in der hellenistisch-römischen Kunst Gabriel Zuchtriegel

Wo Heramphroditos’ Geschlecht nicht stillschweigend übergangen wird, wie lange Zeit im Louvre, wo der „Schlafende Hermaphrodit“ vom Typus Borghese bis 1970 in einer Wandnische so aufgestellt war, dass nur die „harmlose“ Rückenansicht zu sehen war1 (vgl. Abb. 3), dann löst es oft Interpretationsfluten aus, die die Frage nach der Bedeutung dieser Figur durch eine Aufreihung von Paradoxen mehr verdunkeln als beantworten. Ästhetische Kunstfigur und „Abnormität“, Normverletzung und Normbestätigung, Effeminatus und Zwitterwesen, Apotropaion und Kourotrophos – ist Hermaphroditos nur in solchen offen gehaltenen Widersprüchen zu beschreiben? Oder entstehen etliche dieser Widersprüche nicht erst im Prozess der wissenschaftlich-interpretativen Rezeption, die, abgesehen von zeitspezifischen moralischen Vorprägungen, immer noch durch einen stark textorientierten Zugriff geprägt ist, der dazu tendiert, einzelne Bildsemantiken in textbasierte, mythologisch ‘abgesicherte’ Patentdeutungen zu zwängen? Sind Widersprüche nicht weniger in einzelnen Repräsentationen des Hermaphroditos als vielmehr in der Praxis begründet, einen punktuell überlieferten Mythos wie den bei Ovid zum Dreh- und Angelpunkt der Interpretation einer mehrere Jahrhunderte währenden, kultische und private Kontexte, Terrakotta-Figuren und Marmorplastiken umfassenden Bildtradition zu machen? Die Zahl der aus der griechisch-römischen Antike erhaltenen Darstellungen androgyner Figuren, die von der Forschung für gewöhnlich als „Hermaphroditen“ angesprochen werden, beläuft sich auf über 170. Sie entstammen der Zeit zwischen dem 4. Jh. v. Chr. und dem 3. Jh. n. Chr. und sind durch die Kombination von weiblichen Brüsten und männlichem Glied charakterisiert. Ausführliche Zusammenstellungen der Bildwerke und Textquellen finden sich in dem 1990 erschienenen, fünften Band des Lexikon Iconographicum Mythologiae Classicae im Artikel „Hermaphroditos“, verfasst von A. Ajootian2, und in der

2004 veröffentlichen Dissertation von S. Oehmke mit dem Titel „Das Weib im Manne: Hermaphroditos in der griechisch-römischen Antike“3. Die beiden Autorinnen kommen zu ganz verschiedenen Herleitungen und Interpretationen der Figur des Hermaphroditos. Ajootian geht, wie schon andere seit dem 19. Jahrhundert4, davon aus, dass sich Hermaphroditos von „Aphroditos“, einer männlichen Form der Aphrodite, herleiten lasse. Ein Kult des Aphroditos existierte anscheinend in Amathous auf Zypern; das Kultbild war laut einer Stelle bei Macrobius barbatum (…) cum sceptro ac statura virile („bärtig ... mit Szepter und männlicher Statur“)5. Im kleinasiatischen Pamphylien soll es nach einer Notiz bei Johannes Lydos ebenfalls ein bärtiges Aphroditebild gegeben haben6. In Argos war die Verehrung der Aphrodite beim Fest der „Hybristika“ offenbar mit ritueller Kleidervertauschung von Frauen und Männern verbunden7. Ähnliche Riten scheint es seit dem späten 5. Jh. v. Chr. in Athen im Rahmen der Verehrung des Aphroditos gegeben zu haben8. Obwohl die Quellen für diese Kulte und Riten alle spät und mit Vorsicht zu verwenden sind, wurden sie von Teilen der älteren Forschung und von Ajootian als hinreichend betrachtet, um die These zu begründen, Hermaphroditos sei eine bildnerische Umsetzung des Aphroditos in Hermenform und sein Name nach dem Muster „Hermathena“, „Hermerakles“ usw. gebildet9. Die Zurückführung des Hermaphroditos auf eine vermännlichte Form der Aphrodite und auf deren kultische Verehrung führt zu einer starken Betonung der religiösen und kultischen Aspekte dieser Figur. So steht nach Ajootian der häufig in erigiertem Zustand dargestellte Phallus des Hermaphroditos für Fruchtbarkeit, die Vermischung verschiedener Geschlechtsmerkmale für eine „höhere, vollkommene-

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Oehmke 2004. Ausweis späterer Zitate bereits C. Heinrich, Hermaphroditorum origo et causae, Hamburg 1805; das Buch ist heute jedoch nicht mehr greifbar. Vgl. außerdem P. Herrmann in: Roschers Myth. Lexikon I, 2315; L. Preller, Griechische Mythologie, Berlin 1860, Kap. 50c; Settis 1966, 164; Waldner 2000, 215-218. 5 Macr. Sat. III, 8, 3. 6 Lyd., De mens. II, 10. 7 Plut. Mor. 245 C-F. - Vgl. Graf 1984, 246-250. 8 Macr. Sat. III, 8, 2; Philochoros, FrGrHist 328 F 184. - Vgl. Burkert 1987, 152 Anm. 5; Waldner 2000, 215-218. 9 Settis 1966, 164; Ajootian 1990, 265. 421 f. - Kritisch zu einer Verbindung der „bärtigen Aphrodite“ mit Hermaphroditos: Jastrow 1911; Brisson 2002, 53-57. 4 Nach

1 Die Umstellung der Skulptur erfolgte dann auf Betreiben einer Transgender-Initiative: Mergl 2010, 84 Anm. 10. Für Diskussionen und kritische Hinweise zu dem hier behandelten Thema danke ich herzlich allen Beteiligten an dem Forschungsprojekt „Hermaphroditus, androgynos, dimorphos...“, das 2005-2008 am August Boeckh-Antikezentrum der Humboldt-Universität zu Berlin durchgeführt wurde, besonders Matthias Mergl; außerdem danke ich Wolfgang Filser, Barbara Natalie Nagel, Massimo Osanna, Katrin Schade und Henning Wrede. 2 Ajootian 1990.

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re Form der Existenz, weniger für eine abnorme“10. Darüber hinaus sei dem Hermaphroditos in der Antike apotropäischer und kourotrophischer Charakter zugeschrieben worden11. Wie schon M. Delcourt, die sich in zwei Monographien mit der Gestalt des Hermaphroditos beschäftigt hat12, sieht auch Ajootian eine Verbindung zu orientalischen Kulttraditionen13. Ganz anders die Position von S. Oehmke, die der bisherigen Forschung den Vorwurf macht, den Bildwerken in ihrer Argumentation stets nur eine marginale Rolle zugewiesen zu haben14. Oehmke fasst die Figur des Hermaphroditos nicht unter dem Blickwinkel einer 'vermännlichten Aphrodite', sondern als effeminierten Jüngling auf15. An Stelle einer Herleitung von orientalischen und kultisch-rituellen Traditionen schlägt Oehmke vor, Hermaphroditos als „Kunstfigur“ zu sehen, entstanden „unter den Bedingungen der Verweiblichung des klassischen männlichen Schönheitsbilds, getragen vom weiblichen erotischen Begehren und einem Geschlechtsdiskurs, der einem männlichen Wesen von weiblicher Schönheit genügend Platz bietet.“16 In ihrer Deutung des Hermaphroditos erweist sich Oehmke trotz ihres Anspruchs, die Bildwerke stärker als die bisherige Forschung in den Mittelpunkt zu stellen, als konsequent an Ovids Version des Mythos orientiert17. Die in den Metamorphosen enthaltene Verwandlungsgeschichte, von der wir nicht wissen, woher Ovid sie genommen und bis zu welchem Grad er sie durch eigene Ideen bereichert oder umgeformt hat18, ist die Geschichte der Verweiblichung eines Jünglings durch die Quellnymphe Salmacis19. Die Vereinigung der beiden Körper, um die Salamcis die Götter nach ihrer Zurückweisung durch den Sohn des Hermes und der Aphrodite bittet, führt zur Verweiblichung und Verwandlung des Hermaphroditos in einen semimas20, der, wenn auch nur ein halber, so doch immer noch ein „Mann“ ist und seine

Identität in Form seiner biographischen Abkunft und seines Namens behält21, während die Identität von Salmacis durch die Vereinigung aufgehoben wird. Es ist offensichtlich, dass der Ovidsche Mythos, an dessen Ende ein seine Eltern anrufender „Halbmann“ steht, einen deutlichem Gegensatz zu einer Aphrodite abgibt, die sich als weibliche Gottheit Männlichkeit in Form eines Phallus oder eines Bartes aneignet und gerade in dieser Gestalt göttliche Macht und Verehrungswürdigkeit repräsentiert. Was können an diesem Punkt die Bildwerke, deren zu geringe Berücksichtigung Oehmke kritisiert hat, zur Deutung der Figur des Hermaphroditos beitragen? Wie könnten sich die beiden konträren Interpretationen des Hermaphroditos mit den Bildern in Bezug setzen lassen? – Bezüglich der bisherigen Deutungsversuche22 scheint mir, dass bestimmte zentrale Strukturelemente einer Reihe von HermaphroditosDarstellungen zwar hier und da schon angesprochen, aber noch nicht ausreichend auf ihre interpretatorischen Konsequenzen hin befragt wurden. Es lässt sich nämlich zeigen, dass es innerhalb der Hermaphroditos-Ikonographie eine Reihe von Beispielen gibt, in denen mit verschiedenen Mitteln die Vorstellung einer weiblichen Gestalt, die einen Phallus enthüllt, umgesetzt wird, und gerade nicht die Vorstellung eines effeminierten Jünglings. Wie dieser Befund in Zusammenhang mit den literarischen Quellen, die von „Aphroditos“ sprechen, bis hin zu Ovid zu sehen ist, ist eine andere Frage, auf die ich gleich zurückkommen werde. Zunächst zu den Bildwerken: 21

Vgl. insbesondere Vers 383-388. Außer Ajootian und Oehmke wären z.B. zu nennen: Lippold 1950, 225, der als Ausgangspunkt der ikonographischen Entwicklung ephebenhafte Bildschöpfungen der Spätklassik ansieht, wie es bereits Jessen (RE VIII.1, 1912, 714-721 s.v. „Hermaphroditos“) getan hatte (kritisch dazu Wrede 1986, 130); Robertson 1975, 551 f. („Aesthetically the figure is a logical last step in the effeminising of male types ...“) betont, dass die Darstellungen keineswegs als moralische Stellungnahmen und „Absurditäten“ aufzufassen seien; Zanker 1998, 80 („Phänomen gesteigerter Sinnenlust“; „Darstellung erregter Sinne“); Neudecker 1988, 48 (im Hinblick auf die Ausstattung römischer Villen mit Hermaphroditos-Darstellungen: „Eine erotische Zielrichtung dürfte allerdings beim antiken Betrachter ... weniger im Vordergrund gestanden haben als vielmehr die Abnormität seiner Zwitterhaftigkeit, die in den auf überraschende Wirkung bedachten Kompositionen das Amüsement des Betrachters erregte ....“); Garland 1995, 102 f., 119 f. (Hermaphroditos-Darstellungen vor dem Hintergrund des Umgangs mit sog. Behinderungen und Geburtsfehlern in der Antike); Clarke 1998, 50-55 (s.u.; im Folgenden mehrmals zitiert); Stähli 1999, 275 („Spiel der Geschlechterrollen“; „zugespitzte Demonstration sexueller Attraktivität ...“). 22

10 Ajootian 1990, 284. - Vgl. auch Delcourt 1961, 2 f.; 1966, 10; Ajootian 2007. 11 Ajootian 1995, 105; 1997, 228, 230. 12 Delcourt 1961; 1966. 13 Ajootian 1990. 14 Oehmke 2004, 9. 15 Wie u.A. auch schon Lippold 1950, 225; Robertson 1975, 551. 16 Oehmke 2004, 70. Vgl. auch Stähli 1999, 270, der ebenfalls von einer „Kunstfigur“ spricht. 17 Vgl. Oehmke 2004, z.B. 71: „Genauso zeigen ihn die Bildwerke, vor und nach Ovid.“ 18 Vgl. dazu Brisson 2002, 50-60. 19 Ovid, Metamorphosen 285-388. 20 Vers 381.

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Das Begehren von dem Ovid nicht spricht

(... pueri rubor ora notavit / nescit, enim, quid amor ...) – auf Hermaphroditos als einen „sexuell unerfahrenen Jüngling“ zurück. Es bleibt jedoch zu betonen, dass Darstellungen des Hermaphroditos anasyromenos wie die in Abb. 1 wiedergegebene, vorgängig jeder mythologischen Deutung der Figur, durch Proportionen, Gewand, Gesichtszüge und Haartracht im Repertoire der visuellen Erfahrung antiker Betrachter eher den Kontext zeitgleicher Darstellungen von jungen Frauen, Mädchen und Nymphen aufgerufen haben dürften, als den effeminierter Jünglingsgestalten der Spätklassik und des Hellenismus. So Abb. 2. Statue einer „Nymphe“ aus Haus des Hermes in Delos, gleicht die hier abgebildete dem Museum von Delos, ca. 300 v. Chr. Anasyromenos-Statue bei- (nach Hermary, Jockey, Queyrel spielsweise sehr stark ei- 1996, Abb. auf S. 127). ner als „Nymphe“ gedeuteten Skulptur des frühen Hellenismus aus Delos25 (Abb. 2). Dort kehren sowohl einzelne Details wie die Frisur oder die Kombination von unter der Brust gegürtetem Untergewand und lose über eine Schulter gehängtem Mantel wieder als auch die generelle Proportionierung des Körpers und des Gesichtes. Ein Hermaphroditos anasyromenos wie in Abb. 1 wurde in der Antike vermutlich zuallererst mit solchen und ähnlichen Figuren26, zu deren weiterem Umkreis auch die so genannten EphedrismosGruppen zu rechnen sind27, assoziiert. Es ließen sich noch weitere Beispiele dafür anfügen28, dass eine Statue des Anasyromenos-Motivs typologisch und stilistisch völlig kongruent mit hellenistischen Frauen-

Abb. 1a, b. Anasyromenosstatue, aus dem Kunsthandel Rom, 2. Jh. v. Chr. (DAI Rom Inst. Neg. 1935.1956; DAI Rom Inst. Neg. 1935.1958).

Ajootian und Oehmke haben übereinstimmend festgestellt, dass einige Hermaphroditos-Darstellungen wie vollständig weibliche Figuren erscheinen, denen lediglich ein männliches Genital appliziert wurde. Ajootian führt aus, dass in manchen Darstellungen, insbesondere beim Hermaphrodit Borghese und in der Gruppe „Hermaphroditos/angreifender Satyr“, der Körper des Hermaphroditos aus bestimmten Perspektiven nicht von dem einer weiblichen Figur zu unterscheiden sei23. Oehmke bemerkt zum Bildmotiv des Hermaphroditos anasyromenos, d.h. zu Figuren mit weiblichen Brüsten und weiblicher Tracht, die ihr Gewand anheben und einen – meist erigierten – Penis enthüllen (vgl. Abb. 1): „Im Gegensatz zu anderen Darstellungen von Männern mit dieser Geste offenbart sich erst durch die gelüftete Vorderseite des Unterkörpers, dass es sich nicht um eine männliche [Anm. d. A.: gemeint ist offenbar: weibliche] Gestalt handelt. Mit Ausnahme der beiden Statuen im Typus Torlonia kennzeichnet nämlich alle Bilder von Hermaphroditos mit dem Anasyromenos-Motiv eine harmonische Weiblichkeit, die allein das männliche Glied ‘stört’“.24 Trotz dieses nicht ohne Weiteres zum Motiv der Effeminierung passenden Befundes kommt Oehmke im sich anschließenden Textabschnitt – offenbar in Anlehnung an Metamorphosen IV, 329 f. 23 24

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Hermary, Jockey, Queyrel 1996, 126 f. Vgl. z.B. Linfert 1976, bes. 88-93; Abb. 270. 192-198 (Rhodos). 27 Vgl. Mandel 1999. 28 Etwa die aus Thessaloniki stammende Statue im Nationalmuseum Istanbul (Oehmke 2004, 85-87), die sich gut mit zeitgleichen Aphroditestandbildern vergleichen lässt, z. B. mit einem aus Priene im selben Museum (Lippold 1950, 287 An. 13; Linfert 1976, 20 Anm. 33c; Inv. 1052; vgl. LIMC II, 67 Nr. 576). 26

Ajootian 1990, 203. Oehmke 2004, 34.

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Gabriel Zuchtriegel

und Mädchenfiguren sein kann, und es tatsächlich nur die 'Applikation' des Phallus bzw. dessen Enthüllung ist, die die zunächst ganz weiblich erscheinende Gestalt in einen Hermaphroditos 'verwandelt'. Die durch das explizite, narrative Darstellen der 'Enthüllung' des Phallus implizierte Frage, wie diese Gestalt einen Moment vor dem Anheben des Gewands gewirkt hätte, ist hier im Grunde nur in eine Richtung zu beantworten: Sie wäre als eine jener Nymphenoder Frauenfiguren, die oben angesprochen wurden, erschienen. Das Bild des Hermaphroditos anasyromenos kann aus dieser Perspektive auch als verunsichernde Reflexion über den weiblichen Körper generell verstanden werden29: Wer kann angesichts eines solchen Bildes sicher sein, dass sich nicht auch unter dem Gewand anderer „Nymphen“ und weiblicher Gestalten ein Phallus verbirgt? Um die 'Enthüllung' oder 'Entdeckung' des Phallus im wörtlichen Sinn handelt es sich auch bei den Gemmen der so genannten Ionides-Gruppe, die zwischen Späthellenismus und früher Kaiserzeit datiert werden30. Anders als bei den Hermaphroditen im Anasyromenos-Motiv, die sich vor einem imaginären Gegenüber zu entblößen scheinen, enthüllen die Figuren auf den Gemmen den Phallus jedoch eindeutig vor sich selbst. Die sich enthüllende Figur zeigt dabei häufig Merkmale von Überraschung und emotionaler Ergriffenheit31. Oehmke merkt an, dass diese Bilder in einem Widerspruch zur Deutung des Hermaphroditos als effeminatus und zum Ovidschen Mythos stehen, da ein plötzlich verweiblichter Jüngling sich gerade nicht über sein männliches Genital, sondern eher über die weiblichen Merkmale seines Körpers wundern müsste. Dies erklärt sie einerseits damit, es sei im Medium Bild „schlicht einfacher, eine plötzliche Männlichkeit durch ein solches Genital, als Weiblichkeit zu zeigen“, andererseits argumentiert sie, nicht das männliche Genital an sich, sondern die Erektion, die für „plötzliche Geschlechtsreife“ und das erwachte sexuelle Begehren stehe, sei die eigentliche Entdeckung32. Diese Argumentation verfängt allerdings nur dann, wenn man wiederum Ovids Text als Prämisse akzeptiert, denn das Bild selbst sagt nichts über vorherige sexuelle Unreife oder Unerfah-

renheit – wohingegen in den Metamorphosen (IV 330) genau darüber gesprochen wird. In den Gemmen der Ionides-Gruppe gibt es noch eine weitere Dimension, in der eine 'Entdeckung' des Phallus stattfinden kann, nämlich die des Betrachters. Da die Gemmen, anders als es durch die oft vergrößerten Abbildungen suggeriert werden könnte, nur ein bis drei Zentimeter Durchmesser besitzen, musste man genau hinsehen, um das männliche Genital zu entdecken und damit das eigentliche Thema des Bildes zu erkennen. Auf den ersten Blick handelt es sich einfach um eine weibliche Figur, beim genaueren Hinsehen folgt dann gewissermaßen die 'Enthüllung'. Ein ähnliches Spiel mit dem Betrachter ist im Fall des berühmten schlafenden Hermaphroditos im Typ Borghese anzunehmen (Abb. 3-4). Die primäre Ansichtsseite war diejenige mit dem Rücken der Figur, wie sich an Hand künstlerischer Details wahrscheinlich machen lässt33. Von hier aus gesehen erinnert die Figur an Darstellungen von „Nymphen“ in ähnlicher Pose, worauf Oehmke bereits hingewiesen hat34. Ein von ihr besprochenes Wandgemälde in Neapel (Abb. 5) zeigt eine schlafende Nymphe, deren Anblick an die Rückenansicht des Hermaphroditos-Borghese erinnert, allerdings spiegelverkehrt. Zu erkennen sind Beine, Gesäß und Rücken der Schlafenden so wie das auf den Arm gebettete Gesicht. Aus dem Hintergrund tritt ein Satyr an sie heran, hebt ihren um die Beine geschlungenen Mantel und blickt auf ihr Geschlecht. Nähert man sich dem Hermaphroditos-Borghese von dessen vermutlicher primärer Ansichtsseite, so könnte allenfalls die Frisur mit Scheitelzopf, die gewöhnlich für Mädchen, Jungen oder Jünglinge verwendet wird35, einen dezenten Hinweis darauf geben, dass es sich nicht um eine 'normale' Nymphe handelt. Beim Umkreisen der auf Rundansicht gearbeiteten Skulptur werden die Betrachter dann zu 'Entdeckern' des Phallus36. Wie bei den Anasyromenos-Statuen kann auch diese Darstellung innerhalb des bildsprachlichen Kontextes der Zeit als Irritation hinsichtlich des weiblichen Körpers begriffen werden: Kann, wer nach dem Hermaphroditos-Borghese noch einmal das Wandgemälde mit Satyr und „Nymphe“

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33

Ähnlich Oehmke 2004, 34, die dies in einen Zusammenhang zu weiblicher Homoerotik setzt (vgl. Anm. 275 ebenda). 30 Oehmke 2004, 64 f. 31 Oehmke 2004, 64. 32 Oehmke 2004, 64 f.

Ajootian 1990, 284. Vgl. Oehmke 2004, 40. 35 Oehmke 2004, 54. 36 Vgl. z.B. Garland 1995, 119; Ajootian 1997, 220; Clarke 1998, 50. 55; Stähli 1999, 272; Mergl 2010, 77-82. 34

258

Das Begehren von dem Ovid nicht spricht

Abb. 3. Hermaphroditos des Typus Borghese, Rom, Palazzo Massimo, römische Kopie nach Original des 2. Jhs v. Chr. (DAI Rom Inst. Neg. 1954.98).

Abb. 4. Detail von Abb. 3 (Autor).

in Neapel (Abb. 5) betrachtet, noch sicher sein, was der Satyr eigentlich entdeckt? Das soll nicht heißen, dass ich einer Benennung der Figur als Nymphe widersprechen möchte, doch die 'richtige' Benennung und Identifizierung einer Figur ist, so sehr ihr auch aus einer logozentristischen Perspektive heraus das Primat der Bedeutungsdetermination gegenüber den als kontingent, 'äußerlich' und zufällig empfundenen Beziehungen mit anderen Bildern zukommen mag, letztlich nur als eine Bedeutungsreferenz unter vielen zu betrachten. Anders als bei den bisher genannten Hermaphroditos-Bildern ist es in einigen pompejanischen Wandmalereien des 1. Jhs. n. Chr. eine zweite, stets männliche Figur, vor der bzw. von der Hermaphroditos’

Abb. 5. Wandgemälde aus Pompeji, Nationalmuseum Neapel Inv. 27691, ca. 40-79 n. Chr. (nach Oehmke 2004, 40).

Phallus enthüllt wird, so z.B. auf einem Gemälde in der Casa dei Vettii, Raum q. Das Bild, dessen unteres Drittel zerstört ist, zeigt eine sitzende, nach Kleidung und Proportionen weibliche Figur, die mit der einen Hand ihren Mantel anhebt, um ihr erigiertes Glied zu entblößen, und mit der anderen einen hinter sich stehenden Silen an dessen Bart festhält37 (Abb. 6). Ein 37

259

Oehmke 2004, 134 f. Nr. 128.

Gabriel Zuchtriegel

Abb. 6. Wandgemälde in Pompeji, Casa dei Vetti, ca. 40-79 n. Chr. (nach Oehmke 2004, 39).

Abb. 7. Wandgemälde in Pompeji, Casa dei Vetti, 1. Hälfte 1. Jh. n. Chr. (nach PPM V, 542, Abb. 126).

zweites, ganz ähnliches Fresko stammt aus dem Tablinum der Casa di Epidio Sabino und befindet sich heute im Nationalmuseum von Neapel. Die Komposition ist die gleiche, nur dass von rechts eine Mänade, die einen Kantharos und einen Tyrsosstab hält, hinzutritt38. Sie beobachtet die Szene lediglich und nimmt nicht wirklich an ihr teil. Ebenfalls zweimal begegnet eine Szene, in der eine liegende Gestalt von Pan enthüllt wird, so dass ein Phallus sichtbar wird: In der Casa dei Dioscuri, über dem Eingang zum Peristyl, befand sich ein heute in Neapel aufbewahrtes Fresko, das einen sich vom Lager halb aufrichtenden Hermaphroditen zeigt39. Pan hat den Mantel gehoben, ganz so, wie es der Satyr bei der Nymphe in Abb. 5 tut, und damit den lagernden Hermaphroditos aufgeschreckt. In dem Moment, da Pan den Phallus (im Bild schlecht erhalten) entdeckt, will er fliehen, wird jedoch von Hermaphroditos festgehalten. Ähnlich ist ein Gemälde in der Casa dei Vettii aufgebaut (Abb. 7), dem Haus, aus dem auch das Fresko in Abb. 6 stammt. Allerdings beschränkt sich die Dramatik der Szene hier auf Pan, der seinen rechten Arm hebt. Die lagernde Gestalt im Vordergrund, deren erigierten Phallus Pan aufgedeckt hat, blickt wie unberührt nach rechts und zieht mit den Fingerspitzen der rechten Hand ihren Mantel über

die Schulter. Ähnliche Bilder wie die beiden zuletzt genannten gibt es mit Mänaden und Satyrn40. Darüber hinaus entspricht die Komposition einem der häufigsten Themen der pompejanischen Wandmalerei überhaupt, nämlich dem der schlafenden, von Dionysos aufgefundenen Ariadne41. Die Auffindung der Ariadne mündet in ihrer Aufnahme durch Dionysos; wenn die Aufnahme durch den Gott hier mit der Enthüllung des nackten Körpers der Schlafenden durch einen Satyrn oder Eroten bildsprachlich begründet wird, dann wird damit die Entblößung als Form der sexuell-erotischen Annäherung in gewisser Weise nobilitiert und über die Sphäre satyrhaftgewalttätiger, zurückgewiesener Annäherungsversuche erhoben. Ariadne ist auch häufig gemalt, wie sie, schlafend, von Theseus zurücklassen wird. In diesem Zusammenhang wird manchmal der linke Arm der Schlafenden nicht ausgestreckt darstellt, sondern, wie der rechte, zum Kopf geführt (Abb. 8). Dieses Detail erinnert an die rundplastische Einzelfigur der schlafenden Ariadne, eine hochhellenistische Schöpfung, die in römischen Kopien überliefert ist42. In der glei-

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40

PPM III, 434, Abb. 46. Zusammenstellung der Ariadne-Darstellungen in Pompeji bei Schefold 1957, 367 s.v. „Ariadne“; vgl. auch ein Terrakotta-Relief hellenistischer Zeit aus Civita Alba: McNally 1985, 176. Abb. 20. 21. 42 Müller 1938, 164-174; LIMC III,1 1062 (M.-L. Bernhard, W.A. Daszewski). 41

Oehmke 2004, 133 Nr. 125. Oehmke 2004, 141 Nr. 153.

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Das Begehren von dem Ovid nicht spricht

Oehmke beobachtet hat, wird ihr Mantel „wie von unsichtbarer Hand“ gehoben45 und gibt den Blick auf das erigierte männliche Glied frei. Eine solche Darstellungsweise ist innerhalb der antiken Plastik überaus ungewöhnlich; mir zumindest ist keine antike Skulptur bekannt, die in vergleichbarer Weise das Wirken einer „unsichtbare Hand“ einschließt. Es fragt sich, ob nicht doch an einen Gruppenzusammenhang zu denken ist, auch wenn keine Ansatz- und Bruchstellen dies unmittelbar belegen können. Die motivische Struktur erinnert in jedem Fall an die bereits besprochenen Bilder: Aus bestimmten Winkeln oder aus größerer Entfernung sah die Figur zunächst aus wie eine schlafende Ariadne, Nymphe oder Mänade; erst beim Näherkommen wurde der Phallus erkennbar. Wir wissen nicht, wie die Skulptur ursprünglich aufgestellt war, doch vermutlich stand sie vor einer Wand, denn die Rückseite ist nur grob bearbeitet46. Die seltsame Form des „wie von unsichtbarer Hand“ gehobenen Mantels scheint, wenn sie tatsächlich nicht durch eine nicht erhaltene, weitere Figur zu erklären ist, kaum anders verständlich denn als eine Art 'Provokation' der Betrachter – gewissermaßen als Stein gewordene Aufforderung, die Skulptur durch das Greifen des Mantels selbst zu ergänzen – je nach Aufstellungsort war das vielleicht sogar wörtlich gemeint. Auf allgemeiner Ebene wurde von der Forschung bereits darauf hingewiesen, dass sich die Darstellungen schlafender Hermaphroditen in den weiteren Kontext schlafender Figuren des dionysischen Kreises einordnen lassen47, doch möchte ich noch einen Schritt weiter gehen: Die kompositorischen Parallelen zwischen den Nymphen- und Ariadne-Darstellungen einerseits und den Darstellungen schlafender „Hermaphroditen“ andererseits produzieren Bedeutungen, die unabhängig von der Frage, wie die jeweilige Figur benannt wird, ihre Wirkung entfalten. In ihrem visuellen Kontext erweisen sich die genannten „Hermaphroditos“-Bilder als Variationen einer Enthüllungs-Imagination, deren konstante Struktur ist: Vorstellung einer/Annäherung an eine vermeintlich weibliche Figur; Enthüllung eines Phallus an dieser Figur. Dabei können Annäherung und 'Entdeckung' des Phallus sowohl durch die Betrachter erfolgen, wie etwa beim Hermaphroditus-Borghese, als auch im

Abb. 8. Wandgemälde aus Pompeji, Haus V, 1, 26, Nationalmuseum Neapel, ca. 40-79 n. Chr. (Autor).

Abb. 9. Schlafender Hermaphroditos, Soprintendenza Speciale per Pompei, Ercolano e Stabia, frühe Kaiserzeit (DAI Rom Inst. Neg. 2000.0514).

chen Haltung und Komposition, liegend mit hinter dem Kopf verschränkten Armen und überkreuzten Beinen, werden auch schlafende Mänaden und Nymphen dargestellt43. Von diesen Bildern hängt offenbar eine Skulptur aus Pompeji ab, die eine schlafende, nach Körperproportionen und Tracht weiblich gekennzeichnete Figur wiedergibt44 (Abb. 9). Wie 43

45

McNally 1985, 177. Hermaphroditos-Darstellungen im Schema der schlafenden Ariadne/Mänade auf Gemmen: Oehmke 2004, 136-143.

Oehmke 2004, 143 f. Nr. 161. Oehmke 2004, 143. 47 Vgl. Robertson 1997, 551; Oehmke 2004, 40. 46-49.

44 Weitere

46

261

Gabriel Zuchtriegel

Bild selbst dargestellt werden, wie bei den Gemälden mit Pan oder einem Satyr48. Die narrative Struktur dieser Enthüllungs- und Entdeckungsgeschichten weicht, wie bereits gesagt, signifikant von der des Ovidschen Mythos ab. Auch der kleinasiatische Mythos von Agdistis, den A. Ajootian zur Deutung des schlafenden Hermaphroditos herangezogen hat49, korrespondiert nicht mit der aus den genannten Bildwerken abgeleiteten Struktur. Es gibt jedoch außerhalb der Mythologie einige Texte aus der antiken Literatur, die genau dieser Struktur in sehr konkreter Weise entsprechen. Ajootian hat bereits darauf hingewiesen, dass die Geschichte von Heraïs aus Abai im Werk des Diodorus Siculus (1. Jh. v. Chr.)50 wie ein literarischer Gegenpart zum Motiv des Hermaphroditos anasyromenos wirkt, doch daraus noch keine interpretatorischen Konsequenzen gezogen. Bei Diodor (XXXII, 10, 2-9) heißt es:

schämt sie sich und verweigert sexuellen Verkehr. Ihr Mann zieht vor Gericht, um sein „eheliches Recht“ einzuklagen. Heraïs behält die ganze Zeit über ihre weibliche Verkleidung an. Als jedoch die Geschworenen gegen sie entscheiden wollen, löst sie ihr Gewand um ihre „Männlichkeit“, also ihr männliches Genital, „allen zu zeigen“. Dadurch kann sie den Prozess doch noch gewinnen. Nach der Scheidung von ihrem Mann Semiades, der später Selbstmord begehen wird, ändert sie ihren Namen und lebt als Mann. Abgesehen von der Verknüpfung von als abnorm gekennzeichneter Geschlechtlichkeit und Ethnizität (arabische Frau/griechischer Mann), die nicht wirklich in das Bild der Antike als Gegenmodell zu unserer sich eines fundamentalen Komplexes aus Rassismus und Sexismus bewusst werdenden Moderne passt,52 ist hier bemerkenswert, dass die körperliche Verwandlung der Heraïs ausschließlich durch das Hervorbrechen des Phallus, der auf eine nicht näher erklärte Weise schon in ihr war, beschrieben wird. Weibliche Geschlechtsmerkmale (bzw. deren Verschwinden) kommen gar nicht vor, die Hauptsache scheint das Vorhandensein des männlichen Phallus zu sein. Dieser Unterschied – das männliche Genital ist entscheidend, das weibliche kommt nicht vor – korrespondiert mit dem weitgehenden Fehlen weiblicher Genitalien in griechischen Bildwerken, zumindest in der repräsentativen, nicht karikaturhaften Kunst53, sowie mit der Definition des Weiblichen als defizitär gegenüber dem Männlichen bei Aristoteles, als einem, das hauptsächlich durch das Fehlen von etwas charakterisiert ist54: Wenn Weiblichkeit als 'inkomplette' Männlichkeit aufgefasst wird, kann die Vermännlichung einer weiblichen Figur folgerichtig lediglich in einer Erweiterung oder 'Komplettierung' bestehen und sich ohne irgendeine Art des Verlustes von Weiblichkeit vollziehen. Diodor erzählt noch eine andere Verwandlungsgeschichte mit dem Unterschied, dass hier die Protagonistin Kallo, die in einen Mann verwandelt wird, von Geburt an keine Vagina hatte und nur als Mädchen „galt“ oder „erschien“55. Auch Plinius der Ältere (1. Jh. n. Chr.) erwähnt in seiner Naturgeschichte unter dem Thema „Dass Frauen

„In dem so genannten Abai in Arabien wohnte ein Mann namens Diophantos von makedonischer Abkunft. Er heiratete eine arabische Frau und zeugte einen nach ihm benannten Sohn und eine Tochter namens Heraïs. Den Sohn verlor er, ehe er zum Jünglingsalter gelangte, durch den Tod. Die Tochter, als sie mannbar zu sein schien, verheiratete er an einen Mann namens Samiades. Dieser lebte mit seiner Gattin ein Jahr lang und begab sich dann auf eine lange Reise. Heraïs aber wurde, wie man sagt, von einer seltsamen und ganz unglaublichen Krankheit ergriffen. Es stellte sich nämlich am Unterleib eine heftige Entzündung ein, und als die Stelle immer mehr anschwoll und sie starkes Fieber bekam, da glaubten die Ärzte, dass sich ein Geschwür am Mutterhals angesetzt haben müsse: sie wendeten daher allerlei Mittel an, womit sie die Entzündung zu bekämpfen dachten. Am siebten Tag aber riss die Außenhaut auf, und aus den Genitalien der Heraïs kam ein männliches Glied mit zwei Hoden zum Vorschein. Als dieser Durchbruch durch Zufall geschah, war kein Arzt und auch sonst kein Fremder zugegen, nur die Mutter und zwei Mägde waren dabei. Diese waren sprachlos vor Staunen über den seltsamen Vorfall, widmeten der Heraïs die angemessene Pflege und verschwiegen, was geschehen war.“51

Als der Mann der Heraïs wieder nach Hause kehrt, 48

A. Stähli (1999, 47-49, mit älterer Lit.) lehnt eine solche Deutung für die rundplastischen Gruppen von Hermaphroditos und Satyr ab; die von Stähli ins Feld geführte Hauptansichtsseite der Gruppe und die „gegenseitige Verstrebung ihrer Körperglieder“ stellt aber meiner Meinung nach kein zwingendes Argument gegen die Annahme dar, auf Seiten der Betrachter könne ein „schrittweises Abtasten der Gruppe“ oder „Imaginieren einer Vorgeschichte“ stattfinden. 49 Ajootian 1988. 50 Ajootian 1990, 284. 51 Übersetzung nach J. F. Wurm, Diodor’s von Sicilien historische Bibliothek, Stuttgart 1839, 2394-2397.

52

Vgl. dazu Isaac 2004. Lehmann 2001, 361-380. 54 De generatione animalium 731b. 737a. 775a. Vgl. allg. Laquer 1996; zu Auswirkungen des „Ein-Geschlecht-Modells“ auf die Bildende Kunst vgl. Fabricius 2001, 59-63. 55 Diodor XXXII, 11, 1. 53

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Das Begehren von dem Ovid nicht spricht

in Männer verwandelt werden ist keine Fabel“ (ex feminis mutari in mares non est fabulosum) vier Fälle von Verwandlungen von jungen Frauen in Männer. Exakte Orts- und Zeitangaben sollen die Faktizität des Erzählten belegen. Zwei der berichteten Verwandlungen stehen im Zusammenhang mit der Hochzeit der Protagonisten56. Das „Buch der Wunder“ des Phlegon von Tralleis (2. Jh. n. Chr.) enthält ebenfalls vier Verwandlungsgeschichten, von denen die erste am ausführlichsten ist57: Eine junge Frau aus Antiochia bekommt Bauchschmerzen am Tag vor ihrer Hochzeit; nach vier Tagen brechen Phallus und Skrotum aus dem Bauch hervor und sie verwandelt sich – erst körperlich und dann sozial – in einen Mann. In diesen Geschichten ist die gleiche Struktur vorzufinden, wie sie aus den oben genannten Darstellungen des „Hermaphroditos“ herausgearbeitet wurde: eine zunächst weibliche oder weiblich erscheinende Figur erhält/enthüllt einen Phallus. Das bedeutet sicherlich nicht, dass in den besprochenen Bildern Heraïs oder eine andere der bei Diodor, Plinius und Phlegon erwähnten Gestalten zu sehen ist. Abgesehen davon, dass die Verwandlungsgeschichten erst viel später bezeugt sind als die ersten Darstellungen des „Hermaphroditos“, ist davon auszugehen, dass den Bildwerken eine mythologische Figur als Motiv diente. Dass es sich dabei in der großen Mehrzahl der Fälle tatsächlich um „Hermaphroditos“ handelte, und nicht um Agdistis oder eine andere Mythengestalt, ist deswegen wahrscheinlich, weil einige literarische und inschriftliche Quellen Hermaphroditen-Darstellungen bezeugen, während keine direkten Hinweise auf Darstellungen von Agdistis oder anderen androgynen Gestalten in der Bildenden Kunst vorliegen58. Gleichzeitig ist jedoch festzuhalten, dass die Ovidsche Version des Mythos von Hermaphroditos und die Umsetzungen des Themas in der Bildkunst oft nicht kongruent sind, da dem bei Ovid zentralen Motiv der Effeminierung in vielen Bildwerken eine 'weibliche Figur mit Phallus' gegenübersteht. Eine solche Figur scheint sich besser als durch Ovid durch die Ableitung von Aphrodite bzw. von Aphroditehermen, wie von S. Settis, A. Ajootian und anderen vertreten, erklären zu lassen. Doch wie oben

bereits gesagt, ist die Quellenbasis dafür problematisch: „Aphroditos“ wird in den Schriftquellen entweder nicht näher beschrieben und lässt sich somit nicht sicher mit „Hermaphroditos“-Darstellungen verbinden, oder aber die männliche Aphrodite wird als „bärtig“ gekennzeichnet, wofür sich überhaupt keine Parallelen in der Ikonographie finden. Angesichts dieser Quellenlage kann hinsichtlich der Herkunft des Hermaphroditos nur die Analyse der Bildwerke selbst weiterführen, für die Oehmkes Arbeit eine breite Grundlage bildet. Auch wenn Oehmke selbst zu einem anderen Schluss kommt, so sprechen die von ihr gesammelten Erkenntnisse m.E. klar dafür, den Ursprung der „Hermaphroditos“-Darstellungen nicht mit der Effeminierung des klassischen männlichen Schönheitsideals, sondern mit phallischen weiblichen Figuren, möglicherweise Aphrodite, in Verbindung zu bringen. Eine Konsultation von Oehmkes Katalog zeigt, dass die frühen Hermaphroditos-Bilder des 4. bis 3. Jhs. v. Chr. alle dem Schema 'weibliche Figur mit Phallus' folgen59, während Bilder, die Effemination zu thematisieren scheinen, wie z.B. der „Berliner Hermaphrodit“ oder der „Hermaphrodit Hope“, erst viel später auftauchen. Manche der frühen Terrakotta-Statuetten orientieren sich ihrem Bildmotiv nach sogar direkt an Aphroditedarstellungen60. Hermaphroditen im Anasyromenos-Schema treten außerdem ab dem Ende des 3. Jhs. v. Chr. als Stütz- oder Beifiguren der Aphrodite auf61. Ich möchte in diesem Zusammenhang noch auf einige Bildwerke hinweisen, die bislang noch nicht mit der Frage nach der Entstehung der Hermaphroditen-Bilder in Verbindung gebracht wurden, mir aber aufschlussreich erscheinen: Ein rotfiguriges SchalenInnenbild in Korinth aus dem Umkreis des Jenaer Malers („Q-Maler“) zeigt eine vor dem thronenden Dionysos tanzende, nackte weibliche Figur, die sich einen Fellschurz mit Satyrschwanz und Phallus umgebunden hat62 (Abb. 10). Die gleiche Szene ist vermutlich auf einem etwas älteren, dem Pronomos-Maler zugeschriebenen rotfigurigen Fragment aus Milet 59 Vgl. Oehmke 2004, 15; 73 f. Nr. 1. 2; 81 Nr. 10; 89 f. Nr. 23; 98 Nr. 43; 110 Nr. 58 (anasyromenos); 112 Nr. 65 (anasyromenos); 115 Nr. 72 (anasyromenos); 124 Nr. 124 (Selbstentblößung, sitzend, auf Gemme). 60 Oehmke 2004, 15. 61 Oehmke 2004, 112 Nr. 65. - Vgl. auch 110 Nr. 59 (späthellenistisch). 62 Luce 1930, 340 Nr. 7 („hermaphrodite faun“); Paul-Zinserling 1994, 38-41; Taf. 6.1; Fellmuth et alii 1996, 29; Abb. 23.

56

Plinius, Naturalis historia VII, 36. Phlegon VI, 3. 58 Vgl. Oehmke 2004, 150-152. Eine Ausnahme bildet eine Statue des Attis aus Ostia, von K. Rieger (2006) wohl zurecht als einzigartig bezeichnet. 57

263

Gabriel Zuchtriegel

Frage, ob die Umdeutung des Hermaphroditos zu einem verweiblichten Jüngling innerhalb der mythologisch-literarischen Textdiskurse mehr oder weniger stringent verlief, muss wegen fehlender Quellen offen bleiben. Doch unabhängig davon ist zu konstatieren, dass viele der Umdeutungen und „Mythenkorrekturen“, die in der Bildenden Kunst vorgenommen werden, eine ganz andere Richtung nehmen. Die Bildwerke, die oben betrachtet wurden, konservieren einerseits den anscheinend von Beginn der Hermaphroditos-Ikonographie an angelegten Aspekt der „Vermännlichung“ einer vorgängig weiblichen Figur, sei es „Aphroditos“ oder eine andere Gestalt. Sie abstrahieren andererseits aber weitestgehend von jeglichen kultisch-rituellen und mythologischen Kontexten68. Die Darstellungen im Anasyromenos-Schema, aber auch viele andere, wie z.B. der Hermaphroditos Borghese, erweisen sich in ihrer Struktur als Variationen des Motivs der weiblichen Figur, die einen Phallus enthüllt oder entdeckt. In diesem Kernmotiv, das allerdings nicht immer als Narration angelegt sein muss, sondern auch im Spiel mit dem Betrachter umgesetzt werden kann, stimmen sie, wie oben ausgeführt, mit einigen, wohl auf die hellenistische Zeit zurückgehenden Erzählungen bei Diodor, Plinius und Phlegon überein, die im Gestus wissenschaftlicher Welterforschung berichtet werden. Letzteres bedeutet auch, dass die in den Bildern zum Ausdruck gebrachte Vorstellung einer weiblichen Figur mit Phallus nicht unbedingt als reine „Utopie“ aufgefasst wurde, wie R. Garland meint69, sondern in gewissem Sinn auch als reale, wissenschaftlich dokumentierte Möglichkeit erschien. Was aber machte die Attraktivität der einen Phallus enthüllenden weiblichen Gestalt in diesen Bildern und Texten aus? Um sich hier einer Antwort anzunähern, können vielleicht einige weitere Beobachtungen an den bildlichen Darstellungen des Hermaphroditos helfen: Zunächst ist dort, wo die Enthüllung des Phallus an einer vermeintlichen Nymphe oder an einer anderen, zunächst weiblich erscheinenden Figur in einem Gruppenzusammenhang dargestellt wird, das Gegenüber des enthüllten „Hermaphroditos“ immer Pan oder ein Satyr. Diese Figuren, die erwachsen-männliche Triebhaftigkeit verkörpern, sind also die 'üblichen' Entdecker der 'Männlichkeit' oder 'Ver-

Abb. 10. Innenbild einer Schale des Q-Malers, Korinth, Archäologisches Museum, um 400 v. Chr. (nach Alt-Korinth. Führer durch das Museum und die Stätte, Athen).

abgebildet63. Eine Tänzerin mit umgebundenem Satyrfell begegnet daneben auch in einer TerrakottaStatuette in Berlin64. Möglicherweise stellt das einen Bezug zu einem Tanz aus dem Bereich des dionysischen Kultes dar, bei dem Frauen sich als ityphallische Satyrn verkleideten65. Ob es sich dabei, wie von V. Paul-Zinserling vermutet66, um den literarisch bezeugten Skinnistanz handelt, muss offen bleiben. Wichtig für die Deutung des Hermaphroditos ist indessen, dass die Verkleidung und das Applizieren des Phallus bei einer Mänade nicht nur in Struktur und Kontextualisierung an spätere HermaphroditosBilder erinnern, sondern auch einen kulturellen Hintergrund aufscheinen lassen, vor dem die Verehrung des „Aphroditos“ in Gestalt einer phallischen Aphrodite an Wahrscheinlichkeit gewinnt. Wenn sich die Figur des „Hermaphroditus“ aus dem Umfeld einer vermännlichten Form der Aphrodite entwickelt hat, so ist der Weg bis hin zu jenem semimas der Ovidschen Metamorphosen denkbar weit. Die Konstruktion der Figur bei Ovid kann unter dieser Voraussetzung nur in Folge tiefgreifender Transformationen und „Mythenkorrekturen“67 des Ausgangsmaterials zu Stande gekommen sein. Die 63

Paul-Zinserling 1994, 38.

64 Ebenda. 65

Ebenda. - Vgl. auch Robertson 1992, 270. Paul-Zinserling 1994, 38-41. 67 Zum Begriff „Mythenkorrekturen“: Vöhler, Seidensticker, Emmerich 2005. 66

68 69

264

So auch Stähli 1999, 273-275. Garland 1995, 119.

Das Begehren von dem Ovid nicht spricht

anal penetriert zu haben72. Hermaphroditos erscheint hier – ähnlich wie bei Ovid, nur noch drastischer – als passiv-effeminiert. In den Bildern wird er dagegen als sexuell aktiv und sogar aggressiv (etwa, wenn er Pan festhält) gezeigt. Die Bilder erscheinen daher als subversive Umdeutungen des mythologisch-poetischen Stoffs, zumindest, soweit wir ihn kennen. Das brisante Thema der weiblich-phallischen Figur, das – wie gezeigt wurde – auch die Konfrontation erwachsenmännlicher Sexualität mit dem Phallus impliziert oder sogar explizit enthält, wurde im literarischen Diskurs auf die Ebene wissenschaftlicher Kuriositätenberichte verwiesen; doch die Protagonistinnen dieser Berichte sind keine Figuren, denen die Konvention eine Darstellung in der Hochkunst zubilligte: Heraïs wäre als Großplastik oder in einem repräsentativen Gemälde nicht denkbar. Das anscheinend nach Darstellung verlangende Thema der einen Phallus enthüllenden weiblichen Figur wird deshalb unter einem anderen Label – dem des Hermaphroditos – bildnerisch verwirklicht. Von Bedeutung scheint, dass das männliche Subjekt – sei es in Gestalt des Ehemanns, der mit einer zunächst ‘normal’ erscheinenden Braut (griech. nymphe) eine Ehe eingeht, sei es in Gestalt eines Satyrn, der sich einer vermeintlichen „Nymphe“ nähert – niemals wissentlich den Phallus begehrt. Die Bildgruppen von Hermaphroditos und Satyr/Pan konfrontieren den Betrachter mit einem Ausschnitt aus einem dynamischen Geschehen, dessen Anfang sich zwar völlig aus der konventionellen Ökonomie des männlichen Begehrens ableiten lässt, dessen Ausgang jedoch eine Leerstelle bildet, bei deren Füllung die Phantasie des Betrachters in aus antiker Sicht wenig konforme, kaum je offen diskutierte Fragen verstrickt wird: Was passiert, wenn es Hermaphroditos gelingt, Pan festzuhalten? Welcher Art ist sein Begehren und welche sexuellen Möglichkeiten eröffnet es? Die von Heraïs im Moment der Enthüllung ihres männlichen Genitals gestellte rhetorische Frage an die Richter, ob man „einen Mann denn dazu zwingen wolle, mit einem Mann zu verkehren“ (Diodor XXXII 10, 6), zeigt, dass bereits das Erscheinen des männlichen Gliedes den Geschlechtswandel von Frau zu Mann vollständig Realität werden lässt73, und dass damit die In-

männlichung' des Hermaphroditos, aber sie erscheinen dadurch auch als die eigentlichen Objekte der von Hermaphroditos ausgehenden Täuschung. Die Entdeckung des oftmals erigierten Phallus führt auf Seiten der Entdecker immer zu entsetzten Fluchtversuchen. Bilder, in denen ein mit erigiertem Geschlecht dargestellter Hermaphroditos mit Pan oder einem Satyrn ringt, gehören dabei zu den ganz wenigen Darstellungen in der hellenistisch-römischen Kunst, in denen ein erwachsen-männlicher Protagonist – sei es Mensch, Heros, Mischwesen oder Gott – mit einem 'auf ihn gerichteten' erigierten Phallus konfrontiert wird70. Dieser Umstand ist deswegen besonders zu betonen, da die für den griechischen Geschlechts- und Sexualitätsdiskurs zentralen Kategorien „aktiv“ und „passiv“ durch die Erektion des männlichen Geschlechts ausgedrückt werden konnten: So ist in päderastischen Szenen das Geschlecht des eromenos fast niemals erigiert dargestellt, sexuelle Lust und Aktivität werden allein dem erwachsen-männlichen erastes zugeschrieben71. Auf Grund dieser Asymmetrie sind dem erwachsenen Mann mehrere Lustobjekte möglich und 'erlaubt', nämlich Frauen und Knaben, niemals aber ityphallische Figuren. Päderastische Szenen mögen die Berührung des Geschlechts des eromenos zeigen, doch in dem Moment, wo dieses sich in erigiertem Zustand befände, würde sein Gegenüber Gefahr laufen, moralisch zum kinaidos abgewertet zu werden. Unter dieser Voraussetzung lassen sich die oben betrachteten Hermaphroditen-Bilder auch so lesen: Pan oder ein Satyr, als Allegorien männlicher Sexualität, nähern sich einem scheinbar ‘erlaubten’ Lustobjekt, einer Nymphe, entdecken dann aber den ihnen als Lustobjekt ‘verbotenen’ Phallus. Ihre Reaktionen – Kampf und Fluchtversuch – bestätigen einerseits die Wirksamkeit des Verbots bis ins Extrem männlichen Triebes, das sie verkörpern. Andererseits wird eine Möglichkeit imaginiert, als männliches Subjekt unversehens und ‘schuldlos’ mit einem Phallus in Berührung zu kommen. In der Anthologia Graeca ist ein anonymes Epigramm überliefert, in dem sich ein Silen vor einem Ziegenhirten rühmt, Hermaphroditos dreimal

70 Vgl. Keuls 1993, 274-299. Zu spätarchaischen und frühklassischen Vasenbildern vgl. ebenda, 293, Abb. 262: ityphallische Satyrn, die untereinander Oral- und Analsex haben, auf einer rotfigurigen Schale in Berlin. 71 Ebenda. Vgl. auch Dover 1989, 49-56; Winkler 1997, 73-108; Brisson 2002, 64-71.

72

IX 317. Andersherum zieht das Beanspruchen von Männlichkeit von Seiten einer Frau unmittelbar die Frage nach dem Vorhandensein des „Männlichen“ (to arrhen), d.h. des Phallus, nach sich: Vgl. Lukian, Hetärengespräche V. 73

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teraktion mit einem männlichen Gegenüber in den Bereich der Homosexualität fällt, die ab dem 4. Jh. v. Chr. (dem Entstehungszeitraum der ersten Heramphroditenbilder) in philosophischen Texten moralisch stigmatisiert wurde74. Die weibliche Figur, die einen Phallus erhält oder enthüllt, kann so zum Anlass werden, moralisch tabuisierte sexuelle Interaktionen zu imaginieren, in denen ein erwachsen-männliches Subjekt auf einen Phallus trifft75. Dass diese Konstellation sich 'versehentlich' ergibt, ist insofern von zentraler Bedeutung, als damit die imaginative Identifikation des männlichen Subjekts76 mit den getäuschten Gegenspielern von Heraïs bzw. dem Hermaphroditos wesentlich erleichtert wird: Annäherung und Begehren, da auf eine vermeintlich weibliche Figur gerichtet, erscheinen ‘legitim’. Mit anderen Worten: Eine mögliche identifikatorische Empathie für jene männlichen Gegenspieler des Hermaphroditos setzt hier nicht das Mitdenken einer intentionalen Normverletzung der moralisch-sexuellen Begehrensökonomie voraus. Das ‘Verbergen’ des Homoerotischen in einem zunächst scheinbar heterosexuellen Rahmen passt in einen normativen Diskurs, in dem Homoerotik lediglich als ‘verkehrte’ Heterosexualität begriffen wird: Wenn Plato sagt, Männer sollten nicht mit Männern und Jungen verkehren, „so als wären sie Frauen“77, ist dann nicht ex negativo schon der Mann mitgedacht, der mit einer Frau verkehrt, ‘als wäre sie ein Mann’? Wenn gleichzeitig die phallische Frau aus einer gewissermaßen feministischen Perspektive Fülle und Potenz verkörperte – wie es durch das ursprünglich „weibliche“ Anasyromenos-Motiv, den ikonographischen Zusammenhang mit weiblichen Gottheiten sowie durch Weihungen in Nymphenheiligtümern (hier

wieder der Bezug zur jungen Frau und zur Hochzeit) u.ä. nahegelegt wird78 – dann führt das letztlich doch wieder auf eine phallozentristische Struktur zurück, da die Ermächtigung des Weiblichen eben durch das Anfügen des Phallus ausgedrückt wird. Der Übergang zwischen den Geschlechtern ist durch eine bereits bei Aristoteles klar ausgedrückte Asymmetrie gekennzeichnet: Der effeminierte, jünglingshafte Mann erweitert durch gewisse Formen der Effemination seine Identität positiv, wie z.B. Alexander der Große oder Mark Anton79. Die weiblichen Figuren (Aphrodite, Nymphen, Bräute) verlieren hingegen mit dem Erscheinen eines Phallus ihre weibliche Identität und werden männlich, sowohl in den Verwandlungsgeschichten, als auch im Übergang von Aphrodite zum (Herm)Aphroditos. Die Reaktion des Hermaphroditen auf seinen eigenen Körper, wie sie in den Bildern begegnet, unterstreicht, dass es der Phallus ist, der den Bruch in seiner Identität herbeiführt, nicht Effeminierung oder Ambivalenz. Wenn er wie in Abb. 1 oder den Gemmen der Ionides-Gruppe gebannt oder erstaunt sein Geschlecht enthüllt und betrachtet, wirkt dies, als sei ihm der Phallus selbst fremd. Tatsächlich wirkt in manchen Bildern, so zum Beispiel dem Gemälde aus der Casa dei Vettii (Abb. 6), der Phallus fast wie ein autonomer Körper80. Damit lässt sich vielleicht auch die oft beschworene „Ambivalenz“ der Figur näher bestimmen: Es ist nicht die Ambivalenz der Vereinigung oder Verschmelzung des Gegensätzlichen – etwa im Sinn von Platos Kugelwesen, die ja als Wesen gedacht sind, in denen sich das Begehren aufhebt bzw. noch nicht entstanden ist; der Hermaphrodit dagegen wird durch den Phallus als begehrend gekennzeichnet. Die Ambivalenz liegt vielmehr in dem Verhältnis des weiblichen Körpers zu dem durch den Phallus ausgedrückten Begehren, der als Fremdkörper eine Eigendynamik entwickelt. Das Ambivalente speist sich gerade nicht aus der Verschmelzung dieser beiden 'Körper', sondern aus ihrer ikonologischen Scheidung. Dem sich selbst entblößenden Hermaphroditen scheint sein eigenes Begehren rätselhaft und fremd. Er 'hat' zwar einen Phallus und nach J. Lacan damit auch das Begehren, doch seine Versuche, dem Begehren aktiv nachzugehen, beschränken sich auf einzelne, manchmal zweideutige Gesten, wenn er etwa Pan

74

Vgl. Platon, Gesetze 636c; 836c; 841d. - Vgl. auch Dover 1978; Foucault 1989. 75 Vgl. Delcourt 1961, 65 und Robertson 1975, 551, wo ebenfalls von einer Thematisierung männlicher Homosexualität durch Hermaphroditen-Darstellungen ausgegangen wird. - Vgl. auch Clarke 1998, 54, der in ähnlicher Weise wie im vorliegenden Beitrag die Imagination sexueller Interaktion aus den Bildern ableitet, jedoch nicht die durch den Phallus verdeutlichte, aktiv-männliche Rolle des Hermaphroditos in Betracht zu ziehen scheint. Clarke fragt: „For what can the satyr or Pan or Silenus do with Hermaphrditus?“ - Aber Hermaphroditos hat in einigen Bildern ja schon eine aktiv-handelnde Position eingenommen (indem er sein Gegenüber festhält), und die Frage müsste daher auch lauten: Was kann Hermaphroditos mit dem Satyr, Pan oder dem Silen anfangen? 76 Dazu auch Ajootian 1997, 235: „The ancient viewer perhaps was intended to assume the role of intruder.“ 77 Gesetze 836c.

78

Weihungen in Nymphenheiligtümern: Oehmke 2004, 15 f. Stähli 1999, 51-43; Benne 2001, 75-87. 80 Ich danke W. Filser für diesen Hinweis. 79

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Das Begehren von dem Ovid nicht spricht

oder Satyr festhält (vgl. Abb. 6). Überspitzt könnte man sagen, dass Bilder wie das in Abb. 6 wiedergegebene oder die Oplontis-Gruppe zwar aus zwei Figuren bestehen, aber im Grunde von drei Akteuren bestimmt werden: Dem Satyrn, dem weiblichen Körper und dem diesem applizierten Phallus, dessen 'aktive' Rolle innerhalb des Bildes nicht in vollem Einklang mit der teils abwehrenden, 'passiven' Rolle seines 'Besitzers' steht. Die Ambivalenz der Figur des Hermaphroditen in den Bildern (zumindest den hier besprochenen) besteht also nicht in der Ovidschen „Verschmelzung“ der Körper, sondern in der Frage, was der eine 'Körper' überhaupt vom anderen weiß. Was weiß Hermaphroditos von seinem Begehren? Diese Frage stellt sich auch beim Hermaphroditos Borghese, dessen Erektion als Hinweis auf erotische Träume verstanden wird – doch von welcher Art der erotischen Interaktion träumt er, und was wird er beim Erwachen davon noch wissen?81 Die Fülle der homoerotischen Implikationen des Schlafenden Hermaphroditen steht dabei in einem deutlichen Kontrast zu der knappen und ausweichenden Erwähnung erotischer Träume in der Ars amatoria des Ovid, der in einem heterosexuellen Kontext von den pudenda spricht, die im Traum begangen werden - „Weiteres schäme ich mich, zu lehren“82. Allgemeiner formuliert geht es hier um das Begehren, das nichts von sich weiß und sich erst noch vor sich selbst enthüllen muss, wobei „enthüllen“ in manchen Bildern wörtlich zu verstehen ist. Das Wissen um das Begehren ist dabei die Voraussetzung für seine „Beherrschung“; Homoerotik folgt nach Platon demgegenüber gerade aus der „Nicht-Beherrschung (akráteia) der Lust“83. Als Zusammenfassung möchte ich nochmals zwei Aspekte hervorheben: Erstens sprechen, wie ich versucht habe zu argumentieren, die Bilder dafür, die Entstehung der Figur des Hermaphroditos von einer weiblichen, durch einen Phallus ‘vermännlichten’ Gestalt abzuleiten, wahrscheinlich Aphrodite, wie dies schon länger vermutet, von Oehmke jedoch wieder in Frage gestellt wurde. Zweitens scheint das Konzept der „Effemination“ für die Deutung der Hermaphroditen – zumindest der hier besprochenen – nicht weiterführend, auch nicht für die Zeit nach Ovid, bei dem der Mythos von Hermaphroditos als

Geschichte einer Effemination angelegt ist. Zentral scheint in den Bildern dagegen das Thema der ‘Vermännlichung’, mit Plinius’ Worten das Ex feminis mutari in mares, ausgedrückt durch das Erscheinen oder Enthüllen eines Phallus an einer vorgängig weiblichen Figur. Ikonographie und Kompositionsweise sowie der Vergleich mit Berichten über Geschlechtswandlungen bei Diodor, Plinius und Phlegon lassen erahnen, dass dahinter eine Auseinandersetzung mit tabuisierten Formen sexueller Interaktion steht. Die im Grunde ‘verbotene’ Annäherung eines erwachsen-männlichen Subjekts an einen ityphallischen Sexualpartner wird dabei dadurch möglich, plausibel und ‘nachvollziehbar’, dass sie als ‘Versehen’ dargestellt wird. Das männliche Begehren verfängt sich in der Verkleidung, die als zentrales Motiv immer wieder kehrt: angefangen mit den argeischen Verkleidungsriten bei den Hybristika, über die als ityphallischer Satyr verkleidete Mänade auf der rotfigurigen Kylix in Korinth, bis zu den Anasyromenos-Statuen und den als Mädchen oder Frauen verkleideten Figuren bei Diodor. Der Aspekt des Sich-Verkleidens und Täuschens, der sich auf verschiedene Weise mit der Figur des Hermaphroditen verbindet, ist vielleicht auch von Bedeutung für die Aufstellung von Skulpturengruppen mit Hermaphroditos in antiken Theatern, wie sie archäologisch belegt ist84. Das aus antiker Sicht brisante Thema des „weiblich verkleideten Phallus“ machte, wie ich meine, in einem tendenziell homophoben Umfeld, in dem sich auch die klassische Päderastie als elitäre Praxis nicht mehr behaupten konnte, die ästhetische Sensation der Bilder aus, insbesondere der ityphallischen: Diese Bilder brachten etwas zum Ausdruck, das in mythologischen Texten und Bilderwelten ansonsten nicht vorkam. Eine solche Deutung kann allerdings, wie zu betonen ist, keineswegs Anspruch auf Geltung für alle Hermaphroditen-Bilder beanspruchen. Die Vorstellung, ‘den’ Hermaphroditen als konsistente, ikonographisch einheitliche Identität in der griechisch-römischen Kunst greifen zu können, sollte aber wohl ohnehin aufgegeben werden. Die Widersprüchlichkeit in den Texten und Bildern wird sich nicht durch Quellenkritik oder -analyse beheben lassen; sie ist bereits in der antiken Kunst- und Literaturproduktion angelegt85.

81

84

Oehmke 2004, 49-54. Ars amatoria, III, 768 f.: Per somnos fieri multa pudenda solent. / Ulteriora pudet docuisse ... 83 Gesetze I 636b.

Retzleff 2007. Robertson 1975, 551, der dafür plädiert, in Hermaphroditos eher einen „Typ“ als eine bestimmte mythologische Person zu sehen, „like the nymphs and satyrs with whom he mingels“.

82

85 Ähnlich

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