Contro La Menzogna Pseudo-Democratica

June 28, 2018 | Author: Esonet.org | Category: Homo Sapiens, John Locke, Psychology & Cognitive Science, Science, Philosophical Science
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Francesco LamendolaContro la menzogna pseudo-democratica su cui si regge l'odierno sistema tecnocratico Una grande menzogna e una grande ipocrisia inquinano il pensiero politico contemporaneo e l'insieme del paradigma culturale su cui poggia la società globalizzata del terzo millennio; tutti le riconoscono come tali, ma nessuno osa dirlo e, anzi, tutti ostentano la massima considerazione per la verità ufficiale. Stiamo parlando dell'assunto pseudo-democatico secondo cui gli esseri umani sarebbero tutti uguali, quanto a capacità, intelligenza, cultura e onestà; e, dunque, tutti meritevoli di esercitare i medesimi diritti, non solo nell'ambito della sfera personale, ma anche in quella sociale, primo fra tutti il diritto di voto, secondo la ben nota formula: «Un uomo, un voto». Poi, per completare l'operazione demagogica, si tende ad abbassare sempre di più la soglia legale della maggiore età, conferendo il diritto di voto ai diciottenni e la patente di guida, ad esempio negli Stati Uniti d'America, ai sedicenni: cose evidentemente assurde, e specialmente con gli adolescenti di oggi; ma quale uomo politico sarebbe disposto a dirlo pubblicamente, giocandosi per sempre ogni speranza di carriera? E come negare la laurea agli studenti zucconi, svogliati, fuori corso da anni, che nemmeno sanno esprimersi in un italiano corretto, senza correre il rischio di essere bollati come docenti reazionari e nemici dichiarati della «sacre conquiste» del Sessantotto, quando andavano per la maggiore slogan del tipo: «proibito proibire»? Come negare il diritto di abortire negli ospedali pubblici a tutte quelle donne che non desiderano un figlio che pure portano in grembo, e che magari lo rifiutano per delle ragioni molto discutibili, senza incorrere nel reale pericolo di essere qualificati come nemici dichiarati del genere femminile, e di quella legge sul diritto di aborto che quasi tutta la cultura politicamente corretta continua a presentarci come una sacrosanta vittoria della civiltà e della giustizia? Oppure come negare il diritto di voto ad un immigrato straniero, risiedente in un Paese europeo da soli pochi anni - e magari senza neanche conoscerne bene la lingua, per non parlare della cultura e delle tradizioni -, senza la prospettiva di passare, per ciò stesso, per razzisti? La sconfitta dei grandi totalitarismi del XX secolo - il fascismo mediante la disfatta militare nella seconda guerra mondiale, il comunismo mediante la disgregazione interna dell'Impero sovietico ha creato una strana situazione psicologica e culturale, per cui quasi nessun intellettuale si azzarda a criticare le applicazioni aberranti di siffatto democraticismo all'ingrosso, che, senza distinguere tanto per il sottile, si fonda sull'idea che tutti possano fare tutto, abbiano diritto a tutto, possano pretendere tutto, come se, appunto, gli esseri umani fossero perfettamente uguali in ogni campo, così pratico come culturale e spirituale. Sostenere il contrario, e, soprattutto, ricordare che non esistono diritti senza corrispondenti doveri, è un discorso terribilmente scomodo e arduo, che ricorda troppo da vicino un passato che non passa, quello dei totalitarismi sconfitti; un discorso impresentabile e inaccettabile ai sensibilissimi orecchi democratici di questa generazione. Ma quello che maggiormente dovrebbe far riflettere è che siffatto democraticismo volgare e, diciamolo pure, un po' cialtrone, in ultima analisi è funzionale non già al tanto decantato «popolo», espressione generica e ormai irrimediabilmente incongrua nell'era post-industriale, bensì a quelle forze della politica, della finanza, dell'industria, che hanno tutto l'interesse a sfruttare la vuota e 1 velleitaria presunzione di una massa anonima e sempre più deresponsabilizzata, che, però, si crede detentrice del potere reale, e che in tale illusione viene artificialmente cullata. La filosofia sottesa al falso democraticismo, così evidentemente funzionale ai poteri forti, proviene dall'empirismo inglese del XVII e XVIII secolo, e specialmente da Locke, con la sua idea della mente umana come «tabula rasa», come foglio perfettamente bianco anteriormente all'esperienza individuale. Infatti, se la mente umana è assolutamente priva di idee innate (per usare la terminologia filosofica classica), significa che essa è illimitatamente manipolabile, e che di essa si può fare tutto quel che si vuole. Si può prendere un bambino e farne, a piacere, qualunque cosa: un vile o un coraggioso, un prodigo o un avaro, un impiegato oppure un genio, un santo o un demonio, e così via: il tutto, evidentemente, su ordinazione. È una prospettiva terrificante: ma, per fortuna, le cose non stanno affatto così, e Locke aveva torto, torto su tutta la linea. Nessuno potrà fare di uno sciocco, un genio; anche se è vero che, talvolta, un genio può essere persuaso di essere uno sciocco, e indotto a comportarsi come tale: ma nemmeno questa è una strategia che, alla lunga, paghi lo sforzo. Né l’apparato tecnoscientifico si limita a incoraggiare la menzogna pseudodemocratica, allo scopo di facilitare l’appiattimento e l’omologazione dei singoli individui rispetto ai modelli standardizzati più convenienti per i suoi interessi. Esso si adopera anche per la progressiva erosione delle diverse culture umane, a cominciare dalle lingue (che, infatti, vanno scomparendo a ritmo impressionante), in nome di un preteso democraticismo culturale che altro non è, in effetti, se non la maschera di una sistematica e inesorabile americanizzazione del mondo. L’obiettivo dei poteri forti della finanza e dell’economia è, dietro il pretesto del multiculturalismo, proprio il suo contrario: una globalizzazione che si riduca a livellamento e appiattimento delle diverse culture, in una struttura culturale unica: quella funzionale agli interessi del grande capitale finanziario e industriale. Si tratta di interessi che, come quelli della politica corrente, perseguono obiettivi di corto respiro, onde realizzare il massimo profitto nel più breve tempo possibile, senza alcun riguardo e alcuna preoccupazione per gli effetti di media e lunga durata delle loro scelte strategiche. Come fanno osservare Gianfranco Bologna e Paolo Lombardi, una centrale nucleare produce energia per venti o trent’anni appena, ma le scorie radioattive da essa prodotte non decadono prima di ventimila anni. Ciò significa che, per rispondere ad un bisogno energetico (talvolta gonfiato in una perversa spirale artificiale. in cui si produce per consumare sempre più e non per rispondere ad esigenze reali), si ipoteca con incosciente leggerezza il futuro di numerosissime generazioni, le quali riceveranno in eredità il peso delle scelte dissennate ed egoistiche del presente. Né mancano gli irresponsabili campioni di un ottimismo interessato, i quali, davanti ad obiezioni di questo genere, basate sul puro e semplice buon senso, non esitano a replicare che, nel giro dei prossimi venti o trent’anni, la scienza e la tecnica troveranno altre forme di produzione energetica e che, quindi, non vi è alcuna seria ragione di preoccuparsi o di porsi il problema di ridurre i consumi o dirottare la ricerca verso energie rinnovabili e non inquinanti. Scrivono Gianfranco Bologna e Paolo Lombardi nel loro pregevole libro «Uomo e ambiente. Manuale di idee per la conservazione della natura» (Milano, Gremese Editore, 1988, pp. 116-118): «Uno dei fattori di stabilizzazione del sistema tecnocratico è la dottrina che afferma l'uguaglianza assoluta di tutti gli uomini o, in altre parole, la convinzione illusoria che l'uomo sia alla nascita una tabula rasa e che la sua personalità sia interamente formata dai processi di apprendimento che hanno luogo nel corso della sua vita individuale. Questa dottrina, alla quale purtroppo molti sono ancora oggi devoti con un fervore quasi religioso, nasce, come ha dimostrato Phillip Wylie nel libro "The Magic Animal", dalla distorsione di un celebre principio della Dichiarazione d'Indipendenza degli Stati Uniti d'America, redatta essenzialmente da Thomas Jefferson: "All men are created equal" (tutti gli uomini sono creati uguali). Queste parole furono scritte in un momento in cui si volevano 2 liberare gi schiavi negri e dare alle gente di colore gli stessi diritti riconosciuti ai cittadini di razza bianca - il che, purtroppo, non è ancora interamente riuscito neppure oggi. Ma questo principio andò incontro a una doppia distorsione logica, gravida di conseguenze. La prima falsa deduzione logica fu che tutti gli uomini possano evolversi fino a diventare esseri ideali, purché a tutti siano concesse condizioni ideai di sviluppo. Da questa conclusione fallace si passò, con un ulteriore salto mortale., d tipo logico, alla conclusione che tutti gli uomini sono per natura identici al momento della nascita. J. B. Watson, come è noto, ha affermato addirittura di essere in grado di far diventare "su ordinazione" qualsiasi neonato sano che gli venga affidato per essere educato un virtuoso di violino, un matematico, un genio della finanza o qualsiasi altra cosa a piacimento. Ma tutto ciò si base sul falso presupposto che nel sistema nervoso centrale dell'individuo non esista alcun programma genetico prefissato, e che tutte le differenze del comportamento umano possano essere spiegate soltanto con le differenze delle esperienze individuali, come afferma la teoria dell'"empty organism" di B. F. Skinner. L'ipotesi che nel cervello umano non esista alcuna regola di comportamento sociale all'infuori di quelle prodotte dal "condizionamento sociale" stesso ha come conseguenza automatica il fatto che la colpa di ogni comportamento sbagliato e di ogni delitto non può che essere ascritta all'educazione ricevuta dall'individuo. Questo viene così liberato da ogni forma di responsabilità morale. Ma per lo più si trascura il fatto che, così facendo, lo si prova anche di uno dei diritti umani fondamentali, il diritto alla responsabilità. La fede nell'illimitata plasticità della natura umana è naturalmente bene accetta a tutti coloro per i quali sarebbe un bel vantaggio se nell'uomo non esistessero predisposizioni innate ed egli fosse perciò illimitatamente manipolabile. Questo spiega come mai questa dottrina, che io definisco pseudo-democratia, sia divenuta la religione di stato della lobby della grande industria e al tempo stesso degli ideologi comunisti. Questa dottrina continua ancora oggi a esercitare una notevole influenza sull'opinione pubblica e sugli studi psicologici. Questo avviene certamente anche perché la sovrappopolazione e l'organizzazione eccessivamente rigida della società che essa rende necessaria non permettono di tenere nel dovuto conto le differenze individuali. Quando si afferma che un individuo è intelligente, sciocco o disonesto ci s rende colpevoli di lesa "uguaglianza delle possibilità", anche se tutti sanno che esistono gli onesti e i disonesti, gli intelligenti e gli sciocchi. L'affermazione inconfutabile che non ci sono due individui dotati dello stesso programma genetico all'infuori dei gemelli omozigoti oggi può diventare a volte altrettanto pericolosa, come dice Philip Wylie, quanto lo era nel Medioevo affermare che la terra gira intorno al sole e non viceversa.» Ci sembra necessario, pertanto abbandonare le funeste filosofie di Locke e di Newton e la delirante psicologia di Skinner, per effettuare un ritorno ad Aristotele e, se si vuole, anche a Tommaso d'Aquino, nel senso di recuperare l’idea di una naturale disuguaglianza degli esseri umani, dopo tanta ubriacatura pseudo-democratica. Non certo per tornare ai presupposti economico-sociali da cui muovevano quei filosofi - vale a dire, rispettivamente, la polis greca e il feudalesimo -, ma per liberarci dall’idea che tutti possano fare tutto e che la maggioranza abbia sempre ragione, e riconoscere con franchezza che è indispensabile riscoprire il giusto concetto di aristocrazia, intesa, etimologicamente, come la capacità dei migliori di porsi quale classe dirigente. La classe dirigente delle società democratiche, invece, attualmente è formata dagli elementi più furbi e disinvolti, non dai migliori: vale a dire da individui che mirano unicamente a sfruttare l’istinto gregario delle masse, ma che delle masse hanno essi medesimi le caratteristiche psicologiche, culturali e anche morali. Se a ciò si aggiunge il livello sempre più sofisticato della tecnologia che pervade non solo i settori produttivi, ma l’intero paradigma culturale di questa tarda modernità (o post-modernità), che tende sempre più ad esautorare la capacità decisionale umana a favore delle logiche produttivistiche dell’azione fine a se stessa, si avrà un quadro assai poco confortante del nostro prossimo futuro, dominato da meccanismi sempre più spersonalizzanti e disumani, dove non solo il senso del bello, del giusto e del vero non saranno più necessari, ma costituiranno probabilmente altrettanti ostacoli 3 da abbattere ed eliminare in nome dell’efficienza produttiva e delle esigenze di sicurezza poliziesca richieste dall’alto grado della tecnologia imperante. Stiamo veramente andando verso la costruzione di quei mulini diabolici, dei quali parlava William Blake a proposito della filosofia di Newton: vale a dire verso un modello sociale profondamente anti-umano, basato su una visione quantitativa e meccanicistica del mondo che bandisce, come ospiti indesiderati, bellezza, bontà, verità e senso della giustizia. A questa tendenza occorre reagire finché siamo in tempo, denunciando l’inganno e la mistificazione di un pensiero politico che, di democratico, ha soltanto il nome e le apparenze, per nascondere la sua vera essenza, minacciosamente totalitaria. 4


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